A dispetto della veneranda età che porto sul groppone, confesso di non essere uno degli appassionati storici della saga di Mega Man, poiché il NES non ha mai trovato spazio in casa dei miei genitori: il primo, fuggevole incontro con il Blue Bomber l’ho avuto con The Wily Wars, rifacimento di Mega Man I, II e III per Mega Drive con tutti i benefici offerti dalla potenza del 16-bit di casa SEGA, ma non l’ho mai approfondito quanto avrei voluto perché di lì a poco avrei dovuto dare via console e cartucce (ebbene sì, a casa mia vigeva la brutale regola del “puoi avere una sola di quelle macchinette attaccata al televisore, il resto devi rivenderlo, regalarlo oppure buttarlo”) per comprare un fiammante Super Nintendo, sul quale mi innamorai definitivamente del personaggio con la serie X. Poi vennero tutti gli altri, in particolar modo l’epoca PlayStation con i suoi Mega Man Legends e lo splendido Mega Man 8, la cui intro giapponese cantata dai Ganasia veniva sparata fuori dai piccoli altoparlanti del televisore che avevo in camera a ogni ora del giorno e della notte, mentre le generazioni successive videro l’eroico androide blu imbarcarsi in una nutrita sfilza di avventure fra alti e bassi qualitativi finché, otto anni fa, il decimo capitolo della cronologia principale segnò anche l’uscita di scena di Keiji Inafune, desideroso di proseguire la sua carriera lontano dagli uffici della compagnia di Osaka, creando un vuoto direttivo di cui nessuno volle farsi carico e lasciando lo zoccolo duro di fedelissimi a bocca asciutta per svariato tempo, costretti a mantenere vivi i propri ricordi con raccolte e riedizioni degli episodi storici su macchine da gioco moderne. L’ottimistico tentativo di creare un erede spirituale di Mega Man naufragò nel 2016 con l’insipido Mighty No. 9, ideato ma decisamente mal gestito dallo stesso Inafune, e fu così che l’anno successivo Koji Oda, responsabile di Resident Evil 0 e del suo relativo remaster, decise di prendere in mano la situazione ponendosi a capo del team di sviluppo di questo Mega Man 11, che punta a trasporre la formula vincente dell’originale ai giorni nostri senza stravolgerla più di tanto, con un comparto tecnico al passo con i tempi rispetto al classico stile a 8-bit adottato dai suoi due predecessori.
È bello rivederti, Light!
Come facilmente prevedibile, la storia non è certo il fulcro di Mega Man 11 ma serve a presentare le novità introdotte a livello di gameplay e a fornire qualche ulteriore dettaglio sull’imperitura diatriba che contrappone il saggio Dr. Light al malvagio Dr. Wily: ai tempi del corso accademico di robotica, infatti, pare che i due entrarono per l’ennesima volta in contrasto riguardo un dispositivo sviluppato da quest’ultimo che avrebbe permesso agli automi di accrescere notevolmente le proprie caratteristiche fisiche, con il rischio tuttavia di danneggiare in maniera irreversibile i loro meccanismi interni. Molti anni dopo, Wily rispolvera la sua vecchia invenzione e la utilizza per manipolare un gruppo di robot al servizio della società, con il prevedibile risultato di farli andare fuori controllo: starà dunque a Mega Man, anch’esso equipaggiato per l’occasione con il marchingegno dopo qualche opportuna modifica apportata da Light, ristabilire l’ordine a colpi di blaster fino a castigare per l’ennesima volta il rivale del suo creatore. Il primo impatto visivo con il gioco è notevole, poiché la scelta di abbandonare la grafica pixellosa a favore di modelli e scenari tridimensionali che, comunque, si muovono sempre su due soli assi è un ottimo compromesso fra consuetudine e innovazione, senza raggiungere gli estremismi che caratterizzavano Mega Man X7 e che non hanno raccolto grandi consensi all’epoca. Mega Man 11 presenta un ottimo livello di dettaglio sia per quanto riguarda il protagonista che, soprattutto, per i Robot Master di turno i quali, oltre a possedere un’invidiabile fluidità nelle movenze e nella gamma di colpi speciali che ci scatenano contro, occupano anche una serie di livelli talmente minuziosi da riuscire a raccontare la storia delle rispettive corruzioni per mano del Dr. Wily senza una riga di dialogo, come il set cinematografico che cade lentamente a pezzi di Blast Man o le costruzioni di Block Man che si fanno via via meno funzionali e più inquietanti. Anzi, è quasi paradossale constatare che è proprio il povero Mega Man a mostrare qualche incertezza nelle animazioni, ma si tratta di un difetto abbastanza veniale che non inficia con la precisione richiesta dai controlli.
