RAGE 2 Recensione

RAGE 2 Avalanche Studios

RAGE 2 rappresenta il perfetto archetipo del videogioco impossibile, quello che, se si ragiona per un attimo su come funzionano certe dinamiche dell’industria, non potrebbe esistere. Almeno, non nel suo stato attuale. In effetti non serve prendere un pallottoliere e mettersi a fare calcoli su calcoli per capire che il primo capitolo, nato nel 2011 con la precisa volontà di affrancarsi dal classico archetipo dello sparatutto vecchia scuola, non aveva riscosso il successo sperato da id Software. I problemi di cui soffriva erano chiari: RAGE faceva affidamento su meccaniche troppo derivative, senza una direzione precisa e personale né il solito stile “alla id”, all’insegna dell’ultraviolenza. Di contro aveva però grande personalità, anche grazie all’id Tech 5, un engine per cui sembrava nato e che gli permetteva soluzioni stilistiche e tecniche all’avanguardia (era uno dei pochi FPS a raggiungere i 60 fps su console, all’epoca). Malgrado i suoi difetti, finì insomma col diventare un videogioco di culto, apprezzato da una piccola ma rumorosa nicchia di pubblico. Otto anni, però, sono tanti. In otto anni può cominciare e finire un’intera generazione, può nascere e morire una serie videoludica e possono affermarsi idee di design del tutto nuove. Forse sono stati anche questi i motivi che hanno indotto Bethesda a ricominciare da zero, spingendo id Software a collaborare con Avalanche Studios, gli autori di Mad Max e degli sconfinati Just Cause, in un connubio che qualche anno fa sarebbe sembrato fattibile tanto quanto mettere l’ananas sulla pizza. Eppure, nonostante tutto, eccoci qui a parlare di RAGE 2, il “figlioccio” nato quasi per caso che ha dovuto conciliare fra loro due realtà quasi completamente opposte. Impresa, va detto, per niente semplice.

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I colori più saturi sono una costante in RAGE 2

RAGE 2 racconta una post-apocalisse folle e ricca di umorismo

L’idea che ha mosso i primi passi di RAGE 2 nell’industria è stata piuttosto semplice, tutta incentrata sul dare un taglio netto col passato in modo da mutarne completamente l’identità e il nucleo ludico. Tim Willits e compagni sono stati abbastanza chiari sin dalle prime volte in cui il gioco si è mostrato al pubblico: RAGE 2 è nato con l’idea – neppure troppo velata – di diventare un vero e proprio DOOM più aperto e scanzonato, in cui i ritmi più compassati del predecessore lasciassero spazio a un’avventura incentrata sulla piacevolezza del gunplay e sulle soddisfazioni legate all’uso delle armi e delle abilità. Pur abbastanza banalotta, la trama nasce mettendo subito noi, il giocatore, al centro, come a chiarire il prima possibile le sue intenzioni: Walker, il (o la) protagonista, è l’ultimo ranger rimasto sulla Terra, nonché, nel più classico dei cliché, l’ultima speranza per sconfiggere il villain di turno, il generale Cross, capo supremo dell’Autorità. Quest’ultima, un tempo sconfitta, è tornata alla carica più prepotente che mai, imponendo di nuovo il proprio regime con la forza su un mondo che è però molto diverso da come lo ricordavamo anni addietro. Diversi sconvolgimenti naturali e climatici hanno reso irriconoscibile l’arida Terra colpita dall’asteroide Apophis, e la terraformazione del pianeta ha reso possibile il ritorno della vita e la nascita di specchi d’acqua e foreste, oltre al rendere di nuovo limpido il cielo. Proprio per queste scelte loristiche, RAGE 2 è molto più colorato e variopinto del suo monocromatico antenato, oltre che molto meno attinente al solito canone dei videogiochi post-apocalittici: le differenti scelte cromatiche, tra l’altro, vanno a braccetto con il tono ancor più esagerato impresso alla trama, stracolma di personaggi assolutamente folli, volutamente stereotipati e carichi di un umorismo molto più acceso e caricaturale. Il tutto, va detto, manca di una vera e propria coesione narrativa: ogni NPC sembra un po’ buttato lì tanto per fare scena, e la coerenza di fondo che tiene insieme le vicende – specie quelle secondarie, piuttosto anonime – riemerge solamente a sprazzi, quando l’anima più casinista e quasi festaiola propria del gioco si fa sentire. La sceneggiatura, nel suo insieme, avrebbe forse potuto essere scritta meglio, anche in rapporto al primo capitolo, il cui soggetto venne curato da un veterano come Matthew Costello, occupatosi anche dell’omonimo libro e del fumetto. Insomma, un bel po’ di roba. In RAGE 2, invece, tutto sembra allungato, diluito e meno chiaro, in parte anche per via della decisa virata verso una struttura molto più aperta.

