A livello personale, Borderlands 3 era tra i videogiochi che davvero desideravo provare con tutto me stesso in questa edizione dell’E3. E ci sono riuscito, nientemeno che nel Microsoft Theater e a due passi da Phil Spencer e Larry “Major Nelson” Hryb, durante l’Xbox Showcase, evento dedito al mostrare la lineup di titoli, esclusivi e non, che Microsoft potrà sfoggiare nei prossimi mesi o con cui avrà un qualche tipo di partnership commerciale. Borderlands 3 è uno di questi: come sappiamo già da quando è stato annunciato in pompa magna qualche mese fa, 2K e Gearbox si sono prese tutto il tempo necessario per pubblicare un videogioco il più possibile rifinito e che riuscisse a limare parte dei problemi dei predecessori, mantenendosi stabile a livello quantitativo ma alzando l’asticella dal punto di vista della qualità. L’obiettivo, da quanto abbiamo potuto provare, sembra davvero a portata di mano: in attesa del lancio di Settembre, con annessa review, cerchiamo di capire (o quantomeno di iniziare a farlo) se è stato o meno raggiunto.
Borderlands 3 è ancor più grande, esagerato e folle
La demo che abbiamo potuto provare, pressoché identica a quella distribuita in numero limitato al momento dell’annuncio, ci permetteva di utilizzare solamente due fra i quattro personaggi: Amara, la Sirena, e Zane, l’Operative (ignoriamo quale possa essere la traduzione italiana di quest’ultimo, per ora) ed era afferente alla terza main quest del gioco (o almeno così diceva il registro missioni), già mostrata nei primi trailer. L’ambientazione, che ci richiedeva di infiltrarci in una facility industriale circondata da scenari dai connotati marcatamente desertici, non è parsa troppo diversa dai soliti canoni tipici di Pandora; il gioco, comunque, dovrebbe espandersi ben oltre i confini dell’arido pianeta, proponendo biomi ancor più variegati di quanto visto in Borderlands 2 ed espandendo il già notevole registro stilistico della serie, riempiendolo ulteriormente di colorati avamposti, nemici sempre più folli e bizzarri e loot di ogni tipo.
Prima di cominciare a giocare, abbiamo ben pensato di dare un’occhiata più approfondita alle abilità dei tre personaggi a disposizione, scoprendo che, ad esempio, la Sirena ha ora un ruolo molto più aggressivo rispetto alle precedenti scorribande su Pandora. La sua Active Skill, ovvero la super abilità a sua disposizione, le permette di effettuare uno schianto a terra con braccia multiple, evocate grazie ai poteri dell’Eridium, e causare così una devastante quantità di danni AoE. Abbiamo potuto provare anche Zane, che ricopre il ruolo dell’ingegnere e può schierare un drone con cui controllare più agilmente il campo di battaglia. Il suo, effettivamente, sembra essere un ruolo a metà fra quello delle vecchie Siren (Lilith e Maya) e quella attuale. Le ultimate, poi, variano a seconda del ramo di abilità equipaggiato: come da tradizione ogni personaggio può averne tre, che gli permettono di costruire build diversificate a seconda di parametri come i danni fisici o elementali, la resistenza, il controllo di oggetti specifici utili in battaglia e via discorrendo. Di conseguenza, il confine tra le classi non è così netto come ci si potrebbe aspettare, al di là della spettacolarità delle mosse finali: ogni personaggio, infatti, può cavarsela piuttosto bene anche adottando uno stile di gioco simile agli altri. C’era poi Moze, soprannominata “gunner” e considerabile una sorta di evoluzione estrema del commando di Borderlands 2, che, eliminate le torrette di supporto, accentra sotto il diretto controllo del giocatore tutta la propria potenza distruttrice. Le sue skill, ovvero il Railgun, la Minigun e il Lanciagranate V-35, sono quanto di più classico ci sia e si focalizzano principalmente sulla potenza bruta: fin qui nulla di nuovo, ma la vera chicca, in questo caso, è la possibilità – che diventa un obbligo per le prime due – di entrare dentro Iron Bear, l’enorme mech di Moze, mentre le si usa, incrementando a dismisura la propria potenza di fuoco.
