Darkestville Castle Recensione: lunga vita ai Punta e Clicca

Darkestville Castle

Parlare dei Punta e Clicca non è mai cosa facile e porta sempre ad una forte nostalgia. Il boom creatosi durante gli anni ’90 grazie ai titoli della mai troppo compianta LucasArts e di Sierra ha reso questo sottogenere delle Avventure Grafiche uno dei principali motivi per possedere un PC (insieme agli FPS che, sempre in quegli anni, entravano di prepotenza nelle case dei videogiocatori). Il successo di giochi come The Secret of Monkey Island, Maniac Mansion e Broken Sword fecero sì che chiunque fosse nato e cresciuto nei decenni ‘80/’90, videogiocatore o meno, sapesse di cosa si stava parlando. Ancora oggi è impossibile dimenticarsi di questi titoli grazie ai numerosi momenti iconici rimasti impressi nella memoria, tra un pollo di gomma con la carrucola in mezzo a una falce tenuta accanto a dove una volta c’era il cuore di un certo scheletro di nome Calavera. La semplicità di una struttura ludica legata all’uso esclusivo del tasto sinistro del mouse retta dalla forte presenza di sceneggiature degne di prodotti cinematografici o fumettistici, però, non resse sotto il peso del forte avanzamento tecnologico proposto dagli anni 2000 che se da un lato permise un boost grafico con l’implementazione della tecnologia 3D, dall’altro non permise ai Punta e Clicca di rinnovarsi sotto l’aspetto del gameplay per via di forti limiti intrinsechi del genere stesso. Fu così che presto questi arrivarono ad un inesorabile declino che, in senso figurato, potremmo far coincidere con la chiusura proprio della LucasArts nel 2013 da parte di Disney. Considerato ormai un genere prettamente di nicchia, e da alcuni addirittura retrogaming, il Punta e Clicca continua a vivere grazie principalmente a studi indipendenti che negli anni ci hanno regalato perle imperdibili, come l’italianissimo The Wardrobe, o da ex autori esponenti della LucasArts quali Tim Schafer e Ron Gilbert con i rispettivi Broken Age e Thimbleweed Park. Questa volta tocca agli argentini Epic LLama tenere alta la bandiera delle Avventure Grafiche old school proponendoci Darkestville Castle, il quale presenta tutte le carte in tavola per essere apprezzato e ricordato dagli amanti del genere.

Darkestville Castle

Darkestville Castle: essere malvagi non è mai stato così divertente

Data la sua natura di punta e clicca basata molto sul riproporre fedelmente e in maniera nostalgica i grandi titoli che hanno fatto la storia del genere, Darkestville Castle mantiene nella sua struttura contenutistica e stilistica tutti quei tratti caratteristici tipici e imprescindibili delle Avventure Grafiche: grafica 2D cartoonesca, gameplay basato sul risolvere puzzle di pensiero laterale, una storia ricca di personaggi ben caratterizzati e situazioni al limite dell’assurdo. Partendo proprio da quest’ultima, le vicende del titolo sviluppato da Epic LLama si ambientano in una strana, inquietante e “fuori dal tempo” cittadina di nome Darkestville la cui esistenza verrà sconvolta dall‘improvviso e misterioso arrivo di un bambino di nome Cid, il nostro protagonista, che crescendo si rivelerà essere un “malvagio” demone col talento innato di spaventare e fare scherzi a tutti gli abitanti della città. Dopo essere trascorsi molti anni dall’arrivo di Cid, l’acerrimo nemico del nostro, Dan Teapot, stanco di essere preso continuamente in giro, deciderà di assumere una banda di cacciatori di demoni chiamati Fratelli Romero (direi che la citazione in questo caso sia lampante) per porre fine alle sue malefatte. Inutile dire come tutto andrà nel verso sbagliato con conseguenti situazioni paradossali che trascineranno i giocatori per tutta la cittadina di Darkestville (e non solo) alla scoperta di personaggi interessanti come demoni vegetariani, licantropi che difendono i diritti dei Lupi Mannari, barboni  che bevono solvente per colla e baristi specializzati nel Cafè de la Muerte (con tanto di musichetta messicana in sottofondo ogni volta che viene nominato).

