Nella cittadina di Clerville scende la notte, e l’ombra di Diabolik si muove abile e felpata lungo le pareti del museo per mettere in atto il furto di una preziosa corona da collezione. Ma il colpo non è ancora completo. Durante la sfilata della collezione Armen, infatti, Diabolik s’impossessa anche del resto dei gioielli. Ma l’occasione del ghiotto furto si rivela però essere una trappola ideata e tesa dall’astuto Ginko, con l’aiuto di un team di avvenenti poliziotte prestate per l’occasione alle mirabili coreografie di un corpo di ballo. Il piano di Ginko metterà in fuga Diabolik ed Eva, lasciando indietro la seconda poi misteriosamente inghiottita dalle acque del fiume, ma farà individuare alla polizia il rifugio segreto del temibile ladro con tutti i suoi tesori nonché il laboratorio segreto utilizzato per creare maschere e preparare i colpi. Convinto di riuscire a catturare il suo acerrimo rivale dopo aver conquistato e messo sotto stretta sorveglianza il rifugio, Ginko verrà invece contattato da Eva Kant, che vuole vendicarsi per essere stata abbandonata durante la fuga e propone all’ispettore un piano per catturare il suo complice e amante.
Diabolik – Ginko all’attacco! riparte da Giacomo Gianniotti
Secondo film, ma non sequel piuttosto operazione a sé stante come ci tengono a precisare i fratelli Manetti, con protagonista l’imperscrutabile Diabolik dei fumetti datati anni ’60, Diabolik – Ginko all’attacco! (fedelmente adattato dall’omonimo albo nr. 16 della storica serie a fumetti) riparte da un nuovo “volto” (Giacomo Gianniotti – noto per aver interpretato Andrew DeLuca in Grey’s Anatomy) a indossare la tuta del celebre Re del Terrore, e da una canzone nuova di zecca (Se mi vuoi) firmata dal cantautore Antonio Diodato ad accompagnare i rutilanti e bondiani titoli di testa (una sorta di videoclip musicale con la fastosa coreografia di Luca Tommassini). Con questo secondo lavoro, i Manetti Bros. alzano dunque la posta in gioco tentando di dare al capitolo tratto dal numero 16 del fumetto scritto da Angela e Luciana Giussani una nuova connotazione in qualche modo coreografica e anche spiccatamente musicale, anche grazie alle musiche di Pivio & Aldo De Scalzi, tra gli elementi più interessanti di questo secondo film. Tra le novità in gioco anche la presenza (non propriamente memorabile) di un’inedita Monica Bellucci nei panni di Altea, avvenente contessa di Vallenberg con un debole per il commissario Ginko. Tra le vecchie conferme, invece, Miriam Leone – sempre brava e ancora una volta tra i volti più in parte – nei panni dell’immancabile Eva Kant, e Valerio Mastandrea, più protagonista che mai, a incarnare il commissario Ginko e il desiderio morboso di catturare il suo inafferrabile avversario.
Come prima, più di prima
Diabolik – Ginko all’attacco! si rivela dunque una nuova operazione ma immersa nel medesimo stile che avevamo già visto e conosciuto nel primo film a firma dei Manetti Bros. Ancora una volta, infatti, l’intento dei fratelli registi è quello di riportare in vita (ma a mezzo cinema) l’esperienza di un fumetto da sfogliare, la sensazione di scene che si susseguono pur mantenendo una loro narrativa staticità. Quasi una esplicita volontà, dunque, di rendere bidimensionale un mezzo (quello del cinema) che per sua natura si avvale di una profondità che di bidimensionale ha invece poco. Come nel primo capitolo, ma forse anche di più, qui si avverte però un limite al fluire della narrazione che sembra davvero procedere per compartimenti stagni generando con il passare dei minuti un distaccamento quasi fisiologico dalla storia. E se l’esperienza visiva offre senza dubbio momenti di godibile intrattenimento sono l’economia globale del film e l’atmosfera complessiva a farne le spese.
Volutamente statico e avvolto nella sua patina vintage, Diabolik – Ginko all’attacco! (secondo capitolo del trittico sul celebre ladro firmato dai Manetti Bros.) si fa forse ancora più fedele al fumetto da cui è tratto, ma non trova nel cambio di volto (da Marinelli a Gianniotti) una chiave di volta sufficientemente potente da rinvigorire l’appeal del lavoro precedente, e nella dinamica narrativa, fatta di piani d’azione lenti e di maniera, il guizzo necessario per nutrire la struttura del film, facendo sì che i 111 minuti (non pochi vista la natura minimal dell’opera) tendano a pesare troppo sull’esperienza di visione già affaticata dallo stile retrò e spiccatamente “bidimensionale”. E se nel primo film l’impostazione classica e l’aspetto originale dell’opera contribuivano a dare un aspetto desueto ma in qualche modo interessante e accattivante al prodotto, riportandoci a un passato che operava all’interno del (nostro) senso di nostalgia, qui l’effetto dejà vu pesa a sfavore di un film che, anche se dotato di diversi pregi tecnici, risulta ben più telefonato e ridondante del suo predecessore. Una seconda volta che a conti fatti non convince, almeno non del tutto, ma che lascia sospeso il verdetto finale dell’operazione alla visione del terzo capitolo (già annunciato e realizzato) di questo trittico stiloso ma non sempre appassionante, forse mai del tutto funzionale.
Voto: 5.5