Una delle principali qualità da sempre affibbiate alla scena videoludica indipendente è la libertà con il quale gli sviluppatori possono “rimescolare le carte in tavola” e mischiare i generi tra di loro, andando a creare mix interessanti che – un po’ per motivi economici che di pubblico – non avrebbero ragione d’esistere nel mercato videoludico Tripla A. Tuttavia, come spesso capita, non sempre l’idea più originale e “fuori dalla scatola” porta alla creazione di un prodotto divertente, e il nuovo The Last Case of Benedict Fox – sviluppato da Plot Twist e messo in risalto anche grazie all’inclusione del catalogo di Xbox Game Pass – ne è purtroppo un esempio fin troppo evidente. Analizzare un gioco come questo equivale ad una vera e propria indagine investigativa. C’è tutto: un team di veterani dell’industria, una premessa affascinante e uno sfondo ispirato all’universo letterario del “maestro dell’occulto” Howard Philip Lovecraft. Come si è arrivati a questo risultato? Le prove sono davanti a noi e non possiamo fare altro che “buttarci a capofitto” verso il mistero e risolvere questo caso.
“Quella volta che tuo padre andò a spassarsela con Abisso”
Ci troviamo all’interno di una non proprio ben spiegata ucronia post-Seconda Guerra Mondiale, un’epoca segnata da grandi progressi nell’ambito tecnologico e scientifico, con organizzazioni come il Primo Girone che, tramite l’ausilio di pratiche disumane come rituali e sacrifici, riesce a stabilire i primi contatti documentati e provati con il vuoto e le sue creature. Per proibire e fermare alla radice queste esplorazioni dell’occulto, viene fondato l’Ordo Ira Dei e ogni membro del Primo Girone viene perseguito. Tuttavia – come suggerisce anche il narratore che introduce questo inquietante racconto – “non tutti sono disposti a farsi controllare”. Ed è proprio qui che entra in gioco Benedict Fox, un giovane detective in qualche modo collegato al Primo Girone e al ricercatore James Marvin Floyd e in grado di manovrare un essere oscuro definito “compagno”, pronto a tirarlo fuori dalle situazioni più precarie. Le ricerche del detective lo portano all’interno nella dimora del diretto interessato, ed è proprio al suo interno che Benedict verrà a conoscenza degli “scheletri nell’armadio” del padrone di casa e soprattutto sulle sue origini in quanto figlio dimenticato e sul potere che manifesta.
Ed è anche questo il problema più grande dell’intera narrativa. Nonostante le premesse di una storia ispirata agli dei e alla mitologia creata da H.P. Lovecraft, The Last Case of Benedict Fox preferisce utilizzarle solo come sfondo, un pretesto per mandare avanti gli eventi e affidarsi a una sceneggiatura marginale e poco approfondita, che ha sì i suoi momenti da “Wow! Che figata, questo sì che è interessante” e molti rimandi a tematiche delicate e purtroppo ancora odierne, ma che comunque rimangono descritte in maniera approssimativa e lasciate all’interpretazione del giocatore. Avete presente quando, durante un film o una serie tv, vengono tirati in ballo determinati contesti che poi non verranno mai più menzionati? Ecco.
The Last Case of Benedict Fox: il metroidvania che fa “il brutto e il cattivo tempo”
In termini di gameplay, la struttura di The Last Case of Benedict Fox non si discosta troppo dai Metroidvania più blasonati: una volta entrati all’interno della inquietante villa di Kimberly Way (Boston), il giocatore si trova davanti a una mappa limitata e piena di ostacoli – all’apparenza insuperabili – e con la possibilità di spostarsi all’interno di un mondo onirico all’altro alla ricerca di indizi che piano piano porteranno alla risoluzione del mistero. Ebbene sì, con una soluzione che incarna alla perfezione il nome della software house, Plot Twist mescola la progressione all’interno della mappa 2.5D con l’indagine poliziesca di un titolo investigativo, incitando anche il giocatore meno propenso all’esplorazione a ricoprire ogni anfratto del Limbo in cerca di oggetti, porte e soprattutto enigmi, con questi ultimi che necessiteranno l’ausilio di non poco intuito per essere risolti.
Purtroppo, anche in questo caso non mancano le fasi di gioco caratterizzate da tempi morti e dispersività, da sempre unico “tallone d’Achille” che accomuna gran parte dei Metroidvania. Tradotto in backtracking a manetta e che va a generare sensazioni di confusione e frustrazione che sì, si incastrano bene all’interno di uno scenario desolato e sconosciuto, ma che allo stesso tempo non vengono controbilanciate da strumenti in grado di aiutare il giocatore come una mappa visibile in tempo reale (assente e consultabile solo all’interno del menu di gioco) o descrizioni di oggetti meno criptici e che offrono indizi più chiari, piuttosto che riflettere i soli pensieri di Benedict. Per carità, un buon metodo per accentuare l’immersione nel mondo di gioco, non tanto efficace se si mira ad un’esperienza scorrevole.
