Se mi chiedessero quali sono i videogiochi che rimpiango di non aver potuto giocare e apprezzare al momento della loro uscita originale, nella lista metterei sicuramente anche The Legend of Zelda: Link’s Awakening, unico fra gli Zelda portatili che ebbi modo di recuperare soltanto in seguito. Dal momento che l’E3 di quest’anno è anche quello dei remake, però, ho avuto la possibilità di lanciarmi in una prova del suo rifacimento per Switch, che, dopo tanti capitoli all’insegna delle novità e dell’innovazione, riporta sugli scudi la formula tradizionale della serie: visuale dall’alto, un’intera mappa da esplorare, comandi semplici e complessi al tempo stesso, quest impegnative e spesso basate sulla logica. E il remake, va detto fin da subito, sembra davvero un piccolo gioiellino, in grado di trasporre l’eccezionale game design degli Zelda classici ai giorni nostri senza minimamente accusare il peso degli anni e anzi, rischiando seriamente di mettere in scena una delle rappresentazioni dell’universo ideato da Shigeru Miyamoto più convincenti di sempre.
The Legend of Zelda: Link’s Awakening è una nuova avventura con la stessa anima
Sullo showfloor, più precisamente nell’immenso stand di Nintendo, il remake di Link’s Awakening si è lasciato giocare in una delle porzioni iniziali del gioco, quella in cui Link si risveglia, spaesato, nell’isola-vulcano di Koholint, dopo aver fatto naufragio mentre tornava ad Hyrule. Viene accolto nella casa di Marin e di suo padre Tarin, che gli restituiscono lo scudo e gli consigliano, come primo incarico, di andare a recuperare la sua spada. Basta qualche passo per accorgersi che l’ambientazione è uno dei primi tratti distintivi di Link’s Awakening: non più l’enorme regno che ben conosciamo, bensì una piccola isola, ricca di dungeon e tesori e punteggiata di insidie e piccoli segreti da scovare in ogni dove. Dovendo spostare la serie per la prima volta su console portatili, e avendo a disposizione ancor meno potenza del NES, l’idea di ambientare l’avventura in uno scenario dalle dimensioni più contenute suonava ovvia per l’epoca, ma la scelta, in ottica “vintage” funziona benissimo anche oggi e permette di godersi un’esperienza il più possibile condensata e studiata nei minimi dettagli. Mentre muoviamo i primi passi alla ricerca dell’indispensabile spada, cominciamo minuziosamente ad osservare tutto ciò che ci circonda, scoprendo (e riscoprendo) un’isola tratteggiata con grande dovizia di particolari e uno stile che ci ha subito conquistato, fin dal primo momento.
L’imprinting visivo di Link’s Awakening è infatti unico, mai visto allo stesso modo nella serie e nato con l’idea di mettere le capacità figurative di Switch al servizio della tradizione: Link, ad esempio, è caratterizzato da un design il più possibile minimale, che ci ha subito conquistato, ma non è il solo a scatenare una tempesta emotiva nei cuori di chi ha giocato il Link’s Awakening del 1993. Basta muovere qualche passo, menare qualche fendente e risolvere qualche enigma per rendersi conto che le sensazioni più primordiali offerte dall’esperienza originale sono ancora al loro posto, ed è facile rendersene conto anche potendo giocare una demo con un timer settato su 15 minuti o una morte, com’è successo a noi. In quel breve lasso di tempo, che poi è l’incipit del gioco, si vivono alcuni fra i momenti più toccanti dell’avventura, fra cui, oltre al recupero della spada, le chiacchierate con il gufo-guida, l’aiutare un piccolo procione disperso nella foresta vicina al villaggio, il recuperare un fungo che consente di ottenere della polvere magica dalla strega e infine il primo dungeon. Noi siamo riusciti ad entrare e ripulire le prime stanze, caratterizzate da un’anima che più tradizionale non si può (recupera la mappa, elimina tutti i nemici, ottieni chiavi e prosegui, scovando, magari, qualche segreto nel mentre), per poi morire malamente in una stanza con due affilatissime lame a presidio di una strettoia, il che ha messo la parola fine alla nostra prova.
A dire il vero, nel remake qualche novità a livello giocoso ci sarebbe anche, in primis un comodo menu che consente di consultare la mappa dell’overworld, la quale, inizialmente oscurata, si rivela man mano che scopriamo le singole zone, oltre a un comodo diario che tiene traccia di tutte le conversazioni avute fino a quel momento. Pur non avendolo potuto provare nella demo portata da Nintendo all’E3, sappiamo poi che nel remake di Link’s Awakening sarà presente un sistema che consentirà di creare dungeon personalizzati, plasmando ogni singola stanza in base agli elementi trovati nel corso dell’avventura, per poi completarli e ottenere ricompense che dovrebbero essere modellate sulla difficoltà del dungeon stesso. Dobbiamo, dunque, sospendere il giudizio su questo e molti altri elementi, compreso il non perfetto comparto tecnico, ancora traballante e afflitto da un marcato aliasing: quest’ultimo aggiunge un fastidioso effetto collaterale, seghettando ogni contorno come una lama di rasoio. Il risultato finale è francamente inspiegabile, ma, considerato che con l’Unreal Engine 4 gli sviluppatori dovrebbero poter gestire simili ostacoli (dettati non certo dalla potenza a disposizione di Switch) in maniera abbastanza agevole, l’auspicio è che negli ultimi mesi di sviluppo il problema possa essere risolto.
The Legend of Zelda: Link’s Awakening Remake sembra essere un piccolo gioiellino, in grado di trasporre in un videogioco moderno e in maniera perfetta un’anima vecchia di un quarto di secolo ed al contempo di acquisire un’identità nuova grazie a una direzione artistica magistrale, che tratteggia l’isola di Koholint come mai prima d’ora. Malgrado il futuro della serie sia saldamente nelle mani del sequel di Breath of the Wild, questa “nuova” versione del “vecchio” Link ci ha da subito fatto innamorare, e non vediamo l’ora di potervene parlare in maniera più approfondita tra pochi mesi. Occhio al calendario!