Final Fantasy XVI Recensione: ritorno al passato

Final Fantasy XVI

Che cosa rende “Final Fantasy”… Final Fantasy? Con Final Fantasy XVI Hiroshi Takai, Naoki Yoshida e tutti gli artisti e ingegneri della Creative Business Unit III di Square Enix tentano di rispondere a questo annoso quesito. «Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo», diceva Shakespeare, ma non viveva in un periodo in cui i brand recavano con sé aspettative sul pubblico. FF è universalmente noto come l’esponente del genere dei JRPG più importante e influente: ma se la categorizzazione in “JRPG” è sorpassata e gli stessi autori del gioco chiedono di non utilizzarla più, allo stesso tempo c’è da considerare cosa distingue un gioco della serie di Final Fantasy da uno di un’altra serie o saga di giochi simili sempre, magari, di Square Enix, come Dragon Quest, Octopath Traveler o Bravely Default . O anche, semplicemente, di spin-off che mantengono il logotitolo ma non sono “numerati”. Final Fantasy XVI ci dà l’opportunità di fare le dovute considerazioni e affrancarci, si spera, dal passato.

Final Fantasy XVI Final Fantasy XVI: l’eredità dei cristalli ha plasmato la nostra storia troppo a lungo

Sì, lo sappiamo, la stiamo prendendo larga e magari volete solo sapere se FFXVI è bello quanto sembra. Ma il giudizio sul titolo crediamo che in questo caso non possa esulare da questo tipo di considerazioni, oramai pronte a esplodere, in un’epoca in cui la distinzione di generi tra le opere multimediali è sul viale del tramonto. Diciamolo subito: numerare i capitoli della saga poteva avere un senso una volta, ma da tanti anni non è già più così. Final Fantasy XV lo ha dimostrato già dieci anni fa, quando all’annuncio era uno spin-off in un’altra dimensione del tredicesimo episodio e poi si è “evoluto” nella sua sciagurata incompletezza che ne ha minato le enormi potenzialità.
La numerazione genera confusione e aspettative errate che dobbiamo lasciarci alle spalle, ed è molto significativo che una delle frasi cardine della trama del nuovo gioco possa essere adattata anche all’identità stessa del gioco e della serie. Final Fantasy XVI è stato tacciato dalla ‘vecchia guardia’ di fan (che in gran parte vive cullato dai dolci ricordi di madeleine proustiane di epoca PS1 e PS2) di “non essere un Final Fantasy” per via dei tanti allontanamenti da alcuni elementi ritenuti imprescindibili in un gioco del franchise… o quantomeno in un gioco della saga numerato. Per la serie: la sperimentazione possiamo accettarla solo negli spin-off come Stranger of Paradise, ma non toccateci i combattimenti a turni o pestiamo i piedi. Ebbene, i tempi cambiano e c’è bisogno di rinnovamento, ma questo non vuol dire rinnegare il passato o le tradizioni, quanto accettare il cambiamento, soprattutto se operato animati di buona volontà.
Parliamoci chiaro: il combattimento a turni dei vecchi Final Fantasy era davvero così bello? O semplicemente era un elemento che il fan di lungo corso cerca a prescindere dal risultato finale?
FFXVI si scrolla di dosso alcuni elementi classici, in cerca di un pubblico più ampio, ma in realtà, qui lo diciamo e non lo smentiremo mai, è anche più tradizionalista del dovuto, ed è “più” Final Fantasy di quanto ci saremmo mai aspettati.

