Leggende e fantasmi, misteriose sparizioni e drammatici suicidi. Mitologia giapponese e gameplay “vecchia scuola”. Vecchia come una macchina fotografica con rullino, vecchia come quelle sensazioni che, alle volte, gli appassionati anelano rovistando tre le librerie digitali, piuttosto che negli scatoloni colmi di giochi ed ere passate. È vero che, come scoprirete in questa recensione, lo sconfinamento di Project Zero Maiden of Black Water su territori inesplorati e non per forza “nintendosi” ha fatto perdere qualcosa in termini di immedesimazione all’opera di Koei Tecmo, ma è ancor più vero che l’esagerato aumento di risoluzione, almeno nella versione PlayStation 5 da noi testata, metta a lucido un titolo forse già “vecchio”, in senso buono, sin dalla pubblicazione originale. E se quel titolo, rimasto per oltre un lustro esclusiva WiiU, appariva così esotico e affascinante, non è detto che a distanza di 6 o 7 anni non sia possibile goderselo nella sua forma migliore. Con buona pace del “paddone” della sfortuna console made in Kyoto.
Project Zero Maiden of Black Water: la paura fa 90!
Per quanto il suffisso “remastered” non compaia in alcun modo sulla copertina o nelle descrizioni, non abbiamo dubbi sulla natura della produzione. Project Zero Maiden of Black Water è in tutto e per tutto una rimasterizzazione piuttosto classica, almeno nell’accezione moderna del termine, presentandosi quindi come lo stesso gioco privo, per forza di cose, di alcune funzionalità legate al discusso controller di WiiU, ma, appunto, con qualche miglioria di natura prettamente grafica e, solo in minima parte, contenutistica. