Mortal Shell Provato: sembra Dark Souls, ma non lo è…

Mortal Shell

In una calda mattinata di luglio, a pochi giorni dal compleanno del sottoscritto, Epic Games ha deciso di unirsi con un po’ di anticipo ai festeggiamenti, rendendo disponibile gratuitamente la Beta di Mortal Shell, souls-like sviluppato dal piccolo team Cold Symmetry in arrivo durante il corso dell’anno.

Chi conosce le abitudini di chi vi scrive potrà facilmente immaginare la frenesia e il desiderio di testare con mano un nuovo esponente di quello che è un genere in continua ascesa, affacciatosi sul mercato – in maniera molto evidente – con una fortissima ispirazione, che in realtà rasenta discorsi come la dedizione e l’ammirazione, nei confronti proprio del lavoro di Miyazaki e di From Software.

Va di per sé che ci siamo subito fiondati a prendere contatto diretto con il titolo, che ha saputo stupirci e allo stesso tempo tranquillizzarci. Mortal Shell è palesemente figlio di un’ispirazione evidente alle opere, appunto, di Miyazaki e soci, e non fa quasi nulla per nasconderlo, provando in qualche modo ad ereditarne alcuni dei tratti più importanti e a rielaborarli, a renderli in qualche modo “propri” e mescolarli con un buon numero di trovate originali e potenzialmente interessanti, mantenendo in tal modo il giusto equilibrio tra la conservazione e l’innovazione.

Mortal Shell

Dopo questo primissimo contatto, però, ci siamo accorti che da sola, per quanto forte possa essere, la passione non basta. Questo vuol dire che Mortal Shell sia un titolo che non merita la nostra e la vostra attenzione? Assolutamente no, ma i dubbi sulla produzione, dopo averne saggiato il rocambolesco a sorprendentemente ostico inizio, sono sicuramente tanti.

Attenzione però: qualche buona premessa rimane, ma chiaramente è ancora troppo presto per potere dare un giudizio più completo su aspetti che potranno essere approfonditi soltanto con il gioco completo o comunque con test più approfonditi.

Mortal Shell: la maledizione del primo corpo

Vi abbiamo parlato di forte ispirazione, quasi una volontà di omaggiare il lavoro di From Software non a caso, e ci sono bastati veramente pochi secondi per prenderne coscienza una volta per tutte.

Appena avviata la partita, infatti, il nostro alter ego, non un bandito né un cavaliere e nemmeno un chierico, bensì una creatura umanoide di cui è praticamente impossibile stabilire ogni tipo di connotato, si ritrova sperduto in una landa apparentemente “vuota” ma allo stesso tempo esteticamente meravigliosa nella sua semplicità. Ci ha ricordato molto l’inizio di Dark Souls III e la città in cui i vecchi Signori dei Tizzoni si sono svegliati dal loro sonno eterno, quell’ammasso spettrale di lapidi semiaperte e scorci di una natura incolpevolmente associata ad un mondo oscuro, ostile e incredibilmente minaccioso.

E, manco a dirlo, anche il mondo di Mortal Shell si è dimostrato teatro di un qualcosa di estremamente complesso, che fa della narrazione speculativa e fortemente criptica la sua idea di racconto, un po’, appunto, come accade nel lavoro dei ragazzi di From.

Non è chiaro quale sia il suo posto nel misterioso mondo di gioco, ma una cosa appare subito evidente: un po’ come l’ “ashen one”, il nostro protagonista ha un legame con il passato e il presente, ma anche il futuro, di questa terra ed è destinato in qualche modo a compiere il suo destino, di cui però al momento abbiamo pochissime informazioni, legate unicamente alle pochissime frasi udite nella battute iniziali o nella lettura di alcuni glifi sparsi per il mondo.

Mortal Shell

Quel che è certo è che, proprio come i protagonisti dei vari souls, l’avatar di Mortal Shell è in possesso di un particolare potere, che offre diversi spunti di interesse su diversi aspetti della produzione. La sua identità rimane fondamentalmente avvolta nel mistero, ma per qualche strano motivo può prendere possesso dei corpi di alcuni dei guerrieri che sono giunti, verosimilmente, in quelle stesse lande in un tempo passato.

Ciò si lega fortemente anche al gameplay in sé, poiché questi “gusci” sono accomunabili, appunto, alle classi di cui vi parlavamo poc’anzi, poiché ognuno di essi possiede abilità e tipologia di movimenti differenti, sia a livello offensivo sia difensivo. L’evoluzione ludica, ma anche narrativa, si lega con forza al concetto di “possessione”, di cui il nostro alter ego si serve per proseguire la sua misteriosa cavalcata. Prendendo possesso dei due “vessel” disponibili nella demo, abbiamo potuto apprezzare, ancora una volta, un sistema di meccaniche molto profondo e soprattutto esclusivo.

