Rambo Speciale: il “barbone” prima di Sly

Gira in questi giorni una voce falsa e tendenziosa, ovvero che il personaggio di John Rambo abbia compiuto 40 anni. Falsa, perché Rambo nasce del 1972 nel bellissimo romanzo ‘First Blood’ di David Morrell, e dunque di anni ne ha almeno 50. Non è sbagliato invece dire che la pellicola epocale con Sylvester Stallone abbia tagliato il traguardo dei 40, e noi ne approfittiamo per un po’ di sana e gustosa divulgazione, che non fa mai male: perché anche quando i film hanno successo, non sono l’unica forma d’arte che contribuisce alla creazione di un Mito.

Rambo: Stallone l’ha reso iconico… ma nel romanzo non gli somiglia!

Iniziamo proprio da alcune immagini che ritraggono il mitico personaggio in varie edizioni del romanzo, prima che Sly arrivasse a definirne in maniera così radicale l’iconografia, con la sua capacità di scrittura – che è sempre stata una marcia in più rispetto, ad esempio, alla carriera dell’amico/rivale Schwarzenegger, che dalla sua ha però in più la passione per la politica – affidata in questo caso alle sapienti mani del regista Ted Kotcheff.

Tutto sommato, non così distanti, c’è da dire. Le differenze più rilevanti sono un fisico meno possente e la barba lunga, che rispondono alla descrizione di Morrell.
Nel libro si sottolinea ancor più che nel film la sua natura di ‘Hobo’, un vero e proprio senzatetto. Trascurato (notare nella prima immagine la presenza di vestiti logori), puzzolente e sgradevole. Nel romanzo si riesce a empatizzare anche con Teasle, arrabbiato perché quelli del Vietnam si prendono tutta l’attenzione portando nell’oblio chi come lui ha combattuto in Corea, ma tutto sommato è solo uno che non vuole guai. Non è il primo della giornata ad allontanare Rambo e anzi è pure più “gentile” di tutti gli altri, solo che becca il momento sbagliato, in cui quel vagabondo è stanco e stremato.
Ovviamente, SPOILER dal romanzo…. molti sapranno che nel finale del libro i due si uccidono a vicenda, come nel più epico dei western.

C’è stato un momento in cui nientemeno che Tomas Milian aveva i diritti del romanzo e si stava apprestando alla trasposizione con l’idea – secondo me giustissima, di una certa fedeltà all’originale. Lo avrebbe fatto magnificamente e forse anche meglio di Sly, e nientemeno avrebbero forse avuto lo stesso doppiatore, il mitico Ferruccio Amendola che si occupava di entrambi – ma alla Medusa gli dissero “Dai, chi diavolo vuoi che vada a vedere un film con il protagonista che si chiama Rambo? È il nome di una mela giapponese!”. Milian rinunciò, accontentandosi di soprannominare ‘Rambo’ il protagonista de ‘Il giustiziere sfida la città’.

Dai e dai…

Pochi anni dopo la stessa Medusa distribuì il film con Stallone, che in inglese si chiamava ‘First Blood’ come il romanzo, cambiando proprio il titolo in ‘Rambo’, con un successo tale da influire anche sul modo di distribuire la serie nel resto del mondo. Il seguito (da noi con il titolo/tormentone ‘Rambo 2 – La vendetta’) venne infatti chiamato, in USA, ‘Rambo – First Blood Part II’).
A scrivere la novelization del sequel venne chiamato proprio Morrell, a cui vennero dati tanti ma tanti di quei soldi che l’offerta “non la potè proprio rifiutare”, ma figuratevi l’imbarazzo a dover scrivere in nota di apertura (true story): “ragà abbiamo scherzato, fate finta che Rambo non è mai morto”.
Pure perché non era una di quelle morti tipo “cade nella cascata e nessuno lo vede più”, alla Sherlock Holmes. Nossignori: gli si apriva il cervello e tutto era descritto inequivocabilmente dal punto di vista di Rambo, che sentiva il suo spirito ascendere verso il cielo e incontrare la luce e, finalmente, la pace, unico modo possibile per un reduce di guerra.
Esiste anche un finale alternativo del film in cui Rambo muore, ma è molto meno epico, e comunque non piacque agli spettatori agli screen test e ovviamente nemmeno ai produttori, che già sentivano profumo di soldi e di sequel.

