Dead Island 2: la nostra intervista a Dambuster Studios

Dambuster Studios

La preview di Dead Island 2 è stata come il corposo antipasto di un banchetto nel quale non vediamo l’ora di tuffarci, ma fino ad aprile potremo soltanto cullarci nei ricordi di quanto abbiamo avuto modo di provare qualche giorno addietro. A mitigare in parte il nostro dolore, e rassicurarci in merito alla cura che l’intero team di sviluppo ha riversato nel gioco, ci ha pensato il direttore tecnico-artistico dello studio britannico, Dan Evans-Lawes, con il quale abbiamo parlato dell’eredità raccolta da Techland, degli aspetti più peculiari della lavorazione e di come sperano che l’esperienza farà breccia tra gli appassionati di horror, picchiaduro e, più in generale, di giochi divertenti.

Dead Island 2GamesVillage: Innanzitutto, grazie per la disponibilità! Sono felice di poterti rubare qualche minuto perché mi sono occupato personalmente dell’hands-on e posso anticiparti che mi è piaciuto tutto quello che ho visto!

Dan Evans-Lawes: Fantastico, sono molto contento di sentirtelo dire!

GV: Vorrei domandarti com’è stato farsi carico di un gioco che è passato per le mani di diversi studi di sviluppo prima di voi, e quanto di quello che era stato già fatto, sia in termini narrativi che tecnologici, siete riusciti a preservare?

Dan: Dunque… il gioco che hai avuto modo di provare adesso è stato praticamente rielaborato da zero nel 2018, e da quel momento in poi le ambientazioni, i personaggi, le meccaniche e più o meno tutto il resto sono frutto del lavoro che abbiamo svolto. Non posso esprimermi in merito a quanto gli altri avevano realizzato prima di allora ma, ripensando a Dead Island 1 e Riptide, volevamo creare qualcosa che fosse un degno successore di quei titoli, quindi abbiamo preso gli elementi positivi di entrambi e li abbiamo elevati a potenza. E credo che la decisione di concentrarsi sul combattimento in mischia in prima persona abbia dato i suoi frutti.

Dead Island 2GV: Il modo in cui le vicende dei personaggi principali si intrecciano con lo svolgersi degli eventi mi ha davvero colpito: Dead Island 2 sarà l’inizio di una nuova serie che racconterà l’inizio e la fine dell’apocalisse zombi oppure è pensato per essere consistente e autoconclusivo?

Dan: Beh, non possiamo ancora parlare di progetti futuri, ovviamente dobbiamo prima far uscire il gioco vero e proprio. Penso sia un mondo intrigante caratterizzato da personaggi davvero unici e che sarebbe interessante esplorarlo più a fondo, ma al momento non posso davvero dire altro a riguardo!

GV: In termini progettuali, quali sono state le difficoltà più grandi che avete incontrato durante la lavorazione?

Dan: Calibrare bene le dimensioni dei quartieri è stato complesso, sia in termini di prestazioni che di gioco, come pure bilanciare le zone aperte con gli ambienti chiusi e perfezionare il design dei livelli per amalgamare le due cose. È stato un processo molto iterativo, nel quale devi ideare qualcosa e comprendere come integrarlo nel contesto. Naturalmente, poiché siamo partiti da zero, molti sistemi non erano stati implementati o non funzionavano a dovere, quindi siamo stati costretti a procedere per tentativi e ipotesi senza avere davanti il quadro completo, cercando di immaginarci come avrebbe potuto funzionare il tutto se questa o quell’altra caratteristica fossero già presenti. A volte ci si riesce, altre si sbaglia, ma credo sia un passaggio obbligato quando si inizia qualcosa dal nulla, perché non si hanno meccaniche di gioco consolidate su cui lavorare finché non vengono realizzate: credo che la sfida più grande in assoluto sia stata proprio questa.

