Ready Player One – Recensione

La vita di tutti i giorni è piena, nella sua inarrestabile frenesia, di momenti nei quali le difficoltà, le sfide e le responsabilità che ci si parano davanti sembrano soverchiarci con la loro inderogabilità. E’ nella natura di noi esseri umani cercare, in mezzo al trambusto del lavoro dei figli e del traffico, di ritagliare un angolino di tempo e spazio in cui poterci nascondere per un po’, sbattendo la porta in faccia a tutti quei fastidiosi impegni che ci accompagnano durante il giorno. Lo facciamo tutti in qualche modo: chi guardando un film, chi giocando ai videogiochi, chi leggendo un libro, chi ascoltando la musica e chi dedicandosi al modellismo. Tutti noi in un modo o nell’altro ci troviamo a dar retta prima o poi a quella vocina spaventata che ci sussurra: “scappa”.

E’ questo desiderio umano di evasione la prima cosa che vediamo quando le immagini iniziano ad illuminare lo schermo nella sala di Ready Player One, l’ultima opera cinematografica diretta da Steven Spielberg e basata sull’omonimo romanzo di Ernest Cline. Gli eventi della trama ruotano attorno al destino di Oasis: il mondo accessibile tramite realtà virtuale ideato dalla mente di James Halliday un visionario appassionato di cultura pop ed anni ottanta. Ci troviamo inseriti storicamente nell’anno 2045 cinque anni dopo la morte di questo Halliday il quale, come suo ultimo atto pubblico, ha dato il via ad una caccia al tesoro dentro il suo mondo: chiunque riuscirà a trovare le tre chiavi da lui nascoste in Oasis diventerà il legittimo proprietario della sua eredità miliardaria e del suo stesso gioco.

Prima di scendere nel dettaglio rispetto allo svolgersi degli eventi, vorrei sottolineare il fatto che questo film presenta diversi spunti di riflessione molto interessanti, spesso e volentieri collaterali alla trama stessa, che sebbene rimangano in secondo piano riescono ad incrementare la profondità dell’intero racconto, sollevando domande che lo spettatore non è costretto a porsi ma che sono assolutamente a portata di mano.

Primo tra tutti gli interrogativi è quello relativo alla valutazione del futuro presentato da Spielberg: vediamo gli esseri umani costretti a vivere in una realtà misera, ridotti in baraccopoli costruite impalcando piccole roulotte una sopra l’altra, in mezzo a quella che sembra la discarica di un colossale sfasciacarrozze. Per stessa ammissione del protagonista Wade Watts, gli esseri umani hanno rinunciato a cambiare le cose e si sono rifugiati nel sogno di Halliday: Oasis.

Specularmente all’aberrante situazione in cui è scivolato il mondo, dall’altra parte c’è Oasis, paradiso terrestre in cui esplorare un universo infinito e pieno di meraviglie, con offerta sufficiente a soddisfare i gusti di chiunque. E’ sempre lì, a portata di mano, basta indossare il proprio visore per divenire chiunque vogliamo essere, una sensazione ben nota a tutti noi videogiocatori. A differenza dei videogiochi odierni però Oasis non è solo un passatempo ma è una vera e propria seconda società, con un sistema monetario basato sulle morti, dal quale appare evidente sia possibile trarre effettivo guadagno ed acquistare oggetti reali oltre che potenziamenti ed aspetti, se muori perdi tutte le tue monete ed artefatti.

Con questo dualismo così forte tra le due realtà contrapposte, è difficile pronunciarsi senza se e senza ma sul futuro proposto dal film, si tratta di una visione distopica o di uno scenario utopico? Cosa pesa di più sulla bilancia, l’illusione della felicità o la realtà della disillusione? Questo il calibro domande che fanno da contorno a Ready Player One e, per quanto non vengano mai esplicitate, è importante tenere conto del fatto che ci sono e questa non è una cosa che si trova in un qualunque blockbuster per il grande pubblico.

