Fin dal suo succinto ma più che appetitoso prologo, di cui ho avuto modo di parlarvi qualche mese fa, Willy Morgan and the Curse of Bone Town è riuscito a titillare il desiderio di cimentarmi in un’altra avventura punta e clicca, un genere che purtroppo non raccoglie più i consensi di un tempo ma che viene comunque mantenuto in vita perlopiù da team di sviluppo indipendenti, che occasionalmente confezionano vere e proprie chicche come la tetralogia di Deponia firmata Daedalic Entertainment, autori anche del meraviglioso The Pillars of the Earth tratto dall’omonimo romanzo di Ken Follett, oppure le produzioni di Wadjet Eye Games quali la serie di Blackwell, Gemini Rue e Unawoved, o ancora lo straordinario ritorno in scena di Ron Gilbert e Gary Winnick con il loro Thimbleweed Park. Ecco dunque che il lavoro degli italianissimi Imaginarylab, spalleggiati da VLG Publishing, si propone di rinverdire i fasti di un passato in cui Lucasfilm Games/LucasArts e Sierra Entertainment la facevano da padroni, rendendogli omaggio con le peripezie del giovane e ingegnoso Willy Morgan, discendente del celebre corsaro e politico Sir Henry Morgan, impegnato a ricostruire le circostanze che hanno portato alla sparizione del padre (chiamato, guarda caso, anche lui Henry) dieci anni prima: tutto ha inizio con una lettera retrodatata che il ragazzo riceve senza alcun preavviso e che lo invita a recarsi nella titolare Bone Town, un agglomerato di casolari dal sapore vagamente seicentesco i cui bizzarri residenti preservano un mistero tutto da scoprire sotto una pletora di battutine e doppi sensi. Ma, sebbene gli occhialoni rosati della nostalgia mi abbiano spinto sull’orlo dell’imparzialità più di una volta grazie a citazioni e richiami commoventi, compito del pezzo che state leggendo resta quello di analizzare l’opera prima di questi appassionati esordienti veronesi e stabilire se, in un settore in cui chiunque possieda sufficiente motivazione, conoscenze e olio di gomito può sfornare un nuovo gingillo da esibire dietro le vetrine dei negozi virtuali, questo Willy Morgan and the Curse of Bone Town abbia davvero le carte in regola per distinguersi dalla massa.
Willy Morgan: l’immenso potere di uno stura lavandini
Le battute iniziali sono senza dubbio la parte più flemmatica del titolo: il buon Willy presenta la sua avventurosa famiglia al giocatore, gli parla dell’anniversario della scomparsa del genitore e delle missioni archeologiche in cui si imbarca la madre, motivo per cui si ritrova spesso e volentieri in casa da solo. La summenzionata lettera gli fornisce lo stimolo giusto per spingersi oltre le mura domestiche ma, prima di raggiungere la locanda di Bone Town, sarà necessario mettere di nuovo assieme i pezzi della sua strampalata bicicletta che, per qualche motivo legato probabilmente all’inutilizzo, sono stati disseminati fra le varie stanze e hanno assunto funzione di suppellettili. Inizia così una sorta di lungo tutorial che ci introduce alle meccaniche fondamentali del gioco: come da migliore tradizione punta e clicca, nostro compito sarà quello di recuperare oggetti di varia natura, combinarli fra loro e risolvere enigmi che ci indirizzeranno verso il prossimo indizio per proseguire la cerca. La difficoltà di questi ultimi è molto ben calibrata, poiché le sfide che propongono non richiedono mai soluzioni astruse o illogiche e l’ottimo sistema di suggerimenti, a partire dalla possibilità di visualizzare tutti gli elementi di una schermata sui quali è possibile cliccare, ci spinge sempre verso la strada giusta senza rivelare troppo né costringerci a procedere per tentativi fino ad esaurire tutte le interazioni possibili fra il nostro inventario e gli elementi dei fondali. Inoltre, il sistema di spostamento veloce fra una schermata e l’altra riduce i tempi morti dell’esplorazione, dimostrando ulteriormente che i ragazzi di Imaginarylab hanno fatto tesoro degli errori di design compiuti dai professionisti dell’epoca e si sono armati di competenza e buone intenzioni per migliorarli.
Sarà forse colpa di aver già ripetuto la sezione più volte nella demo ma, come detto poc’anzi, sebbene aiutare Willy a riassemblare la sua bicicletta sia un modo ben congegnato di insegnare al giocatore le basi fondamentali per muoversi all’interno dell’avventura, all’inizio è richiesta forse un po’ troppa pazienza per circumnavigare casa Morgan. Pazienza che viene tuttavia ripagata una volta saliti a bordo del bolide raffazzonato a due ruote: Willy Morgan and the Curse of Bone Town manifesta infatti tutto il suo potenziale non appena mettiamo piede, in maniera piuttosto rocambolesca, nella piazza della strampalata cittadina ed entriamo in contatto con i suoi folcloristici abitanti, grazie ad una presentazione visiva assolutamente impeccabile che mostra fortissimi richiami agli stilemi artistici di Peter Chan (Day of the Tentacle, Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge, Grim Fandango) e Bill Tiller (The Curse of Monkey Island). Fondali e paesaggi sono pieni di grandi e piccoli dettagli che li rendono variegati e consistenti al punto giusto, e la sensazione di eccessiva “pulizia” che si percepisce all’inizio viene notevolmente smussata con le ambientazioni che visiteremo nel prosieguo.