Inoltre, abbiamo questo fantastico motore di smembramento e macellazione chiamato F.L.E.S.H., ma è stato piuttosto difficile trovare un equilibrio che rappresentasse accuratamente i danni subiti dagli zombi, oltre a cercare di tenere conto di ogni singola variabile numerica e di tutto il resto: per dire, all’inizio le armi infliggevano un quantitativo prestabilito di danni, e quando ti trovavi di fronte un nemico robusto non potevi far altro che menare colpi all’infinito finché non moriva, un po’ come i mostri creati da Ray Harryhausen ne Gli Argonauti, il che rendeva gli scontri abbastanza stupidi (ride, ndr). Abbiamo quindi dovuto ripensare il modo in cui rappresentare le ferite dei non morti e assicurarci che fosse possibile infliggere loro danni sempre più rovinosi, una finezza che si evince in particolar modo con le armi da fuoco: se spariamo ad uno zombi nerboruto con una pistola, all’inizio i fori di proiettile che gli apriremo sulla pelle saranno piuttosto piccoli ma, man mano che la sua salute diminuisce, scorgeremo lesioni più profonde, le budella inizieranno a fuoriuscire dagli squarci e così via. Anche questo è stato un ostacolo decisamente arduo da oltrepassare, che abbiamo messo a punto solo verso la fine degli sviluppi.

GV: Se posso rivelarti un piccolo aneddoto, mia moglie è un’infermiera e ha visto la sua bella dose di ferite di ogni tipo nel corso della sua carriera. Ebbene, mentre mi guardava giocare a Dead Island 2, è dovuta uscire dalla stanza più volte perché non sopportava il livello di violenza che dovevano sostenere quei poveri cadaveri!

Dan: Oh, wow! Mi fa davvero piacere saperlo (ride, ndr)!

Dan Evans-Lawes – Technical Art DirectorGV: Parlando degli aspetti ruolistici, siete già partiti con dei concetti ben definiti (livelli per armi e personaggi, danni elementali, carte, ecc… , ndr) oppure avete sperimentato un po’ prima di trovare la formula giusta?

Dan: Abbiamo riflettuto a lungo sul modo migliore per incastrare le cose, e il motivo per cui la scelta è ricaduta questo sistema basato sulle carte è stato per incoraggiare la sperimentazione, poiché se il personaggio viene vincolato ad un albero di abilità non è possibile personalizzarlo in seguito senza riassegnarle tutte. Volevamo preservare un certo grado di autonomia per i giocatori, perché il gioco è molto incentrato sul combattimento ravvicinato in prima persona, e il rischio era che venisse giudicato come qualcosa di semplicistico dove basta schiacciare un pulsante per prendere a calci gli zombi. Negli sparatutto, la percezione comune è che serva una certa competenza per prendere la mira e muoversi in giro per le mappe, mentre quando i nemici tendono a venirti incontro l’importanza viene data al modo in cui concatenare gli attacchi, parare, schivare e così via: ritengo che le carte siano un ottimo espediente per alternare le strategie e trovare quella che più ci aggrada. Osservando le persone che giocano in ufficio, ho notato che il modo di giocare di ciascuno non è mai perfettamente uguale a quello di qualcun altro, e tutti gli sforzi infusi per cercare un buon equilibrio tra i vari talenti hanno fatto sì che non ci sia una combinazione più potente delle altre, ma che tutte concedano grossomodo le medesime probabilità di cavarsela.

GV: In termini di storia, come siete riusciti a legare fra loro missioni principali e secondarie in modo da ottenere un filo narrativo continuo e coerente dall’inizio alla fine?

Dan: Per certi versi, la narrazione è piuttosto tradizionale: ci sono le missioni principali che si completano per progredire nel gioco e poi quelle secondarie che non sono obbligatorie ma comunque interessanti. In genere, queste ultime sono dei brevi accadimenti circoscritti, non interferiscono granché con la trama principale ma forniscono un valore aggiunto sotto forma di piccoli dettagli di contorno. In effetti, penso che i racconti migliori si trovino proprio all’interno di queste missioni ausiliarie, che abbiamo reso un po’ più coinvolgenti del solito “vai lì, fai questa cosa e basta”, in modo da arricchire di conseguenza l’ambientazione.