Final Fantasy XVIBack to the past

Chi ha una conoscenza effettiva di tutto il franchise e ha giocato anche i capitoli dell’era 8 e 16 bit ritroverà quello che davvero, a nostra opinione, “rende davvero Final Fantasy… Final Fantasy”. E quindi non parliamo di combattimenti a turni, incontri casuali o semplicemente la presenza condivisa tra i vari titoli del franchise di un bestiario, un grimorio e un pantheon di entità ancestrali da evocare comuni, quanto dell’esperienza di gioco in sé. Final Fantasy XVI è un’epopea con lo stesso retrogusto dei vecchi giochi della saga, un flavour che non sentivamo così prepotentemente dai tempi del decimo capitolo. Badate bene, non stiamo parlando di qualità o divertimento, ma del livello di coinvolgimento. Chi scrive questa recensione ha speso il numero maggiore di ore in capitoli numerati che reputa mediocri da un punto di vista ludico ma eccezionali da quello dell’esperienza, per dire. E questo sedicesimo capitolo ci ha riportato esattamente a quelle sensazioni, quando venivamo catturati da storie di pellegrinaggi alla fine del mondo in cerca di soluzioni impossibili ad apocalissi imminenti, in compagnia di personaggi carismatici e totalmente immersi in un mondo di pura meraviglia, basato su immaginari high fantasy con tocchi e concessioni sci-fi ben dosate. Immaginari in cui non vedevamo l’ora di perderci e di “vedere come continua” restando ammirati dalle caratteristiche cut-scene e incantati dalle immarcescibili musiche orchestrate dai migliori compositori nipponici.

Fire and Ice

Inutile girarci attorno: il sistema di combattimento e le meccaniche di gioco, in un Final Fantasy, sono importanti solo in quanto comfort zone di una buona fetta di pubblico, ma quello che interessa tutti è, in realtà, il cast di personaggi e l’epicità della storia narrata, che da sempre aizzano l’hype del fandom. FFXVI, da questo punto di vista, è partito quasi in sordina, con personaggi apparentemente meno caratterizzati e interessanti di quanto visto negli ultimi capitoli: la presenza di Naoki Yoshida ha sviato in molti pensando a una spersonalizzazione dell’esperienza, con dei personaggi abbastanza generici “da MMO” come FFXIV, dai nomi decisamente poco carismatici, oltretutto. Clive, Jill, Joshua? Sembrano nomi da comparsa in Dawson’s Creek, non epiche figure di un high fantasy. Niente di più sbagliato, e i germi della bellezza della loro caratterizzazione erano presenti già negli splendidi artwork di Kazuya Takahashi.
Fuoco e ghiaccio caratterizzano il titolo e sono un palese richiamo alle ispirazioni alla base della trama e dell’immaginario: da un lato Game of Thrones (il cui titolo originario, ricordiamolo, è proprio “A Song of Ice and Fire”) ma al contempo richiama Fire and Ice, misconosciuto film d’animazione high fantasy di Ralph Bakshi e Frank Frazetta. Lo stesso Frazetta che ha contribuito a creare l’immaginario visivo del fantasy negli anni ’70 e ’80, con le sue visioni de Il Signore degli Anelli, Conan il barbaro e tanti altri, che hanno poi influenzato gli immaginari di serie come Masters of the Universe;

Final Fantasy è stato storicamente un ricettacolo di queste ispirazioni, che trovano ora la loro massima espressione visiva grazie alle potenzialità offerte da uno sviluppo in esclusiva su PlayStation 5, al servizio di una storia matura che non si risparmia allusioni sessuali e cruda violenza proprio alla stregua della saga di George Martin. La storia di Final Fantasy XVI è una vicenda fortemente politica ma anche personale, che come da tradizione parte dal basso per poi arrivare a toccare un elemento di minaccia che riguarda tutto il mondo. Si tratta di una storia non accomodante con il fandom, che tratta di consapevolezza, accettazione, sacrificio. Del cambiamento che il singolo può apportare nella società e del dovere di chi è prescelto dal fato di prendere posizione e operare un cambiamento, in un modo o nell’altro. Una vera e propria condanna all’ignavia, la certezza che il destino è sì scritto, ma non nella pietra, quanto nel mutevole fuoco che tutto brucia e trasforma. Cosa ne sarà della cenere rimanente? Si perderà nel vento o sarà fertilizzante? La riflessione, come al solito, tocca anche temi ecologici, ma il tema portante è l’autodeterminazione.

