Con i primi quattro episodi di The Last Dance, l’ideatore Michael Tollin ha condotto lo spettatore in quelle che sono state le premesse per la docuserie. Ci ha presentato il leggendario Michael Jordan, intorno al quale ruota inevitabilmente la serie, come anche i suoi due più celebri compagni di squadra, Scottie Pippen e Dennis Rodman, senza dimenticare lo storico coach Phil Jackson. Alternata alla storia dei singoli componenti vi è il racconto del team di basket che più di ogni altro ha dominato gli anni Novanta: i Chicago Bulls.
The Last Dance è la storia di come una squadra inizialmente minore sia arrivata a scalare i vertici della disciplina, vincendo per ben cinque volte il campionato NBA nell’arco temporale dal 1990 al 1997. L’ultima danza che dà il nome alla serie vede la celebre formazione calcare per un’ultima volta il campo, alla caccia del sesto titolo. Rinominata così dal coach Jackson, la stagione del 1997/98, è infatti l’ultima a vantare lo schieramento più imbattibile di sempre. Al termine di quella competizione, come già anticipato negli scorsi episodi, Phil Jackson sarebbe stato sostituito, con il conseguente abbandono dello stesso Jordan.
Michael Jordan re del mondo
Il grande fascino della serie risiede nel riuscire a gestire in modo estremamente chiaro e coerente diverse linee temporali. Il focus è sempre sulla tesissima stagione ’97/98, ma per comprendere come si è arrivati a quel culmine è importante tracciare una storia dei Chicago Bulls e dei loro mitici componenti. Ecco dunque che ogni puntata ha il proprio nucleo narrativo, portando lo spettatore in una vera e propria danza avanti e indietro nel tempo. Il quinto episodio, in particolare, si apre con il commovente ricordo di Kobe Bryant, altro campione del basket scomparso tragicamente nel gennaio del 2020. Attraverso interviste, tra cui una allo stesso atleta, e filmati di repertorio, si ripercorrono gli storici incontri dove il giovane esordiente ha avuto l’occasione di misurarsi con la leggenda vivente incarnata da Jordan.
Il protagonista assoluto resta però sempre lui, Michael Jordan, raccontato stavolta da un punto di vista principalmente esterno allo sport che lo ha reso celebre. Si esplora qui la sua crescente popolarità mondiale, che lo ha portato ad essere la vera icona degli anni novanta. In particolare, si ripercorre il suo legame con la Nike, dalla cui collaborazione sono state realizzate le celebri scarpe Air Jordan, raccontate attraverso le parole di personalità dello spettacolo come Spike Lee e Justin Timberlake.
Sin dal suo esordio, Jordan diventa dunque una star del popolo, acclamato incondizionatamente. Una responsabilità, nei confronti dei suoi fan, verso cui l’atleta non si è mai tirato indietro. Parallelamente al successo popolare, vengono raccontati anche i fatti più strettamente legati all’ambito sportivo, come il premio MVP al miglior giocatore, il secondo campionato vinto di fila, e l’oro conquistato alle Olimpiadi di Barcellona del 1992 con una squadra definita “Dream Team”. Con questo quinto episodio, dunque si porta a compimento il racconto del grande campione visto come vera e propria leggenda vivente.
Attaccare il più forte
Se il quinto è l’episodio dove si elogia la popolarità e il successo di Michael, il sesto è invece quello dove si affrontano i problemi a livello pubblico che lo hanno investito nei primi anni novanta. In modo simbolico, la puntata si apre con Jordan che si domanda se quei fan che dichiarano di voler essere lui per un giorno, desidererebbero lo stesso dopo un anno nei suoi panni. È l’episodio dove l’atleta considerato divino viene spogliato delle sue vesti e riportato all’essere umano che è. Benché ricca di soddisfazioni e successi, la vita dell’atleta non risulta affatto essere tranquilla.
Tra il costante occhio delle telecamere puntate su di lui e le aspettative dei fan a porre ulteriore pressione, nel 1992 Jordan è un uomo pronto a cedere. Il colpo decisivo viene inferto da un libro inchiesta pubblicato in quell’anno, dove l’atleta è descritto come un despota, una personalità egocentrica incapace di considerarsi parte della squadra ma, in qualche modo, al di sopra di essa. Sono accuse pesanti, che portano il campione ad un parziale crollo nervoso.
Attraverso interviste recenti, e i filmati di repertorio che sono il vero cuore della serie, viene raccontata la stagione 1992/1993, dove la conquista del terzo titolo consecutivo sembra compromessa dallo stress a cui Jordan è sottoposto, in particolare per via delle accuse di essere dipendente dal gioco d’azzardo. La stagione probabilmente più difficile per i Chicago Bulls, costretti a confrontarsi dentro e fuori dal campo con nuovi nemici. Questo accade nel 1993, mentre nel 1998, anno a cui come accennato la narrazione si sposta di continuo, la fine della danza è sempre più vicina.
Con i nuovi episodi The Last Dance si conferma un prodotto particolarmente strutturata e capace di raccontare in modo completo quella che viene considerata una vera e propria dinastia nel mondo del basket. I filmati di repertorio, lavorati attraverso un minuzioso processo di post-produzione, animano una realizzazione che difficilmente può essere definita soltanto come una serie documentario, vantando infatti un ritmo ed un’epica privilegio di ben poche opere.