Comunque sia, il Rambo cinematografico man mano che accumulava successi si affermava sempre di più come un iconico ficone: fascetta rossa o nera (mai nominata nel libro), muscoli guizzanti (mai nominati nel libro), con tanto di cicatrici che fanno uomo di mondo, sempre lucido come appena uscito dalle finali di Mister Universo, insomma lo sappiamo. Più Capitan America con gli Howling Commandos – ci fecero pure un cartone animato in cui era a capo di una supersquadra, tipo G.I. Joe – che vagabondo straccione.

Illustrazione originale di Mauro “Manthomex” Antonini. Seguitelo su Instagram!

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C’è però – e con questo chiudo questa cartellata di ricordi – qualcuno che nel tradire il personaggio gli restò fedele in questo aspetto. Parlo di Dino Caterini, fumettista abile che – in piena ‘Rambomania’ – trovò il modo di far uscire in edicola una sorta di ‘mock-comic’, da me amatissimo, che si chiamava ‘Rambo Adventures’ e sembrava proprio un fumetto di Rambo senza essere un fumetto di Rambo.
Il protagonista era sputato a Sly – niente di male. Dylan Dog era sputato a Rupert Everett, erano cose che si facevano e si fanno – ma si chiamava Max Runner, soprannominato ‘Rambo’ (con l’accessoria invenzione che il termine indicasse una macchina da guerra in vietnamita).
Ebbene, costui era proprio un barbone, che se ne andava in giro di città in città come l’Incredibile Hulk del noto telefilm, tracannando bourbon di seconda scelta per sopire dolore e brutti ricordi e mettendosi nei guai, con il ricordo perenne del suo amore perduto Gung-Ho, entraineuse vietnamita barbaramente uccisa in guerra. Credo di aver letto e amato prima questi fumetti dei film, anche perché mia madre a vederli non mi ci mandava, considerandoli troppo violenti per un bambino di 8-10 anni. I fumetti di Caterini in quanto a violenza, tra l’altro, erano molto peggio. Ma questo la mia povera mamma non l’ha mai saputo e non lo saprà mai.

In America, molti hanno letto e amato prima il romanzo. Altre differenze tra film e romanzo, così, a buffo: nella pellicola Rambo è parecchio più loquace e provocatorio. Inoltre è una sorta di serial killer, caratteristica che paradossalmente Sly gli ha restituito nelle ultime iterazioni al cine. Teasle è a tutti gli effetti un co-protagonista, il romanzo alterna spesso il suo punto di vista con quello di John, e si può empatizzare anche con il primo, che si ritrova uno psicopatico in città senza rendersi nemmeno conto di come. Trautman non ne esce bene, nel libro: non c’è rapporto di mentorato ma anzi Rambo disprezza il suo ex superiore, lo vede come uno dei tanti che stavano col culo al caldo mentre i ragazzi andavano a crepare. E tanto altro che vi lascio scoprire.

Secondo me a noi cinefili – che in generale siamo troppo autoreferenziale- ci fa bene da lezione a ricordare che non esistono solo i film, nemmeno quando hanno successo.
Se ci sono romanzi alla base, o fumetti a latere, anche se non è obbligatorio leggerli, ricordiamocene.
Personalmente ho letto tardi il romanzo di Morrell ma oggi lo amo tantissimo, quanto il film e per certi versi mi piace anche di più. Più crudo, più drammatico, più realistico e più centrato sulla questione sociale e culturale, anche se per forza di cose molto USAcentrico (si dice?) e quindi meno vendibile a livello internazionale di un action-drama dove il protagonista alza su un casino ma di base non ammazza volontariamente nessuno.
A ciascuno i Rambi suoi.

Fumettista, giornalista, saggista, tutto quello che finisce in “ista” gli si confà alla grande, spaziando a 360 gradi nell’universo della scrittura ogni volta che la vita glie ne dà possibilità. Vi ricorderete di lui per le storie su ‘Samuel Stern’ e per la graphic novel ‘Garibaldi Vs. Zombies’, ma quando non ha il costume da supereroe scrive di cinema per CinecittàNews e per tante altre testate… tra cui indovinate quale?