Killzone: Shadow Fall – Recensione

Killzone Shadow Fall

Killzone: Shadow Fall merita una recensione che non cada nei soliti stereotipi, che cerchi di andare un po’ oltre quell’insistente volontà nel voler a tutti i costi stroncare ogni titolo di lancio di questa next-gen. Urge insomma cercare di distaccarsi un po’ dalle pretese assurde di chi vorrebbe una rivoluzione nei videogiochi dall’oggi al domani, tentando nel contempo di evidenziare mancanze e problemi di design, che di certo non mancano in quasi nessuna produzione facente parte della line-up iniziale di entrambe le console. Non sto mettendo le mani avanti, sia chiaro. Tuttavia, quando si parla di Killzone ho sempre l’impressione che per taluni sia rimasto lo stesso gioco di nove anni fa, quello PS2, che alcune testate spacciarono come l’Halo-Killer. L’FPS di Guerrilla Games ha poi dovuto passare attraverso le forche caudine di PS3, dove il celeberrimo filmato in CG del secondo capitolo ha generato per anni infinite discussioni: per alcuni, quella è rimasta una ferita sempre aperta, un rimuginare senza fine, quasi una questione di principio. Probabilmente quel dente avvelenato non ha mai permesso a Killzone di trovare una meritata collocazione nel genere degli sparatutto, sempre guardato con sospetto e con un discreto scetticismo. Pur con tutti i suoi limiti in fatto di narrazione e coinvolgimento, la saga si è evoluta in maniera significativa, sempre sulla cresta dell’onda in termini di scelte tecniche e con una componente multiplayer solida e alternativa allo strapotere di Call of Duty.

Oggi ci troviamo di fronte a un titolo che esordisce al lancio di PS4, un qualcosa di impensabile nella scorsa generazione e ora possibile grazie all’enorme esperienza accumulata dal team olandese e al suo coinvolgimento diretto nel processo creativo che ha portato alla nascita del DualShock 4. Quei grilletti così comodi e gli stick analogici tanto precisi, sono frutto (anche) dei continui feedback forniti dai ragazzi di Amsterdam, è bene non dimenticarlo. Del resto non appena si prende il mano il pad, s’intuisce immediatamente quanto hardware e software siano integrati perfettamente nell’esperienza di gioco. Un esempio concreto arriva dal touch pad: un semplice swipe ci permette di cambiare la modalità di funzionamento dell’OWL, il piccolo drone da battaglia che ci seguirà praticamente ovunque. Persino la light bar viene tirata in ballo, cambiando colore a seconda dello status vitale, anche se probabilmente solo giocando al buio si potrà apprezzare tale feature pienamente. Infine, abbiamo gli audio-log letti attraverso il piccolo altoparlante presente sul controller, un particolare che fa tanto Wii U.

Ma al di là di questi aspetti, non si può che elogiare la precisione assoluta dei due analogici, la zona morta ridotta ai minimi termini e l’eliminazione di ogni traccia di lag, al di là di quello che può essere generato dal TV stesso. Da notare che il senso di pesantezza nei movimenti che ha sempre caratterizzato la serie è stato completamente eliminato a furor di popolo. Onestamente, non l’ho mai trovato così fastidioso, ma non starei a farne una questione di stato. Il gameplay, del resto, ha preso una piega più veloce e diretta, con scontri più concentrati, lontani dalle epiche battaglie sulla grigia (e marrone) Helghan, dove il tutto aveva un sapore di un vero e proprio conflitto su scala globale.

