Moving Out Recensione: se non puoi traslocare in fretta, muori provandoci!

Moving Out

Più che il titolo di una recensione, una minaccia! Ebbene sì, tutto in Moving Out ruota attorno alla velocità. Immaginate di dover entrare nei panni di un traslocatore, il vostro primo obiettivo sarebbe quello di trattare con cura gli oggetti che vi sono stati affidati: nulla di più sbagliato perché all’interno del folle titolo platform nato dalla collaborazione tra SMG Studio e i ragazzi di DEVM Games, il motto sarà per l’appunto “Se non puoi traslocare in fretta, muori provandoci!”

Il brevissimo tutorial iniziale darà al giocatore solo i rudimenti delle meccaniche di gioco sia in modalità single che multiplayer e una volta ottenuto la licenza F.A.R.T., Furniture Arrangement & Relocation Technician (tradotto giustamente in italiano P.E.T.O.) il più improbabile e sgangherato ensemble di avatar sarà a vostra totale disposizione per cominciare ad affrontare immantinente le discutibili sfide rilocative che il vostro capo vi sottoporrà.

Moving Out: “Smarmella tutto”

Iniziamo col dire che, sebbene sia assolutamente possibile giocare l’intera modalità storia in solitaria, questa strada snatura quasi completamente un titolo che ha nella componente party il suo asso nella manica. Spostare oggetti da un punto A ad un punto B da soli è divertente fino ad un certo punto. Ostacoli ambientali, fantasmi birichini e pezzi di mobilio dalle forme bislacche sono sì intermezzi divertenti, così come porte segrete e muri a scomparsa ma non possono da sole giustificare il divertimento. Complice anche una fisica di gioco che ha del paranormale, cercare di fare le cose per bene in Moving Out è pressoché impossibile. La visuale isometrica e le reazioni  imprevedibili degli oggetti e del personaggio a determinati movimenti della levetta analogica causano un discreto livello di frustrazione se si approccia il gioco con l’intenzione di portare a termine i compiti assegnati in modo impeccabile. Un minimo di pratica permette di comprendere qual è la posizione migliore che l’avatar deve assumere rispetto all’oggetto da spostare e se conviene spingere piuttosto che tirare ma la verità è che esiste una sola forma mentis corretta per approcciare Moving Out, ed è perfettamente riassunta dalla perifrasi tanto amata del celebre Renè Ferretti: bisogna fare tutto a.. lascio a voi l’annoso compito di completare la scabrosa citazione.

Per godere a fondo dell’esperienza di gioco di Moving Out bisogna giocare in una sgangherata coop locale, maledicendo (obbligatoriamente) il proprio compagno di squadra perché ha lasciato cadere quel pacco di calici di vetro che voi tanto accuratamente gli avevate lanciato dall’altra sponda della piscina. Tra un tentativo di coordinamento andato a male e un imprevisto rastrello in faccia, l’esperienza frustrante e anche un tantino noiosa in single player si trasforma magicamente in una deliziosa caciara di gruppo in pieno stile Overcoocked.

Gli anni 80 sono come “la locura, se l’acchiappi hai vinto”

Una chicca simpatica che contribuisce ad ampliare l’offerta di gioco è la possibilità di acquistare tramite le monete ottenute completando le richieste bonus dei clienti (la cui follia è in linea con tutto il resto) dei mini-game presso la sala giochi della città. Non sarebbe sbagliato dire infatti che il titolo indie punta in modo piuttosto chiaro sulla recente (nemmeno poi tanto) ondata di nostalgia nei confronti degli ormai mitizzati anni ’80. E’ chiaro infatti che l’intera ambientazione del mondo di gioco sia proprio quel periodo storico tanto amato a noi gamer. Al di là della presenza di una sala arcade in centro città, i nostri avatar si troveranno a traslocare registratori VHS, grossi televisori a tubo catodico, computer desktop che sono chiaramente ispirati all’Apple III per non parlare delle moquette geometriche e del livello che omaggia dichiaratamente Frogger (che per tutti quelli nati dopo il 1990 è questa roba leggendaria qui). Ognuno dei mini giochi proposti inoltre si rifà per grafica e meccaniche ai classici titoli arcade che si potevano trovare nei cabinati di quel periodo. Per l’amor di dio, belli eh, gli anni ’80. Mentirei spudoratamente se vi dicessi che il tutto non mi ha strappato più di un sorriso, però ora anche basta.

“Dai, dai, dai che ce la portiamo a casa!”

In definitiva gli oltre 50 livelli a disposizione offrono un’insospettabile varietà, frutto anche di un level design pensato per divertire il più possibile il piccolo team di giocatori che in diverse occasioni è costretto a cercare approcci diversi per poter portare a termine il compito. Se dovessi dare un opinione in merito al target, trovo che Moving Out sia specificatamente pensato per il classico nucleo familiare contemporaneo con genitori/genitore sulla trentina (da qui la strizzatina d’occhio nostalgica) che vuole trascorrere qualche ora in allegria con il suo o i sui pargoli, iniziandoli al mondo videoludico contemporaneo e allo stesso tempo mostrandogli “i bei tempi andati”.
Rivisto in questa ottica Moving Out è un titolo che fa centro nel suo obiettivo e porta a casa il risultato.

Da noi provato su Playstation 4 Moving Out sarà disponibile in contemporanea anche per Nintendo Switch e PC. Un acquisto che consigliamo a patto che abbiate l’unica intenzione di divertirvi in compagnia ma in totale assenza di cervello, arrendendovi incondizionatamente alla disarmante follia di questo titolo.

Federica Farace, alias Sister Death, è la dimostrazione che i redattori sono come la cioccolata: quelli buoni stanno in Svizzera. Ama i vichinghi, i conigli, Conan, Star Wars e i videogiochi. Spera costantemente che nel mondo si scateni l'apocalisse zombi e non escludiamo che si stia dando da fare per accelerare il processo.