Il genere roguelite, una declinazione specifica degli eredi di Rogue che tuttavia ne condividono solo in parte le caratteristiche, ha incontrato spesso diverse resistenze da parte degli estimatori dei giochi che vantano level design precisi e accurati: la casualità degli stage generati in maniera procedurale viene infatti percepita come una soluzione “veloce” per illudere i giocatori di affrontare sfide considerevoli, laddove invece il sistema si limita a rigurgitare valanghe di ostacoli e nemici senza apparente logica o disciplina per il bilanciamento della difficoltà. Per fortuna, gli ultimi anni ci hanno regalato perle del calibro di Rogue Legacy, Dead Cells e Risk of Rain (il 2, in particolare) che sono riuscite nell’arduo compito di conciliare le nozioni basilari dei roguelike con quelle dei ben più apprezzati metroidvania, lasciando cadere qualche preconcetto ed ampliando il bacino di potenziali utenti a scapito della natura propriamente hardcore degli autentici roguelike: nel caso di Sparklite, il terzetto di programmatori statunitensi che si firma Red Blue Games ha tentato di ricreare in maniera piuttosto sfacciata le atmosfere del primissimo The Legend of Zelda, aggiungendo ad una gradevole presentazione visiva in pixel art ed alla semplice efficacia dell’azione di gioco il tocco randomico della rigenerazione perenne del mondo ad ogni morte del personaggio principale, che si traduce in un’esperienza sobria e misurata dalla quale ci si separa controvoglia.
La storia non ha un peso specifico rilevante, non rappresentando l’attrattiva primaria del titolo: Ada è un ingegnere di talento, in grado di comprendere il funzionamento di macchinari complessi e di maneggiare una chiave inglese come fosse un’estensione del proprio corpo, che solca cieli e terre a bordo del suo dirigibile personale. Durante una delle sue traversate, la nave volante viene colpita da una serie di malfunzionamenti critici che costringono la giovane inventrice ad abbandonare lei e Wingnut, il suo assistente robotico, al loro destino. Approdata sana e salva in un mondo sconosciuto di nome Geodia, Ada viene a sapere da un mercante che la zona viene spesso colpita da impetuosi terremoti chiamati Fratture, talmente brutali da rimodellarne di volta in volta l’intera superficie, e che gli altri abitanti sono scampati al cataclisma trovando asilo all’interno di una città fluttuante ribattezzata, per l’appunto, Rifugio. A questo punto, il giocatore può continuare ad esplorare i dintorni e tentare di mettere assieme qualche altro pezzo dell’enigmatica situazione finché, non appena verrà sopraffatto dall’ambiente ostile, una robusta pinza meccanica lo salverà da morte certa trasportandolo nell’infermeria di Rifugio. E’ questo il primo dei tanti, tantissimi viaggi di andata e ritorno da Geodia, durante i quali ne setacceremo gli angoli più remoti sopra e sotto la crosta terrestre e accumuleremo sempre più cristalli del titolare Sparklite, un prezioso minerale che funge anche da valuta recuperabile in mezzo alla vegetazione, dalle centinaia di casse, scrigni e barili sparsi in giro per i livelli e, naturalmente, dai corpi dei nemici abbattuti. Ogni singola cosa in questo mondo bizzarro richiede l’investimento di un certo quantitativo di cristalli di sparklite per funzionare, dai distintivi che possiamo acquistare, fondere ed equipaggiare per migliorare le caratteristiche di Ada ai gadget prodotti dal nostro amico bottegaio ogni volta che stiamo per imbarcarci in una nuova perlustrazione, fino ai tavoli del laboratorio di progettazione che consentono di trasformare le cianografie realizzate dalla protagonista in utilissimi gadget: non esiste un ordine “corretto” per spendere sparklite, ma tutto dipende dallo stile di gioco che può orientarsi verso la disponibilità del maggior numero di congegni possibile oppure l’efficacia di uno di essi in particolare.
Benvenuta a bordo del Rifugio!
Non è facile aumentare considerevolmente la forza di Ada, poiché il numero di cristalli recuperati dopo ogni viaggio è sempre esiguo e va bilanciato con la necessità di creare dispositivi specifici per affrontare territori o dungeon inesplorati, ma resta uno degli obiettivi fondamentali da perseguire per poter scovare e abbattere i quattro Titani che imperversano su Geodia, alla costante ricerca delle antiche reliquie celate dai padri fondatori del mondo e bramate da colui che li comanda, un misterioso figuro noto come il Barone. Sono proprio le ossessive ricerche di quest’ultimo ad aver causato l’instabilità congenita delle lande “fratturate” che, dopo ogni salvataggio della piccola avventuriera, rimescolano casualmente schemi, passaggi, punti di riferimento e distribuzione di mostri, labirinti e personaggi non giocanti, per offrire ogni volta uno scenario familiare ma per certi aspetti differente. Ciascuna delle cinque regioni del mondo presenta un bioma distintivo e la rispettiva ubicazione resta grossomodo la medesima ad ogni giro: le sfide che presentano al giocatore sono ben strutturate e gli consentono, dopo averle scandagliate in lungo e in largo, di fronteggiare il Titano che le occupa con la giusta preparazione. Gli scagnozzi del Barone vanno affrontati in un ordine ben definito, dato che il piccolo Wingnut (sì, è sopravvissuto allo schianto anche lui!) acquisisce una nuova abilità dopo la sconfitta di ognuno di loro, grazie alla quale potremo visitare località precedentemente ostruite fino a raggiungere i possedimenti del dispotico tiranno. La morte, come già detto, non è mai definitiva e, benché comporti la perdita di qualsiasi oggetto consumabile recuperato durante il tragitto, i boss sbaragliati restano tali e la scorta di sparklite non viene intaccata, preservando la sensazione che ogni escursione su Geodia, non importa quanto breve, sia servita a qualcosa ed alimentando la voglia di fare sempre quella rapida partitella in più prima di spegnere. Tuttavia, è un peccato che sia anche l’unico modo per fare ritorno al Rifugio, costringendoci spesso ad imbarazzanti suicidi “volontari” soltanto per mettere le mani su un nuovo giocattolo.
