Già ha vinto tre Golden Globe – su otto candidature – ed è pronto a dire la sua anche a marzo alla notte degli Oscar, dove è in nomination per ben nove statuette, incluse quelle più importanti. Arriva con notevole, e colpevole, ritardo anche nelle sale italiane Gli spiriti dell’Isola, conosciuto dai puristi della lingua originale con il ben più affascinante titolo anglofono The Banshees of Inisherin. La banshee, creatura leggendaria del folklore irlandese e scozzese, è uno spirito femminile dall’aspetto fatato che qui rivive in una rappresentazione ben più inquieta e sfuggente, quale metaforica cantrice di un racconto dalle mille sfumature, che ha inizio quando tra i due personaggi principali si scatenano dinamiche impreviste…
La storia è ambientata nell’immaginaria isola di Insherin (le riprese sono state girate in realtà a Inishmore Island e ad Achill Island) nell’anno 1923, in un periodo che vedeva ormai imminente la fine della Guerra Civile che aveva sconvolto il Paese negli ultimi mesi. Colm Doherty, violinista con una grande passione per la musica, e Pádraic Súilleabháin, mandriano di umili origini che vive insieme alla sorella Siobhán. I due sono amici da lungo tempo ma improvvisamente un giorno Colm decide di non rivolgere più parola al sodale, che non comprende il motivo di un tale e repentino ripensamento, inoltre privo di motivi di sorta. Dopo avergli chiesto insistentemente spiegazioni, Colm gli confida che ha deciso di interrompere ogni rapporto per non perdere tempo con una persona noiosa come lui e concentrarsi invece sulle composizioni folk e sulla passione per l’arte. Pádraic non accetta la risposta e continua a chiedere chiarimenti, fino a quando Colm non arriva a una soluzione estrema per toglierselo di torno: ogni volta che questi lo interpellerà, lui si taglierà un dito. Una minaccia che come presto scoprirà Pádraic non cadrà nel vuoto e porterà a una serie di eventi sempre più imprevedibili.
Gli spiriti dell’isola: un contorno unico
Un’Irlanda iconica e isterica, frutto delle sue suggestioni e di quelle contraddizioni che schivano la modernità in favore di un oltranzismo folkloristico, insieme pro e contro di un mondo destinato a non cambiare mai, tra le sue tradizioni e le credenze in un trascendentale figlio dei secoli. Proprio qui, in una terra senza religione ma con tanti dei, si dipana una storia terrena e dal sapore quasi biblico, moderna reiterazione del conflitto fraterno tra Caino e Abele: è vero che il legame tra Pádraic e Colm non condivide il sangue, ma per quanto ne sappiamo – almeno osservato da una delle due parti – il loro rapporto era forte e pieno di vita in egual misura. Forse proprio per questo la rottura è stata ancora più violenta, per recidere il tutto con un taglio netto che non lasci dubbi di sorta, e cosa vi è di più chiaro che un’amputazione, che tagliare qualcosa lì dove non può più ricrescere?
Una scelta che viene letteralmente gettata in faccia allo spettatore, che si trova ad assistere a questa disfida senza esclusione di colpi tra due amici ora nemici, sempre e comunque rispettosi l’uno dell’altro quando si mettono in mezzo modesti terzi incomodi. E non parliamo certo della sorella salvifica, figura di donna universale vittima di un patriarcato che lì ancor di più miete vittime in quel microcosmo sepolto dal tempo, e nemmeno del giovane disadattato di un Barry Keoghan sempre più bravo soprattutto in parti fuori dai canoni. Gli omaggi, più o meno dichiarati, a un sempiterno classico del cinema tutto si sprecano poi nella figura drammatica dell’asina Jenny, sorta di moderno e tragico erede del Balthazar al centro del capolavoro firmato da Robert Bresson negli anni Sessanta, recentemente rivissuto in un’altra toccante opera contemporanea, anch’essa candidata agli Oscar – ma in questo caso per il miglior film straniero – quale il polacco Eo (2022).
D’altronde non è un caso che la natura, flora o fauna che siano, è sfondo presente e pulsante, palcoscenico suggestivo nel farsi da teatro silente dove si assiste ad eventi apparentemente piccoli ma carichi di profondi significati, riflessione sul senso della vita in un contesto arcaico e lontano dalla cosiddetta società moderna, anch’esso comunque schiavo ignaro e (in)consapevole dei vizi e della virtù di quanto si chiama civiltà. Proprio nella gestione del contesto il regista Martin McDonagh pennella con arguzia e istinto, trovando il corretto modo di imprimere l’atmosfera del contorno quale perfetto territorio della resa dei conti, letteralmente senza esclusione di colpi (morali) tra i due protagonisti.
Se Gli spiriti dell’isola riesce a far emergere questa ro(to)nda di emozioni e pulsioni represse, frutto di una devozione quasi ieratica allo spirito indomito che da sempre abita nei luoghi più reconditi dell’anima, è soprattutto grazie alla magistrali interpretazioni di Colin Farrell e Brendan Gleeson, che dopo aver passeggiato insieme per le stradine – solo apparentemente tranquille – della cittadina belga nel seminale In Bruges – La coscienza dell’assassino (2008), anch’esso diretto da McDonagh, sono qui magneti antitetici, che si attraggono e respingono in una delle amicizie più bizzarre e iconoclaste mai raccontate su grande schermo.
In un’Irlanda fuori dal tempo e dallo spazio ha luogo la tragica disfida tra due personaggi senza mezze misure, frutto e metaforica trasmutazione delle ombre di quel conflitto civile che proprio in quei mesi, siamo nel 1923, aveva scosso il Paese. Fratello contro fratello, amico contro amico in una resa dei conti priva di reale motivazione, figlia di un’insoddisfazione che si cela in quelle terre così mi(s)tiche e ancorate a una tradizione secolare se non millenaria, dove gli spiriti e la natura giocano un ruolo determinante nel farsi elemento chiave e portatore del racconto, tra eccessi splatter che sconquassano l’atmosfera apparentemente quieta del suggestivo contesto e insensate tragedie che ribollono progressivamente nel cuore del pubblico e dei personaggi. Nessuno vince, tutti perdono qualcosa in un racconto che sacra e dissacra, dove tra violenza, ironia e amarezza permane sempre e comunque un’ombra di lasciva speranza.