DualSense alla mano

Se Final Fantasy XVI fosse stato pensato come un lungometraggio animato sarebbe stato un must see assoluto, tra l’opulenza tecnica, la bella storia e una regia che, contiamo, sarebbe stata accorta e spettacolare. Tuttavia, è un videogioco… della famigerata serie numerata per di più: dunque dobbiamo valutarlo come opera multimediale, e quindi entrano in gioco fattori tecnici e di design da cui non possiamo prescindere. E qui arriva la parte più difficile. L’essere una esclusiva “temporale”, come già detto, ha permesso a CBU III di affrontare con relativa serenità la sfida di spremere le potenzialità attuali dell’ammiraglia Sony, e di certo c’è poco di cui lamentarsi. Gli scenari sono magnifici, con alcune delle più belle texture a nostra memoria a rendere particolarmente realistici gli ambienti e le vesti dei protagonisti. Di contro, non sempre le animazioni ci hanno stupito, e nel pre-lancio abbiamo notato un frame rate non sempre ottimale, soprattutto durante le fasi di esplorazione e transizione. Tuttavia, già la patch del day one migliora alcuni piccoli problemi grafici riscontrabili, tra cui un accentuato motion-blur che potrebbe dar fastidio ad alcuni giocatori. L’unica vera pecca che ci sentiamo di segnalare da questo punto di vista riguarda piuttosto la telecamera durante le battaglie più frenetiche contro gruppi di nemici, che non sempre segue l’azione nel migliore dei modi.

E qui arriviamo al punto dolente dell’intera produzione. Come già detto, non ci scandalizziamo per niente per l’idea di ricreare un battle-system interamente action senza soluzioni intermedie che strizzano l’occhio ai comandi classici come visto in FFXV o FFVII Remake: il problema è che, per certi versi e nonostante la presenza alla direzione di un guru del genere come Riota Suzuki, il gameplay è davvero basico. Quanto avete probabilmente visto nella ricca demo è la base su cui verranno inseriti nuovi comandi e nuove abilità, e come in tutti i Final Fantasy prima che le vere potenzialità vengano svelate servono diverse ore di gioco, ma il battle system è pensato per essere davvero alla portata di tutti, riproponendo meccaniche da action-RPG oggettivamente vecchie, già viste, e per questo rodate e funzionali, ma non necessariamente appaganti, anche perché gli approcci base, una volta imparati i pattern di attacco dei vari nemici, sono semplici e se siete abituati a titoli più variegati e complessi potrebbero lasciarvi con una sensazione di incompiutezza. Il divertimento c’è, intendiamoci, ma le combo potevano essere ben altra cosa. Appare evidente come il team di sviluppo, per evitare qualsivoglia problema di incompletezza nello sviluppo, è partito dalle basi per assicurarsi di arrivare alla scadenza con tutto al proprio posto per assicurare l’esperienza, ma anche senza alcun guizzo.

Non si ha mai l’impressione che una build piuttosto che un’altra possa fare la differenza in uno specifico caso, anche perché sono in realtà ben pochi i modificatori all’opera e disponibili solo sul protagonista: gli altri personaggi vi seguiranno e parteciperanno agli scontri ma da questo punto di vista FFXV e FFVII Remake funzionavano molto, molto meglio. C’è da dire che la semplificazione è piuttosto generale e generalizzata, con le abilità degli Eikon sfruttate più per i vantaggi intrinseci che per motivi specifici… non ci sono reazioni elementali e rapporti di forza tra le mosse e gli attacchi, e tutto quello che ci separa dal button mashing è l’estrema punibilità dei colpi menati a casaccio. La difficoltà del gioco sta tutta nell’abilità dei nostri avversari di toglierci parecchia energia quando sbagliamo approccio, ma per il resto FFXVI, tra scontri poco variegati dal punto di vista delle tattiche di combattimento, un percorso piuttosto obbligato nel corso della storia e la enorme preponderanza della parta narrativa, si “gioca da solo”. Il che non è necessariamente un male ed è, ricordiamolo, un elemento tipico della saga, che però negli episodi migliori dal punto di vista del design riusciva a essere mitigato da pseudo open world vibranti e meccaniche di gioco più intriganti nelle loro combinazioni.