Eroe del racconto e motore degli eventi che si susseguono nella trama è il giovane protagonista Wade Watts, interpretato da Tye Sheridian(The Tree Of Life, X-Men, Joe). Rimasto orfano durante la sua infanzia Wade è costretto a vivere nella roulotte della zia, una figura tutt’altro che materna sempre incastrata tra un uomo terribile ed uno peggiore dalla quale, come è ovvio, Wade tende ad isolarsi rifugiandosi nel suo piccolo antro tra i rottami ed esiliandosi su Oasis. Il ragazzo cresce tutta la vita appassionandosi sempre di più ad Halliday, vedendolo come un genio ed un mito a cui ispirarsi, è grazie a questa particolarità che Wade riuscirà, passo dopo passo, a seguire le briciole di pane disseminate sul percorso disegnato dal suo idolo, percorso che porta direttamente all‘Easter Egg nascosto dentro ad Oasis ed alla proprietà assoluta del mondo virtuale.

Ad accompagnare il nostro eroe attraverso la sua avventura ci sono diverse figure chiave, a cominciare dai suoi amici virtuali: Aech , Sho e Daito schierati insieme a Wade tra i Gunter (abbreviazione di Egg Hunter), un gruppo di giocatori indipendenti tra loro intenzionati a risolvere l’ultimo enigma lasciato da Halliday. Oltre ad essi c’è un quinto personaggio che svolge il ruolo di co-protagonista, inserito cronologicamente dopo il gruppetto di amici, si tratta di Artemis (Olivia Cooke), una ragazza famosa nell’universo virtuale per essere una dei Gunter più abili al mondo. Sarà questa la composizione del team dei “buoni” radunato ad opporsi all’assoluto “cattivo” della storia. A recitare la parte dell’antagonista troviamo Bob Mendelsohn, nei panni di Nolan Sorrento, l’amministratore delegato della Innovative Online Industries (in breve IOI), seconda compagnia mondiale, interessata ad ottenere il dominio di Oasis.

Questo Nolan Sorrento non è un cattivo totalmente bidimensionale, è anzi approfondito tanto attentamente quanto il protagonista. Il Malvagio CEO della IOI non è sempre stato ricco e potente, l’unica ragione per cui ha ottenuto il suo incarico attuale è il fatto che, anni prima, aveva lavorato a contatto con Halliday retroscena ulteriormente approfondito da Wade, che ci racconta di come nella realtà dei fatti si limitasse a portargli il caffè. Ovviamente, l’interesse di Sorrento nell’acquisizione di Oasis è puramente finanziario, fin da subito lo vediamo intento a descrivere come, una volta ottenuta la proprietà del mondo virtuale, ritiene di poter vendere fino all’80% del campo visivo di ogni giocatore alle compagnie pubblicitarie più varie fermandosi giusto prima di scatenare attacchi epilettici nella maggior parte dei soggetti.

La compagnia IOI inoltre è senza alcuno scrupolo, i giocatori indebitatisi in gioco per potenziamenti o oggetti di gioco, se trovati insolventi vengono letteralmente deportati all’interno di un Centro Assistenza IOI, grossi edifici pieni di postazioni Oasis in cui far lavorare come schiavi i debitori fino a che non ripaghino i debiti insoluti. Sono proprio le sequenze girate all’interno di questi Centri Assistenza che ci fanno capire quanto il termine gioco sia oramai diventato improprio all’interno del mondo virtuale, non si tratta di un semplice gioco online. Ottenere un artefatto raro all’interno del “gioco” può fruttare grandi ricchezze e, più che aver bisogno di schiavi per la sua gestione burocratica, IOI ha bisogno di giocatori da sfruttare per guadagnare potere ed oggetti dentro ad Oasis.

E’ dunque questa la storia di Ready Player One ridotta al suo nucleo fondamentale, una gara contro il tempo tra la malvagia IOI ed il gruppo di giovani Gunter per la conquista delle tre chiavi necessarie ad ottenere il possesso del mondo, gli uni con l’intento di snaturarlo gli altri con l’intento di preservarlo.

