Gears 5 Recensione

Gears 5

Gears 5 Recensione | Fin da quando lo abbiamo visto per la prima volta, annunciato all’E3 del 2018, per poi sentirlo discusso negli uffici e nelle redazioni di tutto il mondo in tavole rotonde e Q&A di ogni sorta, abbiamo intuito le potenzialità di Gears 5. The Coalition era chiamata a una vera e propria prova del nove, uno sforzo non da poco per divincolarsi dall’etichetta di autori del classico compitino ben fatto che era Gears of War 4: non a caso il progetto è stato affidato alle sapienti ed esperte mani di Rod Fergusson, uno che di Gears of War, in coppia con Cliff Bleszinski, ne mastica fin dalle origini tematiche della serie agli albori del nuovo millennio. Forte di una direzione creativa ben precisa e di investimenti colossali, Gears 5 si è sin da subito prefisso un obiettivo davvero ambizioso: riaffermarsi come la vera e più matura evoluzione della prima trilogia di Epic Games, facendo quel che il suo predecessore, del quale costituisce un sequel (più o meno) diretto, non è riuscito a fare. Gli accadimenti successivi al finale a cui abbiamo assistito tre anni fa sono stati il pretesto perfetto per scombinare e rimescolare le carte in tavola, lasciando al team non solo la libertà di riprendere in mano le migliori caratteristiche di ogni titolo della serie, ma di andare anche oltre, sperimentando e innestando nella formula di gioco idee nuove e sorprendenti. Il risultato non poteva che essere uno soltanto. Se volete evitare di leggere tutto quanto e andare subito al voto, ve la faccio breve. The Coalition ha fatto il miracolo: siamo di fronte al miglior Gears of War di sempre.

Gears 5: la definitiva maturazione di una nuova generazione di eroi

Le prime avvisaglie di un’esperienza del tutto diversa da quella di Gears of War 4 sono ravvisabili quasi subito, nella modalità campagna. Se i più critici nei confronti del primo e precedente capitolo del “nuovo corso” staranno già tremando, diciamo loro di non preoccuparsi: in Gears 5 la musica è cambiata. In tutti i sensi. Avere a disposizione un director per la storia e uno, separato, per il multiplayer ha dato i suoi frutti, permettendo alla cara vecchia modalità in single player (o al massimo in co-op, locale o online, come al solito) di riaffermarsi come vero e proprio cuore pulsante dell’opera congegnata dal team di Vancouver: forte anche di un salto temporale ben inserito nella timeline della serie, la campagna di Gears 5 è poderosa e appassionante, caratterizzata da ritmi che poco o nulla hanno a che vedere con quelli a tratti sonnacchiosi e poco incisivi di tre anni fa. Non che qui non ci siano momenti un po’ più lenti, anzi, spesso e volentieri il gioco si prende tutto il tempo necessario per spiegare questo o quell’avvenimento in maniera più o meno approfondita, ma quel che fa davvero la differenza è la magistrale gestione di queste pause, finalmente riempite di momenti sensati e che tornano anche – alleluia – ad essere emozionali e toccanti, scavando più in profondità nella psicologia dei personaggi rispetto a qualche semplice scambio di battute, peraltro spesso condite di un umorismo non sempre funzionale. Uno dei pregi più grandi di Gears 5 sta nel suo smettere di campare di rendita, specie nel modo in cui tratta e approfondisce ogni membro del gruppo: tutti, peraltro, sono dotati di proporzioni anatomiche un po’ più realistiche, primo indizio visivo per rendersi conto della rinnovata umanità e del piglio ancor più emotivo della storia.

La scelta di mettere un po’ da parte “JD” Fenix a favore di Kait Diaz non è avvenuta a monte dell’evoluzione della trama, ma è una sua logica conseguenza: dopo il finale di Gears 4 la figlia di Reyna è diventata la vera protagonista, per ragioni sensate e che toccano le corde giuste. Kait è un personaggio approfondito come mai se n’erano visti nella serie a livello emotivo: le sue paure, le sue incertezze e insieme il suo coraggio sono percepibili all’istante, fin dal primo filmato. Calandosi nei suoi panni non sembra, come nel caso del figlio di Marcus Fenix, di interpretare un manichino ambulante, bensì quasi di combattere fisicamente accanto a lei e ai suoi compagni: una sensazione che, per i fan di Gears, è ormai dispersa nei meandri del tempo, e che è stato fantastico poter riassaporare. Non è finita qui, perché l’influenza positiva di Kait aleggia di riflesso su tutto il resto del cast, riuscendo a far sembrare persino JD un personaggio sfaccettato: per dirne giusto un paio, riusciamo a capire meglio le difficoltà del figlio di Marcus Fenix e Anya Stroud nel vivere all’ombra dei suoi leggendari genitori; vediamo Del Walker sotto una luce diversa, permettendogli di uscire dall’anonimato; facciamo la conoscenza di nuovi e vecchi comprimari dai tratti meglio definiti. Complice una Kait che funge da perfetto collante per ogni vicenda e sulla quale vogliamo dirvi il meno possibile per evitare spoiler, la “nuova generazione” di COG vive in Gears 5 i suoi momenti migliori, riuscendo – con tre anni di ritardo – a non far rimpiangere più i vecchi e gloriosi eroi, ed anzi raccogliendone finalmente il testimone. 