Dead Island 2GV: Anche a me piacciono tantissimo le mini storie complementari, e ho adorato il fatto che siano letteralmente infarcite di citazioni di ogni tipo!

Dan: Esatto! Scoprirai che abbiamo inserito un sacco di riferimenti ad ogni genere di film e serie TV, in particolar modo ai grandi classici dell’orrore di cui tutti noi siamo grandi appassionati!

GV: A parte l’eccezionale motore grafico, quali pensi siano le caratteristiche salienti di Dead Island 2 che lo aiuteranno a spiccare dalla massa?

Dan: Credo che il tono sia piuttosto insolito: abbiamo cercato di ottenere qualcosa che non si prendesse del tutto sul serio ma che non fosse nemmeno costantemente super scherzoso, una cosa che non si vede spesso in contesti simili. Penso inoltre che un videogioco di combattimento in prima persona sia piuttosto singolare, di concorrenza in giro non ce n’è poi tanta, e in questo senso volevamo essere i migliori. E poi, la sensazione di divertimento che trasmette è unica, mi auguro che sia molto diversa da tanti suoi simili e che, per quanto l’affermazione sia un po’ azzardata, incoraggi le persone a lasciarsi andare a un po’ di sana e gioiosa violenza (ride, ndr).

GV: In effetti, quest’ultimo è davvero uno degli aspetti più riusciti: a volte sembra di giocare con un classico picchiaduro a scorrimento laterale, ma in prima persona!

Dan: Verissimo, ce l’hanno detto in tanti!

Dead Island 2GV: Se potessi sceglierne soltanto uno, quale vorresti che fosse l’aspetto del gioco che gli utenti si ricorderanno per sempre?

Dan: Beh, visto che lo stai chiedendo a me, in qualità di direttore tecnico-artistico ho lavorato tantissimo sul sistema F.L.E.S.H., è il mio bambino e vorrei fosse proprio lui a passare alla storia! Ma, nella fattispecie, fin dall’inizio mi sono detto: “Non ho mai visto un buon effetto di liquefazione in nessun gioco”, quindi ci siamo impegnati molto per fare in modo che gli zombi potessero sciogliersi in maniera credibile. Credo proprio che questo sia stato il mio traguardo più significativo (ride, ndr)!

GV: Ritieni comunque che il team abbia raggiunto un buon equilibrio tra i momenti folli e spensierati e quelli più emozionali, oppure i primi rischiano di andare un po’ a detrimento dei secondi?

Dan: Possiamo riallacciarci a quanto detto prima sul tono generale: ho sempre considerato un po’ incongruo, in un gioco, fare a pezzi la gente un minuto prima e all’improvviso ritrovarmi in una cutscene a chiedermi piangendo: “Oh Dio, cosa ho fatto!”. Penso che queste due cose non vadano d’accordo e che i personaggi non rappresentino effettivamente ciò che prova il giocatore. Nei nostri titoli, se proprio vuoi concentrarti sulla narrazione a scapito di ogni altra cosa, allora puoi ricavare dei momenti emotivi seri e concreti, ma non credo comunque sia il caso di Dead Island: ciò che realmente conta in quest’ultimo è spaccare le teste a centinaia di zombie e divertirsi!

GV: Concordo appieno: non tutto dev’essere necessariamente cupo e tetro, ogni tanto è bene ricordare che i videogiochi possono essere un mezzo di svago.

Dan: Sì, è stata una scelta consapevole, perché ci sono molti giochi che utilizzano questo tipo di approccio pesante e serioso, e noi sentivamo il bisogno di fare qualcosa di diverso, altrimenti ci saremmo semplicemente mescolati a tutto il resto. Abbiamo preso questa decisione per aiutare il gioco a distinguersi.

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.