Si sviluppa inevitabilmente durante il film una storia d’amore tra Wade, la cui gamertag è Parsifal, ed Artemis. Questo è uno dei dettagli che più fa storcere il naso durante il film, non tanto per la sua presenza assolutamente non necessaria quanto per la superficialità con la quale viene affrontata. Parsifal ed Artemis si scambiano si e no una cinquantina di parole prima che Wade perda completamente la testa e si dichiari apertamente ad Artemis. Volendo anche accettare il presupposto secondo cui Wade, era da tempo un fan della ragazza su Twitch e la ammirasse molto fin da prima di conoscerla, la velocità ed il modo in cui fioriscono sentimenti teneri tra i due è assulutamente ridicola. Sebbene non abbia potuto leggere il romanzo prima di andare al cinema, l’impressione che scaturisce da questa superficialità apparente è che la loro relazione si costruisse su delle dinamiche molto più introspettive di quelle proposte dalla versione cinematografica, ovviamente impossibilitata a seguirle.

Eccezion fatta per questa pecca a tratti davvero fastidiosa (esempio: è la prima volta che ti vedo e ti metto tranquillamente le mani in faccia), lo svolgimento del film ha un ritmo incalzante, non ci sono momenti superflui ne riempimenti particolarmente tediosi. La narrazione è chiara e anche mettendo in scena vicende temporali ambientate in momenti diversi mischiate a flashback mischiati a voci fuori campo mischiate a filmati del passato riesce sempre a rimanere chiara. Le scene di azione sono molto ben fatte con un linguaggio fotografico che permette sempre di seguire combattimenti ed evoluzioni, concedendosi anche qualche strappo alla regola. In particolare assisteremo ad una gara automobilistica ripresa da due punti di vista differenti in momenti differenti, l’efficacia delle riprese di azione è tale che anche rivedendo la gara dal secondo punto di vista, potremo ricordare il percorso visto precedentemente stendersi davanti a noi, riconoscendo facilmente i punti in cui si erano svolte le azioni del primo tentativo.

Il finale è, come presumibile, un finale che vuole andare incontro un po’ a tutti sia a chi si appassiona all’idea del mondo virtuale sia a chi è in pena per la realtà corrotta del futuro. L’epilogo delle vicende accontenta in una certa misura anche chi simpatizzava per l’antagonista, presentando una risoluzione non del tutto negativa perfino per lui e trova il tempo, subito prima di risolversi di concentrarsi sul parallelismo tra gioco e vita, entrambi pensati per essere goduti e non finiti.

Detto questo possiamo finalmente parlare degli infiniti cameo presenti dentro il film. Gli anni ottanta esplodono rivelandosi in tutto il loro splendore all’interno di questa pellicola, trasformandola in quello che probabilmente è il più grande omaggio mai realizzato fino ad ora alla cultura pop di quegli anni. Proprio quando penserete di aver visto tutto il possibile, da dietro un angolo spunterà fuori una citazione che non vi aspettavate e vi ritroverete a meravigliarvi davanti al carnevale paratovisi davanti. C’è chi potrebbe definire questa operazione come uno spudorato fan service ragionato solo in termini di vendite, ma bisogna tenere presente il fatto che ognuno di questi cameo è giustificato e sensato. Non sono lì solo perchè ci dovevano essere, sono le skin acquistate dai giocatori e sono gli equipaggiamenti che essi utilizzano in gioco, il fatto che condividano tutti lo stesso tema è motivato dalla grande passione del creatore del parco. E se anche non fosse necessario inserire così tante citazioni all’interno dello stesso film, perchè non farlo? perchè non permettere agli appassionati di emozionarsi davanti a queste fedeli ricostruzioni?

In conclusione direi che Ready Player One è un film che vale la pena di essere visto, se non per l’intreccio principale semplice al punto da diventare a tratti superficiale e prevedibile, per i diversi livelli di lettura e le riflessioni che scaturiscono naturalmente dal setup degli eventi e, se anche questo non vi bastasse, per il lavoro tecnico impeccabile che è stato fatto su inquadrature e montaggio, per gli incredibili effetti speciali messi al servizio della narrazione, per il crescendo emotivo che nonostante tutto riesce a costruire ed infine per ammirare, mescolati in un minestrone confusionario e bellissimo tutti i favolosi Cameo di un decennio che ha lasciato un segno indelebile dentro l’immaginario collettivo di ognuno di noi.