Gears 5

Nel secondo atto, insieme a Del, è possibile esplorare un enorme lago ghiacciato e la valle circostante: una mappa di dimensioni molto più grandi rispetto al passato.

Le sorprese, nella storia di Gears 5, non si esauriscono certo qui. A personaggi più “forti” e una narrativa gestita in maniera pressoché perfetta in ogni situazione, il team è riuscito a unire diverse novità strutturali, fra cui una occasionale e netta apertura delle mappe, che, specie in determinati momenti, permettono di esplorare zone di ampio respiro: nell’atto 2, per esempio, si ha a disposizione un’intera valle tra i ghiacci, navigabile in libertà da cima a fondo a bordo di uno skiff improvvisato, con tanto di enorme vela per gestirne i movimenti. In questa lunga parentesi della storia principale, Gears 5 ci offre la possibilità di svolgere persino qualche missione secondaria, legata all’esplorazione di diversi avamposti, e invoglia all’esplorazione, spesso finalizzata alla ricerca e al recupero dei componenti necessari per potenziare Jack.

Anche il fido bot personale dei Gears ha subito un’evoluzione drastica, legata all’implementazione di abilità sbloccabili e migliorabili recuperando le suddette parti, abilità che, specie alle difficoltà più elevate, sono indispensabili per cavarsela in determinati passaggi e tavolta addirittura necessarie, in modo da non morire crivellati dai colpi di una squadra di cecchini, asfissiati da un gas velenoso e così via. Si va da uno scudo che fornisce armatura extra alla temporanea invisibilità per l’intera squadra, passando per la possibilità di stordire, accecare o danneggiare in vari modi i nemici di turno. Oltre alle abilità attive, anche quelle passive in possesso dello stesso Jack possono essere utili: quest’ultimo, alla pressione di un tasto, può infatti raccogliere armi e munizioni disseminate per lo scenario, anche in posti per noi impossibili da raggiungere in prima persona. Potenziare il suo scudo o l’invisibilità, nelle fasi più avanzate e soprattutto se si gioca in solitaria, è poi di vitale importanza per avere maggiori chance di farsi rianimare o, per esempio, di venire tratti in salvo dalla pancia di uno Snatcher. Simili elementi ruolistici, ormai irrinunciabili in un’esperienza del genere, introducono per la prima volta nella serie una sorta di sistema di progressione, che non è nemmeno troppo lineare: molti componenti, infatti, sono mancabili se non si esplora da cima a fondo e se non si completano determinati obiettivi secondari. Anche nelle fasi più aperte il gioco non lascia mai troppa libertà, dimostrando di saper alternare le fasi d’azione, di esplorazione e gli intermezzi legati alla storia con un’intelligenza che non ci saremmo mai aspettati, azzeccando persino la struttura “a matriosca” di alcune zone della mappa, con edifici e altri siti, circoscritti negli scenari più grandi, dal design circolare e ben studiato.

Alcuni effetti di luce sono incredibili su PC, anche senza ray tracing.

Il solito gunplay di sempre… con qualcosa in più

Raschiando la superficie e dando uno sguardo al gameplay e al gunplay veri e propri, ci si rende conto che Gears 5 ha fatto passi da gigante anche nell’ambito che da sempre ha reso la serie così popolare. Le animazioni, in primo luogo, sono state riviste e sono ora un po’ più veloci e dinamiche: la corsa, lo scavalcamento, persino i movimenti ai comandi delle armi pesanti, tutto è meno ingessato. Le sparatorie, di conseguenza, ne hanno tratto enormi benefici. Pian piano, nel corso del tempo, Gears of War è riuscito a slegarsi dalla definizione di cover shooter che lo caratterizzava in origine, e il quinto capitolo è la massima espressione di una filosofia che si lega anche ad altri elementi: a una rinnovata capacità tattica, decisionale e di movimento, alle abilità – fondamentali – da usare sul campo per salvare la pelle, ed anche, in misura maggiore, al level design. Quest’ultimo permette diverse interazioni ambientali, a tratti sorprendenti: se il terreno di combattimento è un lago ghiacciato, ad esempio, possiamo tirare granate o sparare colpi esplosivi per far cadere i nemici in acqua, facendoli affogare ed eliminandoli in un sol colpo. In molti casi possiamo spostare elementi dello scenario per creare coperture improvvisate in modo da ribaltare a nostro favore situazioni complicate, o possiamo cavarcela contro grossi gruppi di nemici (DeeBee dormienti, per esempio) eliminandoli senza far rumore e decidendo noi in prima persona quando cominciare lo scontro. Azione a parte, in diversi casi avremo poi a che fare con i soliti momenti comici, a tratti surreali, dei quali l’essere costretti a combattere in un teatro con tanto di musica a tutto volume non è neanche il più esagerato. Simili siparietti non sono più la caricatura di loro stessi, né tantomeno puntano a rappresentare l’anima della festa di una storia caratterizzata da toni più drammatici, a tratti quasi nichilisti: man mano che si prosegue ci si rende conto di questo contrasto agrodolce, riscoprendo emozioni ormai quasi sopite e risalenti ai migliori momenti di Gears 2 e 3, in un’alchimia che al classico effetto nostalgia a cui Gears 4 si era spesso e volentieri limitato aggiunge anche la volontà di passare oltre, di scoprire quel che verrà. E questa, credeteci, è una sensazione bellissima. Gears 5 riesce insomma a offrire molto di più, mettendo in fila un colpo di scena dopo l’altro e giungendo ai titoli di coda con una potenza inaudita: riuscire a rimanere indifferenti di fronte a una simile forza espressiva – e di nuovo, non vi diciamo nulla – è pressoché impossibile.

Rimane qualcosa che non abbiamo detto, oltre alla blindatissima trama? In realtà si: nel tratteggiare un identikit il più possibile preciso della campagna non si può non tener conto anche dei tanti, positivi miglioramenti alla qualità della vita, fra cui si segnala l’introduzione di barre della vita per i boss e i miniboss (Brumak, Scion e via dicendo) in modo da avere sempre sott’occhio un’informazione vitale, la cui assenza, alla quale in passato si era fatto il callo, era in realtà una mancanza non da poco. Sappiate, poi, che lo skiff visto nell’atto due non è l’unico veicolo utilizzabile: nel corso della campagna è possibile prendere il controllo anche di esoscheletri armati e torrette di ogni tipo, trasportabili alla bisogna. Il senso di onnipotenza che si prova al controllo di un Silverback, per esempio, è incredibile, ma è solo l’inizio: anche a piedi, gli sviluppatori hanno pensato a nuovi modi per spingere il gameplay di Gears verso direzioni finora inedite, ad esempio introducendo diverse armi melée fra cui la mazza Breaker, devastante a corta distanza, anche se davvero efficace solo contro larve, droni dello sciame e poche altre tipologie di nemici poco corazzati. Un’altra novità, stavolta fra le armi pesanti, è il criocannone, legato soprattutto a una specifica boss fight e poco utile nel resto dell’avventura, ma che potrebbe trovare un suo più ampio senso di esistere in determinate modalità cooperative o competitive.

Gears 5

La storia segue Kait alle prese con la metabolizzazione di un lutto… prima che sopraggiungano problemi ben peggiori.

Gears 5  ha un multiplayer solido e corposo

Se la storia è destinata a rimanere solida e immutabile nel tempo, il multiplayer di Gears 5 è invece una componente di ben più difficile valutazione, passabile di un’evoluzione che noi stessi accompagneremo nei prossimi mesi. In questi giorni ci è stato parecchio difficile trovare dei match ai quali partecipare, complice un sistema di matchmaking ancora in fase di rodaggio e che probabilmente diventerà operativo al 100% solo tra domani e dopodomani, quando i server verranno aperti ai possessori di Xbox Game Pass. Per ora, quindi, ci siamo limitati a qualche partita in modalità Versus perlopiù contro i bot controllati dall’IA, ben consci di aver tastato soltanto la superficie di una componente che Fergusson e compagni ritengono fondamentale. Quanto abbiamo avuto modo di vedere, però, ci ha convinto: come avevamo già notato nei primi contatti con il comparto online, all’E3 e alla Gamescom, il team sembra essere riuscito a trovare la perfetta quadratura per far funzionare tutto a dovere. Il sistema “a carte” non è stato rimosso come creduto, ma parecchio  ridimensionato, mentre la progressione, sia effettiva che “cosmetica” è più chiara e snella. Le poche partite svolte ci hanno fatto scoprire alcune delle mappe del gioco, disegnate con la solita struttura geometrica e con qualche idea di design supplementare: una, ad esempio, era contraddistinta da dei letali raggi laser che presidiavano il ponte centrale e che di tanto in tanto si attivavano, limitando il passaggio incontrollato da una parte all’altra della mappa e obbligando a furiose battaglie per il controllo della zona superiore, con la possibilità di sfruttare un paio di passaggi sgombri da trappole solo in quella sottostante. In generale, assommando le mappe finora provate a quelle che avevamo visto in precedenza e nella beta, ci siamo fatti un’idea piuttosto convincente della direzione in cui il multiplayer di Gears 5 andrà nei prossimi mesi, staccandosi in maniera netta dalla campagna e puntando alla competizione e ai tornei. Un destino simile potrebbe essere riservato anche a Fuga, nonostante la sua atipicità: si tratta in ogni caso di una modalità che nel complesso funziona, specie nella sua malleabilità, che permette la creazione di mappe dallo scheletro ogni volta differente e in generale un livello di personalizzazione mai visto nella serie. Fuga è un esperimento, un’aggiunta interessante al comparto cooperativo di Gears 5, che nei prossimi mesi dovrebbe evolversi a dismisura, anche con il contributo della community, a cui potrebbe essere affidato il compito di votare le mappe più interessanti. La modalità Orda, infine, è rimasta perlopiù legata alle origini ed è quanto di più classico ci si potrebbe aspettare dal multiplayer di Gears of War: a conti fatti – come sempre – rappresenta una sorta di estensione della classica esperienza single player, giocata però insieme ai propri amici. Anche qui, il sistema a livelli (da Principiante all’impossibile Maestro), con sblocchi specifici per ogni classe, i bonus di rarità leggendaria ed epica ottenibili ai gradi più elevati e le rank online faranno il resto, garantendo una longevità pressoché indefinita, specie per i palati dei suoi più irriducibili appassionati.