Lanciarazzi a parte, quando ci si mette l’Apex Engine ha anche i suoi momenti

RAGE 2 ha il solito, brutale gunplay di id Software

Accennavamo poc’anzi come l’idea di base di id Software, coinvolta nel progetto come garante e supervisore delle componenti da sparatutto più “primordiali”, sia stata quella di rendere RAGE 2 un DOOM open world, e in effetti il risultato finale non fa molto per nascondere un simile imprinting. Gli amanti delle componenti più tattiche e in un certo senso quasi “attendiste” del gameplay del primo RAGE si ritroveranno probabilmente spiazzati nel doversi misurare con un’esperienza diversa, ma forse è meglio che sia così: a differenza del suo predecessore, che incoraggiava a mantenere un basso profilo e a fare economia di risorse, RAGE 2 è pronto a prendervi letteralmente a calci se non vi lanciate nell’azione come un novello Braveheart, spaccando crani e tirando mazzate a destra e a manca. Walker può infatti fare affidamento su un arsenale di armi e abilità da far invidia al Doomguy: fucile d’assalto, lanciarazzi e armi al plasma di vario tipo, senza dimenticare le granate e il caro vecchio wingstick, sono solamente l’inizio e sono accompagnati da un invidiabile campionario di skill, tutte pensate per rendere il gameplay ancor più stratificato e per avere ragione di diverse battaglie. Quelle coi boss, in particolare, sono piuttosto divertenti e alcune, contro i più grossi e tenaci, obbligano anche a usare un minimo il cervello per uscirne vincitori, proponendo meccaniche che vanno al di là del semplice vomitare loro addosso un fuoco ininterrotto, come accade nel 98% dei restanti combattimenti: anche contro i nemici più corazzati, infatti, è quasi sempre sufficiente insistere e far valere la propria potenza di fuoco piuttosto che mettersi a pensare a una strategia fatta e finita. Malgrado simili divertimenti e piacevolezze, anche RAGE 2 tradisce presto o tardi la sua anima ruolistica: pur essendo di base uno sparatutto basato sulla skill individuale e caratterizzato da ritmi accelerati e convulsi, esso mette infatti a disposizione un complesso sistema di potenziamenti, cui è di fondamentale importanza prestare la dovuta attenzione se non si vuole assistere a un aumento della difficoltà nelle fasi avanzate dell’avventura. In nostro “soccorso”, di base, giungono i nanotriti, vera e propria valuta legata alla feltrite, minerale preziosissimo nell’universo di RAGE, che può essere ottenuto un po’ ovunque, anche eliminando nemici. Ciò non significa che il gioco consenta di avere accesso a ogni upgrade semplicemente farmando: per acquisirli materialmente occorrerà disporre di parti specifiche, legate ad ognuno dei tre comprimari incontrati nel corso della storia. Queste ultime limitano la progressione e la vincolano all’esplorazione: tutto ciò, però, non fa altro che confermare un’altra volta gli atavici problemi di Avalanche Studios nella costruzione delle mappe open world, nel design delle quest e in altri aspetti fondamentali per un videogioco la cui longevità totale supera le 25-30 ore.

