In un prossimo futuro la biotecnologia ha fatto passi da gigante e controllare le funzioni vitali e del proprio corpo è ormai diventata la norma. Al contempo l’umanità ha iniziato a sviluppare un certo numero di mutazioni che hanno affetto diversi individui, molte delle quali inerenti la sparizione del dolore. La storia si apre con un delitto, per la precisione un figlicidio: una madre infatti soffoca nel sonno il proprio bambino, reo di aver manifestato una particolare voracità per la plastica, che era in grado di digerire senza problemi e dalla quale era ormai dipendente.
Da lì in poi il racconto si concentra sulla figura di Saul, un performer artist che in compagnia della sensuale Caprice tiene degli spettacoli nei quali usa una patologia rara che da tempo l’affligge, causandogli un dolore costante, e che porta alla continua formazione di nuovi organi. Saul si fa rimuovere dalla sua partner quelli in eccesso dando via a show macabri che l’hanno reso una celebrità nell’ambiente. Un’attività che attira l’interesse non solo del Registro Nazionale degli Organi, che intende vederci chiaro, ma anche del padre del piccolo ucciso a inizio film, leader di un gruppo sovversivo determinato a cambiare lo status quo sociale.
Crimes of the future: il vecchio e il nuovo
“Gloria e vita ai nuovi organi“: citiamo una battuta chiave, riadattandola per l’occasione, di un classico come Videodrome (1983) per tornare a parlare del ritorno di David Cronenberg a quel body-horror suo marchio di fabbrica, filone del quale è forse il principale esponente dell’intera storia del cinema. Crimes of the future vede il regista canadese tornare a quell’istinto morboso e senza mezze misure, portato a scioccare il pubblico e ad affrontare le soglie della morale per inscenare una vicenda torbida e affascinante, in grado di nascondere dietro la sana “violenza” di genere un significato più ampio e aperto a molteplici sfumature.
Il dolore come nuovo sesso, l’incisione e l’estrazione degli organi come forma di godimento masochista in un futuro privato di emozioni, freddo e schiavo di una società priva di stimoli dove per cercare di vivere bisogna osare laddove nessuno ha mai osato prima. Ma in tutto questo si fotografa in maniera esasperata soprattutto il nostro presente, dove il gusto per l’eccesso ha ormai preso il sopravvento e la notorietà si raggiunge con velleità estreme: non è un caso che gran parte dei video che diventano virali, garantendo milioni di visualizzazioni – e relativi guadagni – a chi li posta, vedano per protagonisti proprio individui alle prese con gesta più o meno folli e pericolose.
Crimes of the future è una sadica satira del nostro modo di guardare, critica lucida e spietata al mondo dei reality show, che tendono a mostrare tutto senza inibizioni di sorta – o almeno così vorrebbero farci credere. E allora ecco che qui ci si spinge oltre il vedibile, alla scoperta di quel corpo umano che tutti rifuggiamo nelle sue vesti più sanguinolente: alcune scene, inclusa l’autopsia finale, sono effettivamente disturbanti per il pubblico più impressionabile, ma va dato atto a Cronenberg di aver mantenuto anche nelle fasi più crude un gusto per il “finto” che tende a evitare gratuite derive torture-porn. Fa forse più male l’attesa dell’effettiva estrazione, in un crescendo d’ansia che si sublima in quel fotogramma finale in bianco e nero, tassello di una nuova evoluzione e di un ipotetico nuovo inizio per l’umanità intera.
Una notte senza fine
Ambientato per la pressoché totalità durante la notte, con le riprese in esterni che ben assicurano l’inquietudine necessaria ai vari tasselli che compongono la vicenda, tra intrighi complottisti e vagiti di atipico eros, il film possiede una sua personalità primigenia, riuscendo a coprire parzialmente anche alcuni tempi morti che rischiano di far capolino qua e là. Alcune scene d’altronde, come il ballo dell’individuo che si è fatto impiantare decine di orecchie sul proprio corpo o ancora il rapporto sessuale nella macchina autoptica, valgono da sole il prezzo della visione. Il cast non è naturalmente da meno e il trio di personaggi principali si rivela ben più che adatto ai rispettivi alter-ego. Se Viggo Mortensen, giunto alla quarta collaborazione con il regista dopo A history of violence (2005), La promessa dell’assassino (2007) e A dangerous method (2011), sa ormai alla perfezione come incarnare l’eroe cronenberghiano di sorta, offrendo una prova sofferta e in piacevole sottrazione, Léa Seydoux è sexy al punto giusto nelle vesti discinte della bella Caprice, con Kristen Stewart in un fondamentale e riuscitissimo ruolo di supporto.
L’anima noir che emerge a più riprese si riflette anche nel tono sobrio e diligente della narrazione, che non urla mai alla ricerca dello shock immediato o di uno spettacolo tronfio, demistificando le vie commerciali del genere in un approccio vintage, che restituisce D.C. a quel cinema che fu, in un’opera autocitante e fagocitante che conturba e respinge in egual misura. Come era prevedibile Crimes of the future non è per tutti, ma è in grado di sollecitare quel rimosso che spesso tendiamo a sopprimere, l’istinto voyeur più nudo e puro in una deriva introspettiva e psicanalitica che sembra essere una sorta di macabro e raffinato ibrido tra le due parti di carriera dell’autore di Toronto.
Il ritorno di David Cronenberg al body-horror è un film tetro e affascinante, nuovo viaggio negli inferi in un prossimo futuro dove l’umanità ha sviluppato mutazioni genetiche di diverso tipo, più o meno debilitanti o tendenti a un’inedita evoluzione della specie. Autopsie, organi che si riformano da soli, una chirurgia sempre più invasiva per trovare un’esposizione sempre maggiore e un masochistico piacere: con Crimes of the future il maestro canadese esaspera il nostro presente ed enfatizza i danni dei social network e dei reality show, con le performance più estreme che generano una fama effimera e l’occhio del pubblico che brama sempre di più. Un andare oltre i limiti che il regista mette in scena come solo lui sa fare, ricercando in quella iconica dicotomia uomo-macchina il veicolo per scioccare e far riflettere al contempo.