Per potenziare una o l’altra “classe” è dunque necessario indossarla e recuperare l’ammontare necessario di Tar (le anime, per capirci), per poi spenderle nello sviluppo proprio di uno dei corpi indossati, con conseguenze anche sulla narrazione stessa. Sbloccando nuove abilità è come se si assorbissero frammenti del passato dei sopracitati guerrieri, e sinceramente non vediamo l’ora di scoprire cosa accadrà una volta sbloccate tutte le abilità di ogni skill tree.

L’omaggio a Bloodborne e Sekiro

Prima vi abbiamo parlato di quanto, esteticamente parlando, il gioco sia un vero e proprio omaggio all’opera di Miyazaki e From Software, in particolare alla trilogia Dark Souls. Facendone un discorso pratico, ossia iniziando a prendere in esame la sfera ludica più specifica, ci accorgiamo invece di quanto Mortal Shell sia incredibilmente vicino, invece, ad altri lavori dell’azienda nipponica, in particolare a Bloodborne, a cui il combat-system si rifà moltissimo.

Per prima cosa, in Mortal Shell non esistono strumenti di difesa come gli scudi, e la parata non è contemplata: per evitare i (dannosissimi) attacchi avversari è dunque fondamentale prendere i tempismi alla perfezione e schivare gli attacchi, un po’ appunto come avveniva in Bloodborne. Tale sistema è però compromesso in parte da un feedback dei colpi assolutamente inadeguato, almeno basandoci sulla versione attuale del gioco. I movimenti e in particolare i colpi inferti (ma anche subiti) dal nostro alter ego sono incredibilmente legnosi, difficili da assimilare sia per tempi di risposta sia per una questione legata al lock dei nemici, caotico e disordinato nella maggior parte delle occasioni in cui i nemici a schermo (quasi sempre) attaccano in massa.

Ci ha ricordato molto Bloodborne anche sotto questo aspetto: i nemici sono incredibilmente aggressivi, quasi inconsapevolmente, e attaccano il malcapitato protagonista con una violenza inaudita, che si traduce spesso in una morte rapida e dolorosa. Per fortuna, a venire in nostro soccorso, ci pensa una meccanica molto particolare e potenzialmente molto interessante, che riguarda un’abilità “innata” del nostro misterioso guerriero. Egli è in grado di indurire il proprio corpo, di tramutarlo in pietra, e rendersi così immune agli attacchi nemici. Chiaramente ciò è proporzionato alla forza dell’avversario e soprattutto è legato ad un timer che rende impossibile, giustamente, abusare di questa meccanica, che diventa una vera e propria manna dal cielo, considerando anche la totale assenza di strumenti di cura “canonici” nella produzione.

Mortal Shell

Di pari passo all’indurimento viaggia la più classica meccanica del contrattacco, il cosiddetto “parry” che in Mortal Shell diventa rapidamente una delle caratteristiche più decisive e influenti, specialmente nelle prime battute. Premendo col giusto tempismo è possibile riflettere il colpo nemico, lasciando l’avversario con la difesa scoperta per svariati secondi, consentendoci così la possibilità di sferrare attacchi potenti in grado di ripristinare salute, un po’ come accadeva, appunto, in Bloodborne.

Se queste parole possono lasciarvi trasparire una sorta di “facilitazione” una volta assimilati i comandi, vi invitiamo a ritornare velocemente sui vostri passi. Il livello di difficoltà di Mortal Shell è estremamente alto, incredibilmente punitivo, e ciò è dovuto non soltanto alla natura dei nemici, quasi sempre orientati ad attaccare con un certo spirito di collaborazione, ma anche ad un quantitativo di danni in alcuni casi sproporzionato e ai limiti dello sbilanciamento. Per fortuna, ancora una volta, Mortal Shell porta su schermo una nuova meccanica, che prende fortemente ispirazione da un altro lavoro di From e poi prende un’identità tutta propria, decisamente e potenzialmente interessante. Durante gli scontri, una volta ridotti in fin di vita, il gioco ci offre una sorta di seconda chance. L’ultimo colpo inferto, quello che dovrebbe essere fatale, per intenderci, anziché lasciare esanime il guerriero lo scaraventa al di fuori del “guscio” in uso, offrendo così la possibilità di sfuggire alla morte, un po’ come accade in Sekiro Shadows Die Twice. Chiaramente, è possibile sfruttare questa meccanica una sola volta, poiché abbiamo potuto constatare come un eventuale secondo colpo fatale ci porti verso un’inevitabile morte.