Del resto Shadow Fall è ambientato 30 anni dopo quegli eventi, su Vekta, il pianeta natale dei “buoni”, oggi diviso in due da un immenso muro. Una metà è stata concessa agli Helghast profughi, come una sorta di contentino per avergli reso il pianeta natale completamente inabitabile. Ovviamente, l’odio di questi ultimi verso gli infami colonizzatori non poteva certo rimanere a lungo sotto controllo, e del resto la nostra storia ci ha insegnato che nessun muro aiuta un difficile processo di pace. Evitando ogni spoiler, vi posso dire che indosseremo i panni di uno Shadow Marshall, una sorta di soldato/spia, specializzato in missioni solitarie d’infiltrazione. Già questo evidenza il differente taglio scelto dai Guerrilla, decisamente più ragionato e impegnativo, almeno sotto certi aspetti. Non per nulla disponiamo di un gadget tuttofare come l’OWL, in grado di attaccare e stordire i nemici, attivare uno scudo fisso o lanciare una corda sospesa per spostamenti rapidi. Ad aggiungere un ulteriore elemento tattico troviamo un sonar, utile per individuare presenze ostili, tanto quanto munizioni e medicinali. Occhio a non abusarne però, altrimenti si genererà una scarica elettrostatica che allerterà gli Helghast in zona.

Il più delle volte converrà sfruttare tutto il nostro armamentario in modo da colpire per primi, ma non fatevi illusioni: non siamo certo di fronte a uno stealth game e, del resto, il fatto che non esistano armi silenziate, tranne il coltello (e giusto in qualche qualche occasione), è abbastanza significativo. Ciò detto, non sono poche le sequenze dove non si spara neanche un colpo, con l’esplorazione messa in primo piano, forse anche troppo. Non sarebbe nemmeno una cattiva idea in linea di massima, anche per spezzare un po’ l’azione, solo che non di rado ci si ritrova a gironzolare senza capire bene cosa fare e dove andare, il che non è proprio sintomo di un ottimo game design. Va molto meglio, ovviamente, nelle sequenze più classiche, dove ancora una volta Killzone dimostra di essere un FPS solidissimo, nonché piuttosto hardcore, con caricatori sempre contati e l’energia che scende a ritmi vertiginosi.

L’IA dei nemici non sarà la più raffinata di tutti i tempi, ma nemmeno la più terribile di sempre, e comunque molto dipende dal livello di difficoltà selezionato. Anche la trama non è proprio da premio Oscar, ma almeno a questo giro è apprezzabile un certo sforzo nel voler dare un minimo di spessore ai vari personaggi. Purtroppo, rimane difficile provare empatia per il protagonista, anche perché ancora una volta l’impressione è quella di trovarsi di fronte a un tizio piuttosto anonimo, facilmente sostituibile in un prossimo capitolo.

Non rimarranno invece delusi i fan del multiplayer, dato che Shadow Fall presenta ben dieci mappe (e molte altre ne arriveranno in successivi DLC) e numerose modalità di gioco, con tanto di personalizzazione grazie alle Warzone, condivisibili con il resto della comunità. È un’ottima idea, utile specialmente se si vuole mettere assieme un po’ di amici con i quali sparacchiarsi allegramente, alterando regole e limitazioni a proprio piacimento. Insomma, c’è di che essere assolutamente soddisfatti sotto questo aspetto, anche se la mancanza di una chat vocale si fa sentire (ma Guerrilla ha garantito che arriverà un upgrade in merito).

Inutile dire che tutta la parte grafica rimane indiscutibilmente spettacolare. Le scelte tecniche adottate dal team di sviluppo sono a dir poco all’avanguardia. In particolare, la simulazione fisica della luce è qualcosa di straordinario, roba che fino a oggi avevamo visto solo sul CryEngine in configurazioni spinte. La resa dei materiali, il comportamento dell’illuminazione globale, gli effetti particellari, il dettaglio a tratti impressionante… tutto contribuisce a rendere Shadow Fall una vera gioia per gli occhi, forte dei suoi 1080p e di un frame rate variabile che oscilla fra i 30 e i 40 fps nel single player, spingendosi fino ai 60 nel multi. È davvero un risultato notevole, se consideriamo che stiamo pur sempre parlando di un titolo di lancio, quindi tanto di cappello a grafici e programmatori per aver messo assieme una produzione di un livello così elevato. Certo, ci sono ancora delle imperfezioni (le ombre sono ancora un evidente tallone d’Achille, specialmente quelle più distanti), ma pretendere qualcosa di meglio, considerati i risultati della ben nota concorrenza, sarebbe una pretesa ai limiti dell’arrogante. Poi c’è chi continuerà a criticarlo a prescindere, ma questo è un altro discorso.