Oltre ad andare a caccia di Titani, in Sparklite possiamo anche affrontare una serie di subquest non meno coinvolgenti della missione principale: l’inseguimento dei Beat, piccole creature canterine disperse un po’ in tutto il pianeta, è soltanto uno degli incarichi che gli altri personaggi affideranno nelle mani di Ada, e le ricompense spaziano da distintivi unici a servizi aggiuntivi messi a disposizione dal Rifugio, dunque vale sempre la pena essere altruisti. E poi ci sono decine di caverne, le cosiddette fornaci dei mostri, la possibilità di tentare la sorte in bizzarri giochi a premi che mettono in palio un cospicuo quantitativo di risorse e molto altro ancora, tutte attività secondarie che mantengono desta l’attenzione anche quando non ci concentriamo sulle nefande macchinazioni del Barone. Da segnalare anche la presenza di una modalità cooperativa locale, ma se vi aspettavate di poter vagabondare per le regioni randomiche di Geodia in compagnia della sorella gemella di Ada temo che resterete delusi: il secondo giocatore si limita infatti a controllare il piccolo coadiutore alato della protagonista, le cui funzioni sono esclusivamente di supporto. Ricordate quando, nello splendido Child of Light, un amico poteva prendere il controllo della lucciola Igniculus per rivelare oggetti nascosti e infastidire i nemici in combattimento? Ecco, siamo grossomodo su quei livelli, e mi risulta difficile pensare che l’inserimento di un vero e proprio clone (magari robotico) di Ada sia stata scartata per altri motivi slegati dalla mancanza di tempo per svilupparla: le meccaniche alla base dei combattimenti sono infatti tanto sobrie quanto coinvolgenti, e ruotano tutte intorno alle combinazioni di tre colpi che siamo in grado di sferrare con la chiave inglese oppure alla bordata lenta ma poderosa che è possibile tenere caricata, unite all’indiscusso valore degli stivali a razzo che consentono di scattare per brevi tratti, onde scansare i fendenti nemici o valicare crepacci di piccole dimensioni. La fauna ostile di Geodia, che spazia dagli animali selvatici ai lacchè del plurimenzionato Barone, dispone di schemi offensivi specifici molto chiari da apprendere, ma nelle fasi avanzate i gruppi meglio assortiti ci daranno un po’ di filo da torcere, ed è proprio qui che il sussidio di un compagno in carne ed ossa avrebbe potuto davvero fare la differenza. Tanto per accentuare le somiglianze con Zelda, il mondo di gioco vanta anche una serie di templi brulicanti di intoppi da superare con l’ausilio di un particolare cimelio che, al termine del labirinto, Ada può retroingegnerizzare per costruirne una copia al Rifugio: purtroppo però, al contrario del capolavoro di Miyamoto, in Sparklite le occasioni per sfruttare questi mirabolanti artefatti all’esterno dei santuari dalle quali le andremo a recuperare sono davvero esigue.
Resta al sicuro, amica!
L’ultimo sforzo dei Red Blue Games è un autentico gioiellino di pixel art: ambientazioni, personaggi, effetti speciali e dettagli grandi e piccoli come orme, foglie, miasmi e pulviscolo sono realizzati con cura maniacale anche per gli standard moderni, mentre la ricchissima tavolozza di colori aiuta a trasformare ogni schermata in un vivace tripudio di puntinismo digitale. Per non parlare della colonna sonora ad opera di Dale North, che abbiamo già sentito all’opera in titoli quali River City Girls, Puzzle & Dragons, Wizard of Legend e RECORE, anch’essa votata alla causa del fattore nostalgia con la sua mescolanza di strumenti tradizionali, fiati leggeri, tonalità orchestrali e dosi abbondanti di sintetizzatore. Le singole regioni, gli intermezzi narrativi e gli epici scontri con i boss possiedono un tema musicale caratteristico che, per quanto telegrafico, riesce ad incastonarsi nella memoria e ad accompagnare con straordinaria efficienza tutte le sessioni di gioco.
Sparklite è senza dubbio derivativo, e gli sviluppatori hanno dato ampia dimostrazione di saper attingere dai capisaldi del genere per costruire un titolo basato sulle migliori peculiarità dei suoi illustri analoghi: mettendo da parte l’originalità, l’impresa in cui ha successo è quella di proporre un’interessantissima commistione di elementi roguelite e di gameplay vecchia scuola, pur mantenendo una propria identità che gli impedisce di sconfinare nel puro e semplice plagio. Il debutto su PC e console del piccolo team di Durham è insomma un piccolo concentrato di azione, grafica e sonoro irresistibili, tenuto a freno dal budget ridotto e da qualche ingrediente che avrebbe beneficiato di una cottura migliore.