La struttura di ogni stage è generalmente legata a uno o più espedienti che contraddistinguono il Robot Master di turno, come pozze d’acqua velenose, piattaforme sobbalzanti o travolgenti inferni di fiamme che ci costringono a forsennate corse contro il tempo, e la loro comparsa di solito avviene prima in una ridotta serie di schermate per poi mescolarsi in lunghe sequenze che richiedono la messa in pratica di quanto appreso fino a quel momento. Il tradizionale sadismo della saga emerge anche in Mega Man 11 con tutta la sua prepotente spietatezza e, sebbene la configurazione dei livelli di difficoltà incida sulla ferocia degli avversari e sui danni inflitti e subiti, lo stesso naturalmente non accade con l’accuratezza necessaria per oltrepassare determinate sezioni a piattaforme, che in diversi frangenti non offrono ampi margini di manovra e lasciano spazio alla sensazione che gli insuccessi non siano del tutto imputabili alla relativa incompetenza del giocatore quanto piuttosto a una scellerata distribuzione degli ostacoli. A ogni modo, tolta qualche piccola sbavatura, la struttura dei quadri può essere tranquillamente annoverata fra le migliori mai realizzate nella lunga carriera del Blue Bomber, e nella storia dei platform targati Capcom in generale.
Il Dr. Wily ritorna sempre!
Le potenzialità offerte dal sistema Double Gear aiutano in gran parte a mitigare le sezioni più ardue, ed è sempre utile sperimentare con il potenziamento delle armi garantito dal Power Gear o la decelerazione globale che consegue l’attivazione dello Speed Gear: la durata limitata di entrambi ne impedisce lo sfruttamento selvaggio nel corso dei livelli, ma non bisogna mai dimenticare che questi ultimi sono stati progettati dando per scontato che il giocatore impari a sfruttare al meglio tutte le risorse del suo arsenale. Essendo stati soggiogati dal medesimo congegno, anche i Robot Master sono in grado di attingere a tali facoltà e sottoporsi ad autentiche trasformazioni nel corso degli scontri differenziando gli attacchi, così come potremo fare anche noi una volta acquisite le loro armi: questa volta, infatti, il nostro Mega Man non si limita a cambiare colore della tuta, ma modifica anche casco e cannone per assumere in parte le fattezze del nemico dal quale ha preso i poteri e non nego che, nel corso dell’avventura, mi sono ritrovato più volte a chiedermi se questa non fosse una palese citazione della tecnologia che consente a X di modificare la propria armatura quando sfrutta le capacità degli avversari… chissà, forse Capcom si deciderà a realizzare finalmente un capitolo che faccia da ponte tra i due orizzonti temporali. Quando la salute scende al di sotto del livello di guardia, è inoltre possibile attivare entrambi i Gear per liberare un colpo devastante, in conseguenza del quale ci ritroveremo però ulteriormente depotenziati: in tutta franchezza, non è una strategia che ho utilizzato spesso se non per qualche semplice test, ma vale la pena tenerla a mente qualora se ne presenti la necessità.
Oltre alla storia principale, Mega Man 11 mette a disposizione anche un ricco assortimento di modalità supplementari che puntano ad affinare le capacità dei giocatori, ponendosi a confronto con gli altri estimatori del gioco grazie alle classifiche globali online che tengono traccia di tempi di completamento e punteggi ottenuti. Le varianti includono il classico boss rush, l’obbligo di attraversare i livelli colpendo i palloncini blu ed evitando quelli rossi sparsi dappertutto, di farlo con il minor numero possibile di salti oppure di colpi sparati e così via, anche se la più interessante resta “La Sfida del Dr. Light”, una concatenazione di 30 livelli da affrontare con una singola vita che farà la gioia dei più masochisti.