Che i cinecomics siano ormai, piaccia o meno, il genere più popolare sul grande schermo – ma anche sul piccolo, vedasi il riscontro ottenuto dalla freschissima serie WandaVision – è un incontrovertibile dato di fatto. Vi è perciò molta attesa riguardo all’uscita di Wonder Woman 1984, nonostante il primo episodio non fosse del tutto riuscito e le critiche americane su questo prosieguo siano ben più che tiepide.
Per celebrarne l’uscita, per l’Italia direttamente sul mercato digitale, abbiamo deciso di portavi alla scoperta della prima incarnazione televisiva del popolare personaggio. La maggior parte di voi ricorderà senza dubbio Lynda Carter nell’indomito ruolo, che per tre stagioni e sessanta episodi in tutto fece innamorare il pubblico degli anni Settanta e Ottanta. Ma in pochi sanno che la prima attrice a vestire il ruolo per il fu tubo catodico è stata in realtà Cathy Lee Crosby, campionessa giovanile di tennis diventata poi famosa come conduttrice del programma That’s Incredible!.
Il film è nato per l’appunto come progetto pilota della successiva serie, che vide poi la Carter subentrare nei panni della protagonista. Il responso appena discreto spinse quindi ad un totale reboot – termine allora non ancora in voga – lasciando al Wonder Woman del 1974 una sorta di aura di culto, di “anticaglia” irrinunciabile per tutti i collezionisti del personaggio.
Wonder Woman nel 1974: una partenza poco appassionante
Le differenze rispetto al fumetto sono a dire il vero molteplici. Tanto per cominciare la bella protagonista ha i capelli biondissimi, non indossa l’iconico costume e non fa sfoggio dei suoi poteri sovrumani, preferendo invece sfruttare un’astuzia e un’intelligenza fuori dal comune. La stessa identità segreta di Diana Prince non è poi così segreta, tanto che il villain sa bene chi dovrà affrontare e si prepara a risponderle colpo su colpo.
Dopo un breve prologo nel quale il voice-over ci introduce ad una sorta di ristretto background, la storia vede Wonder Woman nei panni di segretaria e assistente dell’agente governativo Steve Trevor. Quest’ultimo è sulle tracce del potente criminale Abner Smith, entrato in possesso di alcuni libri in codice che rivelano nomi e cognomi delle spie americane operative in ogni angolo del mondo.
Il boss ha alle sue dipendenze diversi scagnozzi, che cercano di eliminare in ogni modo l’indomita eroina nel frattempo partita in missione, e assolda anche l’amazzone Ahnjayla, vecchia rivale di Diana e traditrice delle sue genti.
Uno schermo piccolo piccolo
La messa in scena è quella tipica delle produzioni per il piccolo schermo del periodo, assai lontano dalla qualità che il media ha assunto dall’inizio del nuovo millennio. Tra schermate che rappresentano i colori base del personaggio a inframezzare, quali ideali “via libera” a stacchi pubblicitari, alcuni dei passaggi a più alto tasso tensivo, e una generale staticità nella gestione delle fasi action, i settanta minuti di visione risentono di parecchie ingenuità.
Se l’amatissima serie su Batman con Adam West era riuscita a ottemperare a certi limiti congeniti con una massiccia dose di ironia kitsch, questo Wonder Woman si prende invece troppo sul serio e non bastano una manciata di battute a salvare una sceneggiatura basilare e ricca di buchi, dove si presuppone che lo spettatore possieda già almeno una minima infarinatura dell’ambientazione e delle relative dinamiche.
La regia di Vincent McEveety, autore a inizio carriera del crepuscolare western L’ora della furia (1968), è qui impalpabile e lo spettacolo puro è soltanto un lontano ricordo. Difficile rimane colpiti, oggi ma anche ai tempi, dal duello all’arma bianca tra le due amazzoni o dalle numerose “prigioni” che obbligano Diana a pensare in fretta e agire ancora più rapidamente per riuscire a farla franca e portare così a termine il suo incarico.
Incarico che nel risolutivo faccia a faccia la vede confrontarsi con il misterioso villain, dietro il cui sigaro comparente per tutta la prima parte di visione si nasconde il noto attore messicano Ricardo Montalbán: una presenza tenuta segreta per dare adito al colpo di scena, pressoché l’unico dell’intera narrazione.
Tutto avviene in maniera brusca e frettolosa, senza il tempo di infondere personalità alle varie figure coinvolte, a cominciare proprio da quella principale, e la bizzarra presenza di un asino quale elemento chiave per certe svolte di trama rischia di indirizzare ulteriormente verso il ridicolo involontario, resosi poi palese nell’inseguimento finale tra una motocicletta ed un…canotto.
Cathy Lee Crosby è affascinante al punto giusto ma manca del necessario physique du rôle e non è quindi difficile comprendere i motivi per cui venne poi sostituita dalla Carter. Il nostro consiglio è quello di recuperare questo datato cimelio solo se fan onnivori del fumetto, altrimenti potete tranquillamente lasciar perdere.