Hollywood Recensione della serie di Ryan Murphy

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Nel 2018 Netflix ha fatto letteralmente un colpaccio accaparrandosi le prestazioni in esclusiva di Ryan Murphy per la modica cifra di 300 milioni di dollari e così allontanandolo definitivamente dalla 20th Century Fox Television.
Allora, l’ideatore di serie cult come GleeNip/Tuck ed American Horror Story esordiva sul portale streaming più famoso al mondo con il musical dramedy The Politician. E dal prossimo 1° maggio la sua collezione di lavori si arricchirà di un nuovo tassello, Hollywood.
Questa nuova miniserie – nemmeno a dirlo – è ambientata nell’omonimo distretto di Los Angeles. Nel secondo dopoguerra il cinema nella ridente città californiana viveva infatti la sua Golden Age, un periodo in cui il divismo del tardo-muto lasciava spazio a forme interpretative nuove, facendo esplodere la fascinazione per quell’universo patinato.

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Le due aspiranti attrici Camille e Claire

La Golden Age hollywoodiana

Raymond, Jack e Archie hanno un obbiettivo comunque: quello di sfondare nello star system hollywoodiano. Raymond sogna di diventare un regista, Archie ha il pallino di raccontare storie e Jack invece pensa di avere talento nella recitazione.
All’inizio però la vita è dura e per guadagnare qualche spicciolo, i tre decidono di intraprendere la carriera di gigolò. Ed è proprio questo lavoretto ad aprire ai tre ragazzi le sfavillanti porte dell’Ace Studio, casa di produzione tra le più attive in quel momento.
La miniserie scritta da Ryan Murphy (7 episodi da circa 50 minuti per ognuno) è un buon viatico per capire i meccanismi dello studio-system di quegli anni. Un meccanismo produttivo pensato per macinare soldi, in cui la sceneggiatura di un film era una vera e propria Bibbia che andava analizzata prima delle riprese per poter prevedere al centesimo il budget dell’intera operazione.
Quella Hollywood era quella del Codice Hays, un sistema di censura preventiva degli script conseguenza diretta del clima di “caccia alle streghe” che si respirava negli Stati Uniti dopo la vittoria della guerra. E le streghe, ovviamente, erano i comunisti.
Ma anche la Hollywood di Rossella O’Hara in Via col Vento, dei party scintillanti nella dimora di George Cukor,  e delle relazioni amorose portate avanti solo per tornaconto personale.

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Gli aspiranti attori, scrittori e registi di Hollywood

Il nuovo sistema produttivo contemporaneo

Forse allora l’autore sceglie di ambientare la sua storia in un passato ormai mitico, lontano ed anche innocuo perché infondo tra la Hollywood di ieri e quella di oggi non deve essere cambiato granché.
Il caso Weinstein è ancora troppo recente per poter immaginare un’industria lontana da quei modelli eticamente scorretti, moralmente disdicevoli. E la sensazione che lascia Hollywood di Ryan Murphy è che il movimento #metoo non abbia poi garantito quella libertà espressiva da tutti rincorsa come fosse una chimera.
La scelta di voler raccontare un mondo in cui l’omosessualità è pratica comune, che però viene ampiamente tenuta nascosta per non agitare le acque del buoncostume, è infatti un approccio interessante con cui inquadrare il racconto. Ma è pura ispirazione narrativa o anche scelta di comodo? Che nella Hollywood degli anni ’50 le relazioni extraconiugali fossero quasi ed esclusivamente omosex lascia infatti più di qualche dubbio e farebbe quasi sospettare che le scene di nudo femminile, dopo l’ondata di scandali più recenti, siano diventate semplicemente troppo costose per lo studio system contemporaneo. Magari è una teoria complottistica, questa. Ma magari no…

Nel complesso però Hollywood  è una serie assolutamente da vedere. Per più di un motivo! Il primo è che parla a tutti quei cinefili che aspirano a far diventare la propria passione un mestiere, raccontando il dietro le quinte del mondo cinematografico: le sessioni per discutere la sceneggiatura, i provini per scritturare gli attori, i litigi furibondi con la produzione per avere più budget a disposizione. 
Il secondo motivo poi è che con questa realizzazione Ryan Murphy tratteggia un’epoca ritenuta d’oro denunciandone sopratutto i difetti: era un sistema produttivo prevalentemente bianco, maschio, di area occidentale e totalmente allineato con i dettami politici dell’epoca (su questo tema si rimanda alla bellissima graphic novel di Edward Ross, Filmish, che racconta le questioni di genere nella storia del cinema). 
Ed anche solo per questo bel proposito, Hollywood andrebbe promossa a pieni voti…

Gianluca la passione per il cinema la scopre a 4 anni, quando decide che il suo supereroe nella vita sarà sempre e solo Fantozzi. 
Poi però di quella passione sembra dimenticarla fin quando, un giorno, decide di vedere uno dietro l’altro La Dolce Vita di Fellini, Accattone di Pasolini e La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino. Da quel momento non c’è stato verso di farlo smettere di scrivere e parlare di cinema, in radio e su portali online e cartacei. 
Vive a Roma perché più che una città gli sembra un immenso set su cui sono stati girati chilometri e chilometri di pellicola. 
Odia le stampanti.