Bioshock The Collection Recensione: dagli abissi al cielo infinito

Bioshock The Collection

Su e giù, da Rapture a Columbia andata e ritorno. Su e giù, tra premi, elogi, una manciata di critiche tra versioni diverse eppure uguali. Perché ad una delle trilogie più importanti dell’industria dell’ultimo decennio, alla fine, mancava davvero solo la portabilità. Bioshock The Collection, su Switch, colma anche quest’ultima lacuna ricucendo una vecchia ferita chiamata PS Vita e, soprattutto, regalando all’utenza Nintendo un porting evidentemente convincente, che supera agilmente le criticità della “vecchia” generazione ponendosi anzi a a metà tra le pubblicazioni originali e le più recenti remastered. Difficile fare di meglio.

Bioshock The Collection: il cielo e l’abisso

Sarebbe un peccato aver completamente ignorato l’universo creato da Ken Levine e da Irrational Games. Sarebbe un peccato ancora più grave, pero, perseverare. E allora, sembra giusto in questa sede rispolverare la memoria o, quanto meno, spiegare cosa sia davvero Bioshock. La serie debutta nel 2007 presentandosi come una sorta di sparatutto in soggettiva caratterizzato da una originale componente ruolistica e, anche, da una narrazione peculiare, ben integrata nel gameplay e nel particolare scenario. Se il primo aspetto veniva retto dallo “sblocco” di particolari abilità, a rendere davvero unico il gioco era l’ambientazione. Rapture è, ancora oggi, uno scenario affascinante, caratterizzato e popolato in maniera raffinata e originale. Una città sommersa, dove il protagonista, sopravvissuto ad un disastro aereo, si ritroverà quasi per caso, salvato e allo stesso tempo condannato da quel faro di speranza e orrore al nord dell’Oceano Atlantico. Nonostante il tempo trascorso dalla pubblicazione di Bioshock, sarebbe un delitto imperdonabile rovinare la sorpresa a chi, senza colpa o con dolo non importa, sia ancora a digiuno delle bellezze e delle mostruosità della città sommersa. Basti sapere che, oltre a dover sparare, il giocatore, gioco forza attirato dalle “sorellina”, sarà anche chiamato ad affrontare alcune scelte morali particolarmente difficili, ma anche a metabolizzare un particolare sistema di crescita del personaggio attraverso peculiari abilità. L’uso di “plasmidi” modifica geneticamente il protagonista e, di riflesso, il modo di affrontare nemici e situazioni. All’epoca, Bioshock fu un successo di pubblico e di critica, spianando la strada per un seguito diretto e, soprattutto, ispirando Lewine e il suo team a iniziare i lavori su Infinite. Se Bioshock 2 rivisita essenzialmente il gioco originale ribaltandone il punto di vista, il protagonista è il Big Daddy affrontato da nemico nel predecessore, Infinite chiude la trilogia recuperando stile e scrittura ma, al contempo, scrivendo una storia originale per una nuova ambientazione. Dagli abissi dell’Atlantico ai cieli americani, Columbia, la città che vola tra le nuvole, è, se possibile, ancora più  bella e affascinante di Rapture. Una sorta di contrappasso anche per lo stesso giocatore, questa volta alle prese con una narrazione più costante, ma altrettanto riuscita.

Da allora, era il 2012, di Bioshock abbiamo perso le tracce. O quasi. Nessun segno di Rapture tra gli abissi. Nessun sorriso di Elizabeth tra le nuvole di Columbia. Quanto meno, al netto dei nuovi progetti e dei ripensamenti dello stesso Levine, nulla di originale. I tre giochi, forti dello status di “cult”, sono stati raggruppati e, nel tempo, riproposti nelle varie collection. Dopo la rimasterizzazione di qualche anno fa per Xbox One e PS4, per altro in questi giorni “innalzata” via patch alla risoluzione 4K su Pro e X, e dopo la cancellazione di una versione PS Vita rimasta vana promessa, è sorprendente ritrovare su Nintendo Switch quello stesso universo, ora racchiuso, dove vuoi e quando vuoi, nell’ibrida giapponese. Sorprendente, pure, come i tre titoli completi di DLC e vari extra già ammirati su altri lidi, siano stati “traslati” con cura e capacità. Su Nintendo Switch, i tre Bioshock sono evidentemente basati sulle versioni già rimasterizzate, con una risoluzione di 720p in modalità portatile e “quasi” fissa sui 1080p in docked (portando il gioco però a pesare davvero tanto). Un risultato francamente eccezionale, perché, numero di pixel a parte, capace di regalare pulizia, fluidità e un livello di dettaglio che ha poco da invidiare a quanto già apprezzato su hardware più performanti. Se, come è ovvio, 60fps e 4K restano obiettivi irraggiungibili per Nintendo, è interessante rilevare come l’analisi tecnica del titolo abbia confermato delle performance solide quasi in ogni situazione. Questo vuol dire che Bioshock The Collection è, su Nintendo Switch, una scommessa vinta.

Le nuvole e l’oceano

La critica, a questo punto, potrebbe fermarsi qui. I tanti pregi e i pochi difetti di Bioshock sono noti e, pure, spalmati in maniera diversa lungo la trilogia. Ancora oggi, il primo capitolo è IL titolo da giocare, superando di misura, per qualità ludiche e concettuali, il pur pregevole Infinite. Allo stesso tempo, Bioshock 2 resta il gioco più debole del pacchetto. Ancora oggi, pure, restano innegabili le doti artistiche, da valutare, in questo caso, in un quadro più generale. Rapture, oscura e misteriosa, e la colorata e ambigua Columbia, sono facce diverse della stessa medaglia, incorniciata da personaggi ben caratterizzati e caratterizzanti. Un meraviglioso contesto distopico, dove “fanta” e “scienza” riescono davvero a sintetizzare una visione artistica e ludica autoriale di gran pregio. Bioshock, insomma, era splendido da vivere, come universo, già 13 anni fa. Oggi, a dispetto dei traguardi raggiunti da una generazione ormai al tramonto, l’opera di Lewine acquista quella piccola meraviglia rappresentata dalla portabilità. Da vivere sotto le stelle, sotto al mare e sulla spiaggia, immaginando il volto di Elizabeth tra le sfumature delle nuvole e sognando, perché no, di rivedere, nel prossimo futuro, la firma di Levine su nuovi capolavori. Di quei grandi giochi di cui, pure oggi, dopo 13 anni, sentiamo disperatamente bisogno.

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In termini assoluti, Bioshock The Collection per Switch non può essere considerata la migliore versione sul mercato. Eppure, le qualità tecniche della conversione unite, come sempre sui lidi Nintendo, dalle possibilità infinite offerte dalla portabilità, fanno di questa ultima raccolta una scommessa vinta da 2K. Si tratta, in fin dei conti, di una produzione che, se da un lato, punta ad un ulteriore e legittimo sfruttamento commerciale della trilogia, è rispettosa dell’utenza Nintendo offrendo, magari per la prima volta, un universo ludicamente fondamentale. A distanza di anni, Bioshock resta un’esperienza da consigliare senza indugi: perdetevi in Rapture,  vivete Columbia. Su e giù tra quei mondi insuperati immaginati da Irrational Games.