Crash Bandicoot N. Sane Trilogy Recensione: piccolo è meglio? Il peramele debutta su Nintendo Switch

crash bandicoot switch

Nel bene e nel male, c’è qualcosa di erroneamente blasfemo nel rigiocare a Crash Bandicoot N. Sane Trilogy impugnando i Joy-Con di Switch. Quasi, appunto, perché il peramele più famoso del globo aveva rotto i legami di esclusiva con Sony quasi due decenni fa per poi, però, scomparire del tutto dai radar dell’industria. Un’assenza che, con il marchio nel frattempo transitato nelle mani di Activision, ha contribuito a rafforzare l’immagine di icona della prima console di Sony con cui molti videogiocatori di oggi sono, nel frattempo, cresciuti. Passano gli anni, passano le generazioni e pure le leggende. Perché, a distanza di un anno, Crash, dopo il ritorno in pompa magna con la remastered della trilogia originale apparsa in esclusiva temporale su PS4, approda anche sugli altri sistemi.  Ed è proprio sulla versione per l’ibrida Nintendo che, nel bene e nel male, si concentra questa recensione.

The story so far

C’era una volta, appunto, la prima console di Sony. Playstation, per gli amici PSX, non aveva, forse, bisogno di vere e proprie mascotte. Eppure, laddove Nintendo sfoggiava un Mario più in forma che mai nella sua versione 64  e con SEGA che, nel frattempo, aveva stupidamente accantonato il veloce porcospino Sonic, fu proprio l’utenza di Sony a eleggere il marsupiale arancione come icona dell’hardware a fronte di un primo capitolo che, al di là di scomodi confronti, seppe imporsi in un mercato variegato e competitivo. L’opera di Naughty Dog non aveva – e, chiariamo: non ha! – il raffinato level design di un Super Mario, né, probabilmente, la precisione dei controlli di un Sonic. Eppure, nell’ubriachezza globale dell’epoca, nessuno sembrò notarlo e critica e pubblico, per una volta in simbiotico balletto, si affrettarono a decretare Crash Bandicoot come capolavoro. Magari non assoluto, ma capace di piazzare copie e, pure, console. Insomma, una killer application. Se il primo seguito rafforzò la percezione, il terzo capitolo rappresentò la fine di Crash. Con i cagnacci californiani dirottati su altri progetti, il marchio passò di mano e poi, dopo un poco fortunato destino multipiattaforma, scomparve dagli scaffali. Mai, evidentemente, dai ricordi dei videogiocatori.

Insana trilogia

Qualche veloce e impreciso cenno storico per contestualizzare come il ritorno del peramele sia stato vissuto dall’utenza di Playstation alla stregua del figliol prodigo che ritrova la strada di casa. Per poi, però, smarrirla a stretto giro. Dopo 12 mesi, il concetto di esclusiva si schianta con l’arrivo sugli store della concorrenza di questa remastered, rimpolpata da qualche extra e, su Switch, impreziosita dal concetto di portabilità, se pur castrata da un comparto tecnico non all’altezza delle controparti. Nel bene e nel male, appunto. E allora, si parta dal bene. Il design dei livelli, la loro durata, le meccaniche stesse alla base di Crash Bandicoot, Cortex Strikes Back e Warped sembrano fatte apposta per il gioco in mobilità. Sembrano fatte apposta, quindi, per Switch, le cui peculiarità in termini di controlli non sono state neppure valutate. Come a dire che il gioco, in questa nuova incarnazione, risulta essere, almeno a una prima occhiata, identico a quanto già ammirato su Playstation 4. Nel bene, già. Perché, appunto, è possibile giocare nei panni di Coco o, perché no, cimentarsi nelle prove a tempo di tutti i livelli dei tre titoli. Ed è possibile, pure, testare i due stage extra che caratterizzano la collection. Il primo, già apparso come DLC gratuito sui lidi Sony, è un livello extra del primo capitolo, all’epoca scartato da Naughty Dog e recuperato per l’occasione. Stormy Ascent non è, probabilmente, il “quadro” più bello e raffinato nella storia di Crash Bandicoot. Forse, però, è uno dei più difficili, nella sua alternanza di piattaforme e nemici serrata e complessa. Pure un po’ infame, a dirla tutta. Tanto che non si fatica a comprendere il perché si preferì lasciare ai posteri il compito di una retro valutazione. Il secondo livello extra, invece, è stato disegnato proprio per festeggiare l’uscita della collection. Nel ruolo di designer, questa volta, ci sono proprio i ragazzi di Vicarious Vision che, sfruttando i pattern dei nemici del terzo capitolo, hanno dato vita a Future Tense. Anche questo stage mette a dura prova il giocatore e la sua pazienza, risultando, nel complesso, un’aggiunta gradita, ci mancherebbe, ma tutt’altro che rilassante.

L’arte del compromesso

Nel bene, quindi, e nel male. A rappresentare il lato oscuro, questa volta, è il comparto tecnico, solo all’apparenza, infatti, identico alle altre piattaforme. Purtroppo, la versione per la piccola ibrida marchiata Nintendo non riesce a competere con gli hardware più performanti, mostrando il fianco a una lunga serie di rinunce in termini di dettaglio e risoluzione. Quest’ultima, tanto con la console in dock che in portabilità, appare sempre al di sotto del target per dare vita, così, a più o meno fastidiosi fenomeni di aliasing. Come se non bastasse, l’intero quadro ha subito una sensibile diminuzione di dettaglio. A risentirne sono soprattutto gli elementi periferici. Il fogliame sarà, così, meno rigoglioso. E alcune texture meno definite. Le rinunce, però, fanno capolino anche su elementi principali. Lo stesso Crash ha una peluria meno folta, mentre alcuni effetti particellari sono addirittura scomparsi. Intendiamoci, nulla di particolarmente invasivo: l’aspetto visivo è comunque gradevole e i colori sono sempre accesi e sgargianti.  Epperò, proprio in tema di conversione, è impossibile non pensare che si potesse fare qualcosa di più. Doom e Wolfenstein sembrano essere stati programmati proprio per ricordarcelo.

Alla fine dei conti, quelli della serva, il porting su Switch di Crash Bandicoot N. Sane Trilogy è, per certi aspetti, il più debole del lotto. Colpa di un comparto tecnico sensibilmente inferiore rispetto alle altre versioni dove il concetto stesso di “remastered” è sicuramente più forte e marcato. Meraviglie di qualche migliaia di pixel in più. Quello che la potenza bruta regala, però, la potenza bruta, alle volte, toglie. Specie sulla console di Nintendo, dove la collection acquisisce nuovo vigore grazie alle magie della portabilità. Proprie, ci mancherebbe, di ogni singolo gioco della ludoteca, ma che, proprio con il peramele nato in casa Sony, sembra sposarsi alla perfezione. Chi lo avrebbe mai detto, nel 1996.
Michele Iurlaro è iscritto all'albo dei giornalisti pubblicisti e dei praticanti professionisti. Scrive molto. Scrive troppo. Da troppo tempo