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Alcune città sono davvero sorprendenti e ben realizzate dal punto di vista visivo

Uno strano ibrido fra RAGE e Just Cause

Già, perché la parte più debole di RAGE 2 sta proprio qui. Se ci si limita a giocarlo come gemello dizigote di DOOM, andando dritti fino alla fine e completando solo il necessario, il titolo mette in bella mostra il suo esaltante sistema di combattimento e il lato migliore di sé e si lascia giocare che è una bellezza; se invece si vuole approcciarlo come il predecessore, dedicando parecchio tempo anche all’esplorazione e al completamento di tutte le attività, si rischia prima di quanto si creda di sbattere il muso contro una struttura ripetitiva, antiquata e progettata con ben poca intelligenza. Il mondo di RAGE 2 è pieno di attività e di cose da fare: ci sono diverse città con personaggi con cui interagire, taglie e cacce al mostro secondarie da completare, covi di banditi da ripulire, gare da svolgere, avamposti da esplorare e via discorrendo; tutto quanto è però minato da una costruzione fin troppo sommaria, a tratti quasi pigra. In ogni regione si fanno più o meno le stesse cose, con poche variazioni sul tema a livello concettuale, cosa che può portare allo scoramento persino i completisti più tenaci dopo diverse ore di costanti ripetizioni. All’interno delle singole tipologie di attività, poi, il gioco cade in un pesante riciclo delle stesse meccaniche: tolte le quest secondarie, generalmente quasi superflue se non per il puro piacere di completarle, dedicandosi a un combattimento dopo l’altro, le altre attività si limitano a un continuo uccidi tutti, difendi la postazione, raccogli feltrite, colleziona ogni oggetto in zona e via dicendo. In alcuni casi, RAGE 2 incappa persino in grossolani errori di game design, come quando ci chiede di distruggere enormi postazioni fisse: in questo caso, spesso (non sempre), per schivarne i proiettili basta farsi furbi e ripararsi su un tetto o dietro una sporgenza naturale o un muretto: da lì, la “vittoria” può arrivare tranquillamente in pochi secondi, anche se esistono diverse meccaniche collaterali atte a rendere più difficile lo scontro, comunque aggirabili. Problemi simili a parte, il bilanciamento stesso della difficoltà sembra un filo tarato verso il basso, in modo da rendere la vita un po’ più semplice a chi decide di giocare in normal: se si vuol provare l’esperienza come è stata pensata dagli sviluppatori, l’unica è rivolgersi ai livelli più ardui.

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Il rover Phoenix sarà quasi sempre il vostro migliore alleato

Le uniche attività collaterali davvero convincenti, oltre ai covi di banditi (che però sono davvero troppi) finiscono quindi per essere le “tane” dei boss opzionali, dungeon piuttosto lineari che vale la pena di affrontare solo per il combattimento finale, e soprattutto le arche, le enormi “capsule” che, senza fare spoiler, sono legate alla storia e alla terraformazione della Terra, le quali contengono le armi e le abilità sbloccabili del protagonista, non ottenibili in nessun altro modo. Dopo il lancio, poi, RAGE 2 verrà arricchito di una serie di “eventi” randomici, disabilitati fino ad oggi, che dovrebbero donare un po’ di brio in più alle scorribande da una città all’altra e, almeno in teoria, sono pensati per fungere da elemento polarizzante per la community sul medio-lungo periodo. In linea di massima, comunque, le componenti che funzionano e quelle che invece non vanno riescono a bilanciarsi le une con le altre piuttosto bene, anche considerato che il solo scorrazzare in giro a sparacchiare a tutto quel che capita è un ottimo deterrente per la noia, che sopraggiunge solo se ci si dedica ostinatamente ad esplorare dappertutto. Dispiace però che non siano state riprese alcune fra le buone idee introdotte in Mad Max, ad esempio l’ottima fisica del modello di guida: quello di RAGE 2 è inspiegabilmente peggiorato ed è contraddistinto da un handling dei veicoli alleggerito e tremendamente impreciso, il che non solo rende le gare (componente di primaria importanza nel predecessore e qui ridotta un po’ in secondo piano) un enorme problema, ma spinge anche ad evitare il più possibile le due e quattro ruote. Come Mad Max, RAGE 2 permette di collezionare ogni veicolo trovato in giro per il mondo riportandolo in una città, ma si tratta di un’operazione totalmente opzionale e accessoria, che non porta alcun vantaggio pratico rispetto al già corazzatissimo (e potenziabile) Phoenix, il veicolo all-road di Walker. Dal tie-in dedicato all’antieroe di George Miller sono poi stati ripresi i convogli, contraddistinti da piccole “trappole” ambientali come raggi laser o esplosioni da schivare e che, eliminati (occhio, perché possono essere piuttosto impegnativi), permettono di ottenere parti per potenziare i propri mezzi e anche installarvi sopra altre armi.

