Resident Evil 7: Biohazard – Recensione

Resident Evil 7 è stato testato dalla Redazione di Gamesvillage.it unicamente sulle piattaforme Xbox One S e PlayStation 4. Sony PlayStation non ha fornito in tempo un kit PlayStation VR per poter dare giudizi sull’esperienza in realtà virtuale, sulla quale torneremo in seguito.

 

Venti anni. Per la precisione ventuno, e tra soltanto due mesi. Affermerei che risulta davvero facile sentirsi oggi più vecchi, ripensando ai giorni del debutto del male targato Capcom. Forse persino più vecchi ancora, se si ricorda in modo distinto come la mamma di Mega Man, Ryu e Ken, coniò per prima il termine “Survival Horror” grazie all’immortale capolavoro di Shinji Mikami del 1996.

Un genere che, diciamoci la verità, ha vissuto un’epoca d’oro splendida e raggiante, che ha riempito i nostri pomeriggi dopo la scuola, le nostre notti insonni con gli amici e nella solitudine di una cameretta oggi abbandonata, come le case degli orrori che aumentavano i nostri battiti e infestavano i nostri incubi. E ora? Ora rimane come una storia d’amore del passato ormai finita, con bellissimi ricordi che sfioreranno sempre la perfezione nelle nostre memorie, ma senza un piede nel presente.

Fatalismo? Non proprio. Pensiamo un attimo agli FPS dagli anni novanta ad oggi… e proviamo a fare lo stesso con i picchiaduro. Ci sono storie d’amore, nella storia del Videgioco, che si sono bruciate come splendidi fenici che hanno dimenticato di risorgere dalle proprie ceneri. Proprio come la saga di Resident Evil: il sesto capitolo della saga della Umbrella, dei dobermann redivivi e dei colpi di scena di cyborg e morti inscenate, ha segnato il capolinea dopo i numerosi tentativi di rinnovare, svecchiare ed evolvere quella storia le cui iniziali portavano la calligrafia di Mikami e di Kamiya. Dopo tanta insistenza, sembrava che non ci fosse più nulla da fare per “il RE dei Survival Horror”, e che neanche massicce dosi di adrenalina, testosterone, steroidi e creatina potessero far pompare il suo cuore come un tempo.

Quindi? Quindi, come il maiale, non buttiamo niente. E giù di remake, remastered delle remastered e collector delle collector. Fino all’annuncio. Inatteso, inaspettato (sperato?) eppure… eccolo. Resident Evil torna. Resident Evil 7 esiste. Ed è… completamente diverso. Visuale unicamente in prima persona (e già!), supporto per la realtà virtuale, personaggi… inediti. Insomma, di Resident Evil sembrava rimanere soltanto il nome, almeno a giudicare dalle numerose prove nelle fiere del settore e dalla gettonatissima demo. E, ve lo diciamo subito, la sensazione non si scrolla di dosso neanche dopo svariate ore di gioco. Ma andiamo con ordine, come si diceva un tempo nelle recensioni su filigrana.

L’anno è il 2017, da entrambi i lati dello schermo. Il posto non è l’iconica e familiare Racoon City, ma una fittizia città della Lousiana, Dulvey. L’atmosfera ci metterà subito a disagio: a metà strada tra “Le Colline hanno gli occhi” e “Non aprite quella porta”, con una sceneggiatura per la prima volta con una firma occidentale e soprattutto lontana dalle origini della saga (sebbene il buon Richard Persey abbia anche contribuito a una piccola perla dimenticata del Videogioco, Spec Ops: The Line).

Il sole si staglia alto nel cielo, accarezzando polvere, sabbia e improvvise radure, mentre Ethan Winters segue la scia lasciata dalla sua presunta morte moglie, Mary… ah no, Mia. Davvero, si, comunque e scherzi a parte: dopo 21 anni Capcom ha deciso di seguire le sognanti note delle collini silenti, e nessuno sembra volerne parlare?

Non solo andremo a cercare una presunta moglie morta dopo averne ricevuto una lettera (e riesco quasi a sentire sospirare “in my restless dreams”). Non solo tutto inizierà con un viaggio in macchina verso l’ignoto. Ma, soprattutto, il nostro Ethan sarà un signor mister nessuno. Proprio come nella cittadina della nebbia eterna.

Niente muscoli, quindi, o addestramento da agente delle imbattibili forze speciali o innate capacità nelle arti marziali. Peccato solo che muoveremo i nostri primi passi senza una più pallida idea di chi sia Ethan, o chi sia Mia. Una coppia, si, priva però di ogni briciolo di essenza. Dopo un breve filmato iniziale dove racconteremo a un nostro presunto amico di esserci fiondati alla ricerca della moglie dispersa, ci ritroveremo già davanti all’inquietante villa stampata sulla patinata copertina del gioco.

Ed eccoci a inclinare le levette guardando dagli occhi del protagonista, in un gioco intitolato Resident Evil. Certo che da Gun Survivor ne è passata di acqua sotto i ponti. L’impatto grafico è qui decisamente gradevole. Le texture sono curate e definite nella maggior parte dei casi, i colori e l’architettura ben studiate e amalgamate. Nulla che faccia gridare al miracolo, ma capace in più situazioni di trasudare quantomeno passione. Da sottolineare che con un pannello HDR potrete godere di un buon numero di dettagli aggiuntivi, grazie a contrasti e giochi di luce che avvolgeranno tutti gli ambienti più angusti che attraverserete. Ovvero, la maggior parte di essi.

