L’imminente arrivo di Cyberpunk 2077 sui nostri schermi riporterà al centro della scena videoludica un’immaginario incredibilmente suggestivo che continua a trovare il proprio massimo comune denominatore in un classico senza tempo come Blade Runner.
Nata in ambito letterario nel 1968 sulle pagine del best seller di Philip K. Dick “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” e assurta a fama mondiale grazie al succitato lungometraggio firmato da Ridley Scott nel 1982, l’epopea distopica dell’agente Deckard avrebbe trovato una più che adeguata collocazione anche in ambito videoludico.
Al primo, lineare adattamento in salsa action distribuito da da CRL Group nel 1985 su C64 e Spectrum ZX, sarebbe tuttavia seguito un progetto molto più ambizioso che, emancipandosi dai vincoli dello script originale, ne avrebbe espanso il setting fino a delineare i contorni di un vero e proprio sequel.
Ci riferiamo, ovviamente, al Blade Runner firmato dai Westwood Studios nel 1997 e, più nel dettaglio, alla storia di Ray McCoy: un indomito cacciatore di replicanti incaricato di far luce su un violento crimine avente come principali indiziati due di essi.
Una nuova frontiera per le Avventure Grafiche
Prodotto nel 1997 ad esclusivo beneficio dell’utenza PC, Blade Runner rielaborava il vecchio format delle avventure grafiche per tessere le articolate trame di un’indagine dai risvolti sorprendenti e le accennate venature action, lungo la quale vi sarebbe stata opportunità di esplorare finalmente in prima persona i luoghi che avevano caratterizzato la visionaria opera cinematografica. Oltre ad offrirci l’occasione di interagire direttamente con alcuni dei rispettivi protagonisti e favorire così un prezioso approfondimento delle rispettive personalità, il main plot ci avrebbe nel frattempo condotto alla scoperta di nuovi, inquietanti dettagli sull’operato della Tyrell Corporation, il tutto, infiocchettato ad arte da un concept di tale spessore da far scuola per gli anni a venire.
Oggi come allora, il Blade Runner dei Westwood Studios riesce in effetti a stupire per la sua complessità, una qualità che non emerge soltanto dai tratti di un’ambientazione molto curata sia sotto il profilo tecnico che artistico, ma anche e soprattutto da un gameplay capace di amalgamare con successo la riflessiva natura del format di base con segmenti più dinamici. Ad esaltare questa armoniosa alternanza di sezioni investigative, riusciti enigmi di matrice logica e ricchi estratti dialogali, la costante necessità di condurre articolati interrogatori, ora in forma tradizionale seguendo criteri strutturali che avrebbero anticipato alcune delle soluzioni impiegate da un cult-game più recente quale L.A. Noire, ora in chiave più cinematografica come nella magistrale riproduzione procedura sinaptica Voight-Kampff tesa a individuare replicanti magari inconsapevoli della propria natura.
Con la complicità del sostanzioso numero di bivi narrativi proposti e dei dodici differenti epiloghi cui era possibile giungere esercitando il proprio libero arbitrio, questo approccio versatile alla narrazione costituì un vero spartiacque nell’universo delle avventure grafiche, prova ne siano le evidenti assonanze che legano l’opera a classici di genere successivi come Fahrenheit (2005), e Detroit: Become Human (2018) o persino a sottogeneri di sorta come le Visual Novel targate Telltale Games. Oltre al merito di aver realizzato un affresco tale da reggere il peso di un’eredità così ingombrante, al team Westwood Studios andrebbe in tal senso dato anche atto di essere riuscito a rivitalizzare lo spirito di un genere che, sul finire degli anni novanta appariva ormai ad un passo al declino.
L’eredità di Ray McCoy
Come alcuni ricorderanno, Blade Runner saltò fuori dal cilindro in un’epoca in cui le avventure grafiche erano sulla soglia profonda crisi concettuale: le innovazioni introdotte dagli engine poligonali e la rivoluzione Playstation avevano difatti spostato gli equilibri creativi e produttivi verso suggestioni più action, tanto da far apparire classici come Maniac Mansion e Monkey Island quali reperti di un’epoca tramontata.
Rendendosi probabilmente conto che la filosofia Punta & Clicca sarebbe potuta presto scivolare in una nicchia di mercato, i suoi stessi cultori tendevano peraltro a rinchiudersi a riccio su vecchi dogmi strutturali, il che li portava spesso a bocciare anzitempo ogni produzione che non rispettasse i precisi canoni imposti all’inizio degli anni ’90 dalla Lucas. Abbracciando una formula di gioco ritenuta da molti oramai datata, ma approcciandola in modo così innovativo, Blade Runner rischiava magari di scontentare tutti…
Al contrario di quanto si possa ipotizzare, sia la stampa specializzata che il pubblico si riscoprirono tuttavia affascinati dalla proposta, tanto promuoverla senza riserve.
Per una volta nella vita, un titolo idealmente avanti coi tempi venne pertanto accolto con adeguato interesse, macinando voti eccelsi da un lato e lauti incassi dall’altro. E se si considera che esso rappresentava anche la prima escursione mai effettuata dai suoi autori nei meandri della categoria, questo dato ha davvero del miracoloso.