Il team argentino è riuscito nell’impresa di tenere sempre alto il ritmo della narrazione dall’inizio alla fine, per via anche della durata esigua dell’avventura che si attesta sulle 7 ore (minutaggio che potrebbe far storcere il naso ai più assidui frequentatori del genere), grazie al tono scanzonato ricco di momenti divertenti e al perfetto equilibrio tra il proseguo del racconto e il numero di puzzle, ben ragionati e che quasi mai sono riusciti a bloccarci per più di qualche minuto, i quali diventano più impegnativi e con un uso maggiore del pensiero laterale quando il gioco entra proprio nelle fasi più concitate permettendo ai giocatori di superare le prime ore di gioco, narrativamente più povere, senza scervellarsi più di tanto e imparare a conoscere i pregi di ogni cittadino e luogo di Darkestville, dal castello che dà il titolo al gioco (casa del nostro protagonista) al cimitero con la cripta dalle scale scivolose (chissà, forse “qualcuno” le ha lucidate troppo…). Con qualche spruzzata, di tanto in tanto, di citazioni alla cultura pop sempre pronte a regalare qualche sorrisino, soprattutto quelle più sottili.

Darkestville Castle

Squadra che vince non si cambia

Anche ludicamente parlando, Darkestville Castle resta ancorato ai classicismi dei Punta e Clicca cercando, preferibilmente, di non rinnovare nulla e seguire la strada già spianata dai suoi predecessori: ecco quindi che ritroviamo il nostro vecchio puntatore anche su PlayStation 4, la versione da noi testata, movibile tramite stick sinistro liberamente sullo schermo o tramite lo stick destro per passare velocemente da un hotspot all’altro. Una volta selezionato il nostro punto di interesse potremo liberamente scegliere tra le tre opzioni standard: esaminare, parlare/mangiare, afferrare. Ovviamente non poteva di certo mancare la gestione dell’inventario: con i dorsali possiamo scorrere rapidamente tutti gli item presenti al suo interno da utilizzare poi su ogni personaggio o oggetto presente nello scenario. Col tasto triangolo, invece, si può aprire proprio il baule contenente i nostri averi, i quali potranno essere selezionati per poi essere combinati tra loro. Molto interessante e degna di nota la Modalità Gatto da selezionare all’inizio dell’avventura: questa modalità di gioco permette ai giocatori di rivivere le vicende di Cid dall’inizio alla fine con testi e audio modificati in miagolii felini, rendendo le fasi in game una vera sfida in cui la memoria gioca un ruolo fondamentale.

Darkestville Castle

Sotto il profilo tecnico il titolo di Epic LLama riesce a difendersi egregiamente, lasciando però qualche nota amara proprio per i due piccoli difetti che fortunatamente non minano totalmente l’esperienza. Se artisticamente Darkestville Castle offre degli sfondi e dei personaggi con un stile in linea con i vecchi Punta e Clicca con colori vivaci e design particolari e caricaturali, ciò che stona maggiormente è proprio il protagonista il cui design, per quanto sia quello che riesce a spiccare di più, risulta molto raffazzonato e poco originale rispetto ai suoi comprimari e non in linea col carattere ironico e dissacrante di Cid e dell’avventura in toto. Piccola parentesi per il doppiaggio inglese che offre un’ulteriore ottima caratterizzazione ai personaggi (e rende ancora più evidente il problema scritto poc’anzi legato a Cid) riuscendo ad essere sempre divertente e sopra le righe; un plauso particolare al doppiatore del protagonista il quale riesce sempre a comunicare la giusta sfumatura emotiva con un lavoro che ricorda molto il personaggio di Deadpool con cui condivide molti tratti caratteriali. Infine, il secondo e ultimo difetto risiede nell’adattamento italiano che ogni tanto si concede dei vistosi scivoloni sia a livello di traduzione/logica che di sintassi.

Il lavoro svolto da Epic LLama risulta davvero encomiabile: Darkestville Castle riesce nell’impresa di catapultarci di nuovo nei lontani anni ’90 con una trama ben scritta, dal ritmo quasi sempre frenetico (nonostante la breve durata) e condita da personaggi ben caratterizzati e capaci di sorprenderci con l’aiuto di un doppiaggio inglese estremamente di qualità. La presenza di citazioni alla cultura pop, di immancabili puzzle di pensiero laterale ben congegnati e della Modalità Gatto arricchisce l’offerta proposta dal team argentino che cerca, riuscendoci, di non far mancare nulla all’esperienza. Il tenersi ancorata agli stilemi del genere, e trascurabili problemi di design e adattamento, non permette di certo alla produzione di eccellere ma fa sì che i giocatori sentano leggermente di meno la mancanza del pollo di gomma con la carrucola in mezzo.

Marco è nato e cresciuto con i videogiochi grazie alla sorella maggiore che lo faceva giocare col suo Gameboy Color. Si è appassionato definitivamente al medium dopo aver finito il primo Metal Gear Solid insieme al padre, il più bel ricordo legato a quello che è diventato uno dei suoi giochi preferiti. È un lettore appassionato di Dylan Dog. Studia recitazione e doppiaggio da circa 10 anni. Dicono faccia un'ottima imitazione di Gatto Silvestro.