Ve lo voglio dire subito. Come si fa in confessionale dal prete, senza girarci attorno. La migliore esperienza che Resident Evil 7 potrà offrirvi, durante le circa 12 ore che impiegherete per raggiungere i suoi titoli di coda, saranno proprio questi primi, disorientanti, frangenti. E il perché vi sarà presto chiaro.

Dopo aver provato a correre e ad accovacciarci, vi sarà evidente che no, Ethan non è decisamente Chris Redfield. Ma dopo P.T., Outlast e familiari, persino un Resident Evil in prima persona con un anonimo protagonista goffo e lento può diventare digeribile. Forse. Questa “prefazione” ci vedrà alle prese con atmosfere silenziose, jump-scare, un’aria pregna di mistero e tanto, tanto stealth. Qualche oggetto da raccogliere, qualche testo da leggere, qualche filmato. Piccoli enigmi. Perché ci sarà sempre un fusibile da sostituire per aprire una lugubre ma tecnologica soffitta, in una casa decadente della Lousiana.

Ben presto, le cose cominceranno a cambiare però. Ed ecco fare capolino alcuni meccanismi di gameplay a noi ben noti, come miscele di piante e polveri da sparo, mappe della casa stregata con aree esplorate e a noi precluse, chiavi di serpenti e scorpioni, registratori di cassette per salvare i nostri progressi. E? E tanti combattimenti. Spesso, però, più che combattere la soluzione sarà scappare. Ricordate, no? Survival horror. Riuscirete quasi a vedere gli slogan ingialliti delle riviste del 96 attraverso gli schermi dei vostri visori PlayStation VR. Semmai ne avrete uno.

A un certo punto, mi sarei dovuto accendere una sigaretta, tanto è stato lo sgomento nell’unire impressioni e pensieri. Ma per fortuna ho smesso. Insomma, pensavo che quello che mi sarei ritrovato a provare e giudicare non fosse altro che un povero “New Horror Project” sviluppato in quel di Capcom, che qualche simpaticone del Marketing aveva giustamente ribattezzato “Resident Evil”. E invece no. Quello che dopo qualche ora di gioco mi sono ritrovato davanti era davvero diverso da tutto quello che mi immaginavo, anche dopo le varie sessioni in giro per E3, gamescom e demo varie. Quello che mi sono ritrovato davanti era più simile a un Chris Redfield cucito a pelle con Miles Upshur, con una spruzzatina di James Sunderland a fine cottura.

Perché alla fine, ritroverete pezzi vari della saga di Resident Evil buttati a forza dentro un altro contesto, con altri controlli e altre premesse. Ad esempio non mancheranno i Boss a prima vista invincibili che vi costringeranno a combattere nel mentre di un infinito girotondo, un vero e proprio tuffo negli anni novanta anni. Come dite? Succede anche in Dark Souls? Vero, ma se vi lamentavate in quel caso dei problemi di inquadratura, aspettate di ripetere un boss per tre ore di fila, soltanto perché ogni elemento del gameplay suggerirebbe lo scontro con una visuale in terza persona… e non in una versione ottantenne e con problemi di scoliosi del nuovo Doom.

Perché si: più andrete avanti e più aumenteranno gli scontri, i nemici, gli agguati e i boss. La componente action prenderà il sopravvento ma senza essere supportata da un sistema di controllo e un aggiornamento dell’immagine su schermo adeguato, e le auto-citazioni ritrite dei primi capitoli (ops… un fucile da sostituire per prendere quello vero e un giardino con la casa vecchia del custode… ancora?!) non aiutano, aggravate da dei dialoghi piatti e in alcune situazioni goffamente divertenti. E pensare che si, nonostante tutto, era iniziato quasi bene. Quello che voglio dire è che forse, era quasi (assurdamente) più lecito accettare lo sfruttamento di un brand famoso e storico come Resident Evil, come firma di una tipologia di gioco nuova e coraggiosa (per Capcom), che ritrovarsi di fronte a un esperimento in bilico tra queste due nature, opposte, di “survival horror”.

Un vero peccato perché, sinceramente, Resident Evil 7 non è un brutto gioco, e neanche una mediocre esperienza. Offre degli ottimi scorci visivi e dei momenti di grande pathos. Persino, in paio di casi, capaci di terrorizzarci e farci provare una genuina paura. Ci sono alcuni momenti in cui vi sentirete totalmente immersi, all’interno di quella polverosa, maleodorante e sanguinante magione. In cui camminerete in punta di piedi all’interno del gioco fino a quasi inclinarvi sulla sedia. Ma la magia finirà con l’infrangersi presto, contro l’ennesima porta da aprire incollando insieme delle piastrine metalliche a forma di teste di cani, che metteranno in moto inspiegabili meccanismi per ancora più insensati enigmi.

Comincia la sua carriera di videogiocatore nel lontano 1985, quasi in fasce, grazie alla passione del padre per il cabinato di Space Invaders. Da quel momento, ha votato la sua vita al videogioco: prima come redattore di riviste specializzate, poi come marketing manager di Fondazione VIGAMUS, su i progetti VIGAMUS & VIGAMUS Academy,. E sì, "Revolver" è in onore dell'inossidabile Ocelot di Metal Gear Solid. Quello di un tempo, almeno.