Non ci sono funzioni di gioco che, oggettivamente, non potevano essere implementate in un titolo della serie che sarebbe girato (a livello di game design) su PlayStation 3, e anche le spettacolari risoluzioni dei combattimenti dinamiche e cinematiche non sono che l’evoluzione del concetto visto in alcune battaglie della parte finale delle avventure di Noctis nel precedente capitolo numerato, svilite dall’essere QTE tra i più semplici mai visti. Le battaglie tra Eikon, invece, rimandano agli Arena Fighter di una volta, cosa che da un lato ci avvolge nella nostalgia ma dall’altra ci rimanda davvero nel passato, non nel futuro delle potenzialità di una console come PlayStation 5, utilizzata come mero vettore tecnico di potenza esplosiva.

Piattaforme: PlayStation 5

Sviluppatore: Square Enix

Publisher: Square Enix

Se siete tra i dubbiosi del “non è un Final Fantasy” ricredetevi, perché Final Fantasy XVI è il gioco che più porta impresso il DNA del franchise dai tempi di FFX, e questo non ha nulla a che vedere con il sistema di combattimento. Anzi, fosse per noi anche altri retaggi del passato (come il sistema di acquisizione del denaro) poteva essere innovato, perché quello che andava preservato, al fine di preservare l’identità della serie stessa, è il retrogusto dell’esperienza, che è dannatamente centrato e travolgente, anche in virtù di una opulenta rappresentazione grafica e di una colonna sonora magnifica. Inoltre, al di là di qualche frettolosità narrativa, il titolo CBU III vanta una delle trame migliori della saga, soprattutto a livello di macrotematiche e spunti di riflessione in cui il fantasy pone delle domande al pubblico traslabili sul mondo reale. Certo, c’è il “problema” che si tratta di una storia su binari, e che l’elemento RPG propriamente detto è in realtà praticamente inesistente, ma fa parte del gioco. Introdurre scelte morali e bivi narrativi, probabilmente, quello sì che snaturerebbe FF per come lo conosciamo. L’afflato action non è errato nel suo intento (che è quello di portare utenza fresca nel fandom) quanto nella sua applicazione, troppo semplicistica e basilare. Non c’è nulla di sbagliato, ma non c’è neanche nulla di… non diciamo innovativo, ma quantomeno coinvolgente a livello di meccaniche: il coinvolgimento è tutto basato sull’epica, ottimamente e spettacolarmente veicolata. Tutto molto bello… tutto molto semplice. Una delle giostre più belle tra quelle presenti nel Luna Park di “PlayStation 5 Land”, ma anche una della più blande a livello di gameplay e game design. Questo dovrebbe spiegarvi il voto finale perché non si può premiare più di tanto qualcosa di meraviglioso ma che, al contempo, va fin troppo sul sicuro, non solo senza innovare, ma senza neanche offrire un minimo di complessità. Lo consigliamo? Assolutamente sì, comunque! I Final Fantasy non si consigliano quasi mai per il gameplay, ma per le sensazioni che donano, l’esperienza che rimane addosso. Certo, un po’ d’amaro in bocca rimane perché anche l’esperienza puramente ludica poteva uscirne galvanizzata.
Se cercavate un action-RPG sfidante e complesso, valutate se per voi l’esperienza vale più della sostanza. Se cercavate Final Fantasy, l’avete trovato!

Voto: 8.6

 

 

Toumarello è il nickname che si porta appresso ormai da anni, ma non chiedetegli di spiegarvelo: è un tipo logorroico e blablabla. Per vivere (in ogni senso) scrive e descrive, in particolare di roba multimediale, crossmediale, transmediale... insomma, gli interessa il contenuto ma spesso resta affascinato dall'utilizzo del contenitore. Ama Tetris e le narrazioni interattive.