Le ambientazioni più claustrofobiche non sono sparite, tutt’altro: fungono spesso da collante fra una zona e l’altra ed ospitano alcune sequenze chiave della trama.

Nota a margine, che poi margine non è, vista l’importanza del tema che stiamo per affrontare. Ci tocca fare un clamoroso dietrofront nell’analisi legata al comparto tecnico, che nelle precedenti uscite, a giugno (nella prova a Los Angeles) e ad agosto (in quella teutonica ), avevamo giudicato una “semplice” evoluzione tecnica di Gears 4, ingannati dall’aver provato il solo multiplayer, forse su configurazioni nemmeno così irresistibili. Una volta messe le mani sulla build finale di Gears 5, giocata sia su PC ai massimi dettagli possibili (con una 2080 Ti, un i9 9900k e 32 GB di RAM) che su Xbox One X, abbiamo invece dovuto ricrederci. Su PC si può beneficiare di una qualità visiva davvero inarrivabile, ma anche la console midgen di Microsoft si difende in maniera più che buona, raggiungendo i 60 FPS pressoché stabilmente (su One e One S il frame rate viene dimezzato a 30) e scalando la risoluzione in maniera dinamica per mantenere questo target, con una base di partenza di 2160p nativi. Le immagini parlano da sole: sotto il profilo visivo e artistico, specie nella varietà di ambientazioni proposte, il risultato che Gears 5 è riuscito a raggiungere è incredibile. A tratti, in determinate ambientazioni e grazie alla massiccia attivazione di filtri visivi di post-processing, da far cadere la mascella. È un’evoluzione, sì, ma un’evoluzione che spinge ai massimi termini le possibilità dell’Unreal Engine 4, da sempre restio ad aprirsi a scenari più ampi (come quelli innevati del secondo atto) senza perdite di dettagli o di qualità generale. Ebbene, ci eravamo sbagliati: a The Coalition il miracolo è riuscito. E non solo in questo caso.

C’è poco da girarci attorno, e ci auguriamo di essere riusciti a farvelo capire anche senza dirvi una parola che è una sulla trama: Gears 5 è davvero il miglior Gears of War di sempre, come accennavamo in apertura. Rod Fergusson e i ragazzi di The Coalition hanno tirato fuori un’opera mastodontica, un capolavoro di tecnica, di game design e di narrativa che quasi non ha difetti. Anzi, a questo punto vogliamo lanciare a tutti un guanto di sfida: i difetti, microscopici semmai ce ne sono, divertitevi a cercarli anche voi. A meno di non impugnare la lente di ingrandimento e guardare il pelo nell’uovo sarà molto difficile trovarne, perché Gears 5 è non solo due videogiochi in uno (quattro, se scorporiamo in tre il multiplayer), ma è anche e soprattutto esattamente il videogioco che voleva essere, riuscendo, a posteriori, persino a far sembrare il suo predecessore una pallida imitazione. Sotto il tetto di Microsoft è finalmente nata (o meglio, sbocciata) una nuova generazione di eroi e leggende, destinata ad accompagnarci per molti anni a venire: questo, a noi, è sembrato solo l’inizio.

Nato nello scorso millennio con una console fra le mani e rimasto per molti anni confinato nel mondo distopico della Los Angeles del 2019, ha infine deciso di uscirne per divulgare al mondo intero le sue più grandi passioni: il videogioco in tutte le sue forme, il cinema (quello vero) e Dylan Dog.