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Probabilmente passerete ore in quest’arena…

L’eredità di Avalanche Studios, comunque, resta per RAGE 2 un fardello pesantissimo da portarsi dietro, sia a livello strutturale che tecnico. Ad essere onesti, specie considerato il sontuoso lavoro fatto con le armi, le abilità e i potenziamenti ad esse legati, che rendono l’avventura quasi un mini-sandbox, è un vero peccato notare le mancanze che punteggiano quasi ogni altro aspetto della produzione, anche considerato che alcuni fra gli spunti migliori introdotti in Mad Max (il modello di guida e qualche elemento survival che forse non avrebbe guastato) sono stati inspiegabilmente scartati. Al di là dell’ispirata direzione creativa e artistica del progetto, poi, l’Apex Engine ha evidenziato in RAGE 2 tutti i suoi limiti tecnici: noi non siamo incappati in alcun tipo di problema, avendolo giocato su PC con dettagli al massimo e una RTX 2080 Ti, ma abbiamo svolto prove anche a impostazioni medie e basse, notando una diffusa mancanza di ottimizzazione nel codice, specie nel frame rate, nel pop-up degli oggetti e nell’efficacia di alcuni filtri grafici, il che spinge a qualche dubbio sull’effettivo stato delle versioni console: PlayStation 4 e Xbox One base, a fluidità dimezzata, sono una vera e propria incognita, mentre le versioni PS4 Pro e Xbox One X, forti di una risoluzione bloccata a 1080p, non dovrebbero avere problemi a mantenere più o meno stabili i 60 fps. RAGE 2 soffre poi di evidenti problemi di missaggio audio, specie nell’effettistica dei veicoli o quando la situazione su schermo si fa particolarmente concitata, che ci auguriamo vengano risolti. Il comparto sonoro in generale è dimenticabile: non ci sono brani iconici (o almeno, noi non ne abbiamo sentiti) e il doppiaggio in italiano è generalmente discreto, con picchi di trash involontario legati ad alcuni momenti della storia principale e all’interpretazione di alcuni attori, che preferiamo non spoilerarvi.

RAGE 2 è un videogioco con due anime, che id Software e Avalanche Studios hanno pensato bene (si fa per dire…) di sviluppare a compartimenti stagni, senza troppe correlazioni l’uno con l’altro. Da un lato uno sparatutto che riabbraccia finalmente le sue origini old school e ci regala un distillato di esplosioni, azione e smembramenti che sarebbe stato impossibile replicare in maniera ancor più violenta ed esagerata, con armi e abilità fuori di testa e potenziabili a livelli talmente sfacciati ed esagerati da sembrare quasi inverecondi. Dall’altro, un videogioco che se forse avrebbe potuto limitarsi a scimmiottare DOOM con un po’ di libertà in più, è voluto andare ben oltre, implementando il solito sistema “à la Avalanche” (con tanto di completa sostituzione dell’ engine grafico), ormai un marchio di fabbrica dello studio svedese nell’ambito dei videogiochi open world, nel bene e nel male. Sta soltanto a voi decidere come giocarlo, se privilegiando il gameplay o tutto il resto: nel primo caso vi ritroverete davanti uno shooter vecchio stampo con tutti i crismi del caso, viscerale e divertente, sebbene minato da una storia non proprio indimenticabile, nel secondo avrete a che fare con un enorme parco giochi, realizzato in maniera un po’ grossolana e immatura, oltre che incapace di sbocciare a dovere. La scelta, a ben guardare, non è poi tanto difficile.

Nato nello scorso millennio con una console fra le mani e rimasto per molti anni confinato nel mondo distopico della Los Angeles del 2019, ha infine deciso di uscirne per divulgare al mondo intero le sue più grandi passioni: il videogioco in tutte le sue forme, il cinema (quello vero) e Dylan Dog.