Non sarà un altro Morgan a fermarmi
Man mano che il nostro Willy dipana gli eventi che hanno condotto al dileguamento di Henry Morgan, c’è però una nota che inizia a stridere, ossia i dialoghi: per un prodotto che trae profonda ispirazione dalle atmosfere dei classici LucasArts e dalle saghe meno seriose di Sierra Entertainment, l’umorismo che pervade l’epopea del piccolo Morgan sembra aver quasi paura di sconfinare troppo nel non-sense demenziale e si mantiene perciò su un livello abbastanza innocuo dall’inizio alla fine. E’ vero, alcuni momenti sono riusciti a strapparmi qualche sorriso, ma più per merito dello sfrenato citazionismo (peraltro alquanto mitigato nella release finale, forse per timore di contese sul copyright) che per la bontà delle battute: lo stesso protagonista lascia trapelare in diverse occasioni la sua goffaggine adolescenziale, dunque gli occasionali commenti sarcastici che possiamo selezionare nel corso delle conversazioni risultano amplificati e gradevoli, ma si tratta di congiunture fortuite troppo slegate fra loro per formare una personalità ben definita. Anche gli altri comprimari soffrono del medesimo problema in misura variabile perché alcuni, come l’ambiguo locandiere della Dead Man Inn o il laborioso curatore del museo di Bone Town, fanno sfoggio di incerti atteggiamenti e modi di fare peculiari, mentre tutti gli altri sono più simili ai classici personaggi non giocanti riempitivi di un qualsiasi RPG, inseriti nella storia soltanto per elargire risposte generiche e qualche dritta su come proseguire. E’ vero che queste ultime sono comunque importanti ai fini del gioco, ma sarebbe bastato qualche accorgimento supplementare per infondere loro una concreta individualità e renderli davvero memorabili… insomma, non è un caso se del primo Monkey Island tutti ricordano persino il nome del cane che teneva in bocca le chiavi della prigione dell’isola di Phatt (Walt, per la cronaca).
Ciò detto, il gameplay di Willy Morgan and the Curse of Bone Town resta eccezionale e quasi del tutto privo di bug (ne ho incontrato soltanto uno relativo alla persistenza dei baloon dei dialoghi, ma era poca cosa): il gioco procede scorrevole e senza intoppi da cima a fondo, e l’esplorazione lascia spazio alla libertà del giocatore pur rimanendo sufficientemente circoscritta da non costringerlo a spostare il focus su molteplici indovinelli, mentre il sonoro accompagna le azioni svolte con il giusto brio senza risultare mai invadente e le musiche, seppur prive anch’esse di particolare incisività, presentano una miscela tutto sommato apprezzabile di tonalità sintetiche e riff molto leggeri. Completa il tutto un discreto doppiaggio, curiosamente solo in inglese, ma la presenza dei sottotitoli in diverse lingue dovrebbe consentire un po’ a tutti di addentrarsi nei misteri di Bone Town. La durata complessiva del titolo si attesta tra le 6 e le 8 ore, con la parte centrale che occupa buona parte delle stesse: altro piccolo difetto sul quale puntare il dito è un segmento finale un po’ troppo superficiale, che apre ad eventuali capitoli successivi senza però fornire adeguata chiusura a molti aspetti della trama, oppure facendolo in maniera molto frettolosa, sfumatura questa che potrebbe lasciare l’amaro in bocca a più di una persona.
Il primo sforzo di Imaginarylab è notevole e impacchettato con tangibile passione, soprattutto considerato il budget risicato sul quale i ragazzi di Verona hanno potuto contare: nel bene e nel male, la sua implementazione è davvero da manuale ed è un peccato che, a fronte dell’egregio lavoro svolto in termini di esperienza interattiva, la trama e la caratterizzazione dei personaggi non siano riusciti a trovare un modo per restare impressi nei ricordi dei giocatori. A questo si aggiunge una conclusione precipitosa che punta ai possibili sequel, manchevole di risoluzioni soddisfacenti per tanti degli interrogativi sollevati nel corso della storia: intendiamoci, Willy Morgan and the Curse of Bone Town è una delle migliori avventure moderne in circolazione, ma i difetti che ho riscontrato gli impediscono di raggiungere le vette ove risiedono gli autentici baluardi della categoria. Posso soltanto augurarmi che i prossimi episodi approfondiscano proporzionatamente le traversie della famiglia Morgan e di tutti gli altri eredi dell’epoca della pirateria in cui ci siamo imbattuti, e che il vento possa sempre gonfiare le vele di questo piccolo ma promettentissimo team di sviluppo tutto italiano!