Il Re Leone Recensione | L’alba di un nuovo giorno, tutte le specie animali si riuniscono: il figlio del sovrano deve essere presentato a tutto il popolo, in maniera tale che lo riconoscano una volta salito al trono. La magia de Il Re Leone del 1994 comincia con questa suggestiva scena: la colorata ambientazione popolata da personaggi dalla degna caratterizzazione, musiche da brividi e un antagonista da manuale completano uno dei classici Disney più amati di sempre e tra i più ricordati da intere generazioni. ventiquattro anni dopo l’opera torna coraggiosamente al cinema, inserita nel piano di live action della Casa di Topolino (tra le ultime Aladdin, del quale trovate qui la recensione) che tra alti e bassi sta rilanciando i suoi vecchi capolavori in una veste completamente rinnovata. Ma questa volta è diverso. Perché mettere le mani su un film così tanto iconico e amato è un rischio importante anche per una company potente, e, al di là dell’investimento economico vero e proprio, un fallimento può rovinare l’immagine che un’azienda ha costruito in decenni di attività. Niente paura: la nuova versione brilla di una luce propria e sa regalare infinite emozioni, come d’altronde riusciva a farlo anche l’opera originale. Ma bando alle ciance: cominciamo la nostra avventura nell’incantevole e fatata savana africana.
Il piccolo Simba deve ancora capire cosa vuol dire essere realmente Re.
Il Re Leone: una scenografia stupefacente e tecnicamente imponente
Le sapienti mani di Jon Favreau (Iron Man, Il libro della giungla) alla regia – coadiuvate dalla scrittura di Jeff Nathanson – hanno portato alla luce un mondo dall’incredibile bellezza: fin dalla sequenza del Cerchio della Vita, ad inizio pellicola, si respira un’aria diversa, ma impreziosita di infiniti dettagli. La computer grafica in questo senso, mista a realtà virtuale e un taglio documentaristico, rende il tutto estremamente realistico e immerge lo spettatore fin da subito nella storia, facendolo sentire parte stessa della trama. Non assistiamo però solamente a dei divertissement tecnici privi di spessore, ma a delle poesie in movimento: anche le scene maggiormente riconoscibili – come la sequenza della morte di Mufasa o l’incontro tra Simba e Timon e Pumbaa, con un ottimo lavoro di restaurazione estetica – cambiano abito, ma rimangono fedeli allo spirito del lungometraggio originario. L’anima del cartone riusciva a trasmettere tantissime tematiche con una semplicità e immediatezza alla quale potevano accedere senza filtri i più piccoli, e ciò si ripropone nuovamente con il remake che sfida di continuo il suo illustre predecessore senza avere mai la pretesa di superarlo. Detto questo, compiere un confronto tecnico ed estetico tra le due opere è praticamente impossibile, anche perché il linguaggio animato è agli antipodi rispetto ad uno stile live action, che all’apparenza sembra più freddo e distante, ma che riesce a funzionare degnamente grazie ad un lavoro di doppiaggio incredibilmente riuscito. Ciò ha funzionato degnamente sia nella parte recitativa che in quella cantata, vero e proprio marchio di fabbrica dei classici Disney che ne hanno fatto un vero e proprio vanto. Si da il caso però che le canzoni de Il Re Leone siano tra le vette artisticamente più alte che abbiano mai raggiunto i cartoni dello stesso tipo, con due Oscar presi per la miglior canzone con Can You Feel the Love Tonight di Elton John e Tim Rice e per la colonna sonora di Hans Zimmer. Una difficile eredità da portare avanti, non trovate?
Hakuna Matata, ma che dolce poesia! Hakuna Matata, tutta frenesia!
L’emozione esplode grazie ai pezzi musicali e al sontuoso doppiaggio
Per fortuna, per quanto riguarda la costruzione, le sequenze cantate sono state gestite favolosamente: a scapito di qualche differenza sia di stile che di coerenza vera e propria (la comicità e l’esagerazione sarebbero state fuori luogo), i brani sono stati realizzati con cura e studio maniacale. Il pezzo che differisce di più dall’originale è Sarò Re dove Scar espone alle iene il suo piano diabolico per spodestare suo fratello dal trono, che alla fine è stato meno melodico e più improntato sulla performance teatrale del villain, forse meno appariscente del tradizionale, ma convincente allo stesso modo. Ma cosa sono delle canzoni senza l’interpretazione vera e propria dei doppiatori? Gli artisti coinvolti, se nei momenti musical hanno retto la scena con eleganza, nelle scene di recitazione vera e propria hanno dato tutto loro stessi, rileggendo in chiave moderna il già ottimo cast che era presente nella versione del 1994. Se il Mufasa del celebre Luca Ward colpisce per la sua regalità e maestosità, lo Scar di Massimo Popolizio è un diabolico e crudele dittatore, sornione e ammaliatore, capace di convogliare l’attenzione del pubblico in diverse scene. Simba e Nala, rispettivamente doppiati da Marco Mengoni ed Elisa, invece, risultano più efficaci nelle sequenze cantate (in L’amore è nell’Aria Stasera sono da brividi), che in quelle recitate, dove nonostante abbiano fatto un ottimo lavoro, sono schiacciati dai professionisti del settore. Questa ovviamente non è una critica, ci mancherebbe, visto che fanno i cantanti di mestiere ed ovvio che si sentano più a loro agio nei momenti melodici e non in quelli più legati all’interpretazione. Chiudono il cerchio dei più noti artisti coinvolti, Edoardo Leo e Stefano Fresi che hanno dato la voce a Timon e Pumbaa, un duo storico che è stato rappresentato brillantemente grazie alle performance degli attori, alchemicamente perfetti in coppia. Sembra tutto ottimo, non trovate? Assolutamente sì, ma una piccola nota negativa è opportuno sottolinearla.
Il Re Leone è infatti (eccetto qualche scena aggiuntiva davvero ben integrata) la perfetta copia dell’originale e verrebbe da chiedersi il perché di una simile operazione e se era effettivamente necessaria, considerando che il lungometraggio precedente era già sorprendente. La risposta non è così semplice e va a minare l’intero sistema di live action dell’azienda americana di riferimento, di conseguenza è un problema che appartiene anche all’intero piano cinematografico della company oltre che al lungometraggio stesso. Sorvolando questo piccolo aspetto, siamo al cospetto di una pellicola monumentale, tecnicamente eccelsa e forte di una sceneggiatura rispettosa del materiale originale che si regge sulla sublime interpretazione dei doppiatori, i quali hanno lavorato egregiamente. Da fan della realizzazione animata sarete sicuramente colpiti dalla riuscita finale, ma vi domanderete il motivo di una tale scelta, forse più indirizzata alle nuove generazioni che non hanno potuto vivere l’epopea animata. Probabilmente vedrete la migliore live action realizzata fino ad ora dalla Disney e spererete, come noi, in un futuro roseo per gli altri adattamenti.