Mentre, pian piano, svisceravamo i tre personaggi a disposizione, ci siamo lanciati nella quest disponibile nella demo, completandola con la Sirena: man mano che ci inoltravamo nella fabbrica, correndo verso l’ultima stanza e il boss finale, abbiamo riscoperto in questo terzo capitolo il Borderlands che conosciamo, con una struttura di base su cui i designer di Gearbox, in maniera lungimirante, non sono intervenuti più di tanto, evitando di toccare quel che già funzionava. Abbiamo dunque il solito level design piuttosto basilare, ma al contempo studiato per enfatizzare le caratteristiche fondanti del sistema di gioco e facilitare il susseguirsi di uno scontro a fuoco dopo l’altro, con stanze punteggiate dai soliti distributori: in questi casi è possibile effettuare un rapido refill di punti vita e di munizioni con la sola pressione di un pulsante, il che rende le rapide visite agli shop molto meno macchinose. Un discorso a parte va poi fatto per le armi, delle quali, vista la loro quantità e diversità, potremmo parlare anche per ore. Gearbox, in questo caso, ha migliorato profondamente il sistema con cui le armi vengono generate, al contempo evitando di dover ricorrere a un algoritmo procedurale: in soldoni, ciò significa che ogni fucile, pistola o mitraglietta che troveremo avrà caratteristiche più interessanti e al contempo uniche e peculiari, ma soprattutto che, invece di suggerire sempre le solite quattro o cinque, il gioco invoglierà a utilizzare un quantitativo di armi molto più elevato.
Anche le boss fight, promette Gearbox, saranno molto più interessanti e ricche di dinamiche aggiuntive che aggiungeranno più pepe e strategia ad ogni combattimento:lo studio di Randy Pitchford, in effetti, ha sempre avuto un grosso problema con i mostri giganti, da sempre ridotti a spugne assorbi-proiettili sulle quali vomitare fuoco. Per fortuna lo scontro che abbiamo potuto affrontare nella demo, che ci vedeva opposti al temibile Mouthpiece, si caratterizzava per avere una certa dinamicità: a un certo punto nel corso della battaglia, infatti, entravano infatti in gioco gli enormi “altoparlanti” ai lati dell’arena, in grado di infliggere danni considerevoli ai nostri eroi ed obbligandoci dunque a spostarci costantemente per evitare di essere quasi uccisi. L’enorme nomade da noi affrontato, inoltre, aveva fasi multiple ed aumentava la propria aggressività man mano che il combattimento si protraeva: se tutti i boss saranno effettivamente gestiti in questo modo ci sarà davvero di che gioire. Abbiamo poi particolarmente apprezzato l’arena che faceva da sfondo alla battaglia a livello estetico: visivamente, Borderlands 3 sembra essere una vera gioia per gli occhi e la possibilità di incontrare due scenari identici, fin troppo ricorrente nel primo capitolo, sembra qui completamente scongiurata, anche grazie a un intelligentissimo uso del colore, che caratterizza a dovere ogni singola zona. Malgrado il poco tempo trascorso ascoltando parlare i personaggi, poi, abbiamo già avuto modo di apprezzare l’umorismo che permeerà il gioco: Tyreen (una fra i due villain) ci è sembrata cattiva il giusto, dotata di un certo sadismo e amante dei social network. Elementi che, a pensarci bene, possono anche andare a braccetto.
https://www.youtube.com/watch?v=d9Gu1PspA3Y
L’obiettivo che Borderlands 3 si prefigge di raggiungere è semplice e al contempo complicatissimo: essere, molto banalmente, il miglior Borderlands di sempre, senza nemmeno sfiorare le caratteristiche che hanno reso Borderlands 2 così amato dai giocatori, ma intervenendo in maniera intelligente su tutto quel che era possibile migliorare: il feedback offerto dalle armi, le skill a disposizione dei personaggi e l’atmosfera generale, mai così esagerata, irridente e autoironica. È impossibile giudicarlo in maniera approfondita a partire da poche decine di minuti di gioco, ma le premesse per sfondare e conquistare i giocatori, facendo magari anche nuovi proseliti, ci sono tutte.