È un titolo difficile e brutale, Mortal Shell, e lo abbiamo potuto appurare anche affrontando il primo boss in questione, una sorta di creatura umanoide dalle dimensioni molto generose. Sia chiaro, non ci è mai sembrato in possesso di pattern particolarmente complessi o di movimenti illeggibili, ma legandoci ancora al discorso di prima, lo abbiamo trovato sin troppo sbilanciato in termini di danni, poiché gli bastano uno o due colpi, nella maggior parte dei casi, per porre fine alla partita.

Se dovessimo fare un computo generale, comunque, Mortal Shell ci ha convinto soltanto in parte dal punto di vista del gameplay, in cui le dinamiche riuscite hanno comunque tanto da dimostrare, e si scontrano giocoforza con una serie di problematiche difficili da ignorare, che speriamo possano essere smussate prima del lancio ufficiale del gioco.

Mortal Shell: tra luci e ombre

Ormai lo abbiamo ripetuto più volte: Mortal Shell si ispira fortemente al lavoro di From Software e lo fa anche dal punto di vista visivo. Le aree, i menù, lo stile e il design stesso dei nemici, la descrizione delle cose: tutto lascia trasparire fortemente quella voglia di ricalcare i passi compiuti dalla software house nipponica, e lo si avverte con estrema facilità, guardandosi semplicemente intorno. Grande importanza, ad esempio, viene data agli oggetti, vero e proprio punto di snodo della produzione. Gli oggetti, come nella serie Souls, hanno una valenza particolare, poiché rendono più familiare la conoscenza del mondo di gioco e il suo immaginario.

Il loro utilizzo più interessante è legato comunque all’impiego effettivo in gioco. Gli oggetti infatti hanno una natura misteriosa e il loro reale apporto viene svelato soltanto una volta dopo averli effettivamente utilizzati. Utilizzandoli, poi, questi aumentano la loro efficacia o donano bonus al giocatore, in un sistema di familiarità molto semplice ma allo stesso tempo discretamente intrigante.

Va di per sé che reperire più oggetti possibile è una prerogativa del titolo di Cold Symmetry che si lega ad un level design molto interessante, che però prende le distanze dalla serie di riferimento a causa di aree fondamentalmente sconnesse tra loro. Siamo onesti: per il genere in questione si tratta, dal nostro punto di vista, di una limitazione, ma è ciò è chiaramente soggettivo e potrebbe non rappresentare un problema per i più.

Per concludere al disamina su un prodotto che nel complesso sembra sempre mostrarsi spaccato in due, anche il comparto visivo soffre dello stesso bipolarismo. Da un punto di vista artistico il gioco è molto ispirato, anche prendendo in analisi il design delle armature, dei nemici e quant’altro, ma soffre di problemi tecnici più o meno evidenti, tra cui spicca un frame rate molto incerto in alcuni passaggi e una telecamera a tratti ingestibile.

Certo, siamo in beta e c’è tutto il tempo per correggere il tiro e noi non vediamo l’ora di scoprire come il tutto si evolverà nei prossimi mesi.

Questo primissimo contatto con Mortal Shell ci ha convinto soltanto a metà. Il souls-like di Cold Simmetry ha portato su schermo un’opera profondamente ispirata al lavoro di From Software ma con ottimi spunti d’interesse, ritrovabili in alcune meccaniche potenzialmente interessanti. A queste però si contrappone un numero altrettanto copioso di problematiche varie, come una legnosità eccessiva dei comandi ed un livello di sfida mal bilanciato, su cui però ci sentiamo di sperare in ragione del fatto che, fino alla release, la software house potrebbe aggiustare in qualche modo il tiro. Non ci resta che attendere i prossimi mesi, dunque, e rimanete con noi: siamo certi che, in ogni caso, seguiremo con molta attenzione questo piccolo ma ambizioso progetto.

Ho imparato a conoscere l'arte del videogioco quando avevo appena sette anni, grazie all'introduzione nella mia vita di un cimelio mai dimenticato: il SEGA Master System. Venticinque anni dopo, con qualche conoscenza e titoli di studio in più, ma pochi centimetri di differenza, eccomi qui, pronto a padroneggiare nel migliore dei modi l'arte dell'informazione videoludica. Chiaramente, il tutto tra un pizza e l'altra.