E la stessa frustrazione si manifesta quando si esplora il combat system di The Last Case of Benedict Fox… o quantomeno si prova a esplorarlo. Il buon detective è infatti in grado di ingaggiare il combattimento contro le creature del Limbo in 3 modi: tramite il combattimento corpo a corpo, l’utilizzo di una rivoltella e l’uso dei tentacoli del compagno per librarsi in volo con salti multipli, pestoni devastanti e bloccare i colpi avversari con dei parry. Strumenti che però – anche dopo svariati potenziamenti ottenibili interagendo con la tatuatrice e il fabbro – non risultano rapide e soddisfacenti da utilizzare, al contrario di nemici molto più rapidi e in grado di combinare multipli attacchi per decimare i pochissimi punti vita a disposizione del giocatore. Non importa quanti pattern si imparino, la familiarità con la schivata tramite levetta analogica (anche qui, non proprio il massimo del comfort) o la conoscenza delle abilità del proprio alleato tentacolare; 2 volte su 5 ci si trova in situazioni in cui è quasi impossibile prevedere gli attacchi delle creature che popolano i meandri psichici della magione di James Marvin Floyd. Certo, è possibile modulare il livello di difficoltà sia degli scontri che degli enigmi, ma in questo modo non si fa altro che “mettere una pezza” sugli evidenti difetti di un titolo che, per quanto interessante nel suo concept, non riesce a tradurlo in un’esecuzione di alto livello.
Bello da vedere, fastidioso da giocare
Per quanto riguarda invece il lato tecnico, The Last Case of Benedict Fox affianca una direzione artistica magistrale ad un comparto tecnico a malapena sufficiente. Mettiamo subito le cose in chiaro, per quanto l’ispirazione “Lovecraftiana” si avverta come uno sfondo piuttosto che un tema che abbraccia la narrativa al 100%, il lavoro fatto dal team artistico e dai designer per questo gioco è notevole. Ogni bioma del Limbo non solo è ben differenziato e unico, con gli ambienti che spaziano tra foreste lugubri, laboratori e fabbriche dai toni steampunk e cimiteri abbandonati (e tanto altro ancora), si percepisce una cura maniacale nei dettagli e una ricerca artistica sulla caoticità dell’inconscio di sublime fattura, anche se è possibile individuare qualche piccola sbavatura nel design dei nemici che popolano il mondo occulto, un po’ troppo generici e monotematici.
Discorso che, purtroppo, non può essere fatto per la direzione tecnica del gioco, che su Xbox Series X|S soffre di problemi di fluidità che non possono essere giustificati dalle capacità tecniche dei due hardware, che sul fronte dei metroidvania riescono a gestire un frame rate più che fluido su opere molto più complesse come Ori and the Will of the Wisps a 120 FPS. Al contrario, The Last Case of Benedict Fox in Modalità Performance non riesce a raggiungere neanche i 60 FPS, presentando inoltre diversi momenti di freeze e rallentamenti piuttosto comuni durante la partita. Infine, ed è per certi versi un problema peggiore di quello precedente, il gioco è pregno di bug e problemi di stabilità software che in certi casi possono comportare alla cancellazione di un file di salvataggio o addirittura il blocco totale dei progressi di gioco.
Per fare un esempio, durante la partita viene richiesto al giocatore di collezionare e installare pezzi di ricambio per un oggetto necessario alla risoluzione degli enigmi ambientali disseminati per la mappa. Ebbene, dopo aver ottenuto i materiali necessari e utilizzato il fabbro per effettuare gli upgrade, io e diversi altri giocatori siamo rimasti increduli nel constatare che l’aggiornamento fosse stato completato in modo corretto, rendendo impossibile un ricaricamento del salvataggio precedente e bloccando in maniera quasi definitiva la prosecuzione del gioco. Certo, una patch rilasciata pochi giorni fa ha risolto il problema, ma non nascondo la mia frustrazione nel dover ritardare l’uscita di questa recensione a causa di un problema così comune e facile da riprodurre, e che per qualche motivo non è stato individuato dai QA Tester del gioco prima della release.
Piattaforme: Xbox Series X|S, PC
Sviluppatore: Plot Twist
Publisher: Rogue Games
Nonostante le ottime premesse dal punto di vista creativo, The Last Case of Benedict Fox fallisce nel trovare la sua unicità nel panorama dei Metroidvania. Complice anche una trama che, pur avendo ottimi spunti e momenti interessanti, non riesce a rispettare le aspettative fatte in fase di marketing e l’aver tirato in ballo un colosso della letteratura come H. P. Lovecraft. A questo si aggiunge un gameplay che parte in maniera piuttosto basilare e che tende a fare molta fatica ad approfondirsi e risultare divertente, e soprattutto un’ottimizzazione su Xbox Series X|S insufficiente e ingiustificata. Plot Twist potrebbe redimersi in futuro? Magari l’uscita di una versione riveduta e corretta – magari offerta come upgrade a basso costo per gli utenti della prima ora – potrebbe rendere giustizia a una direzione artistica che non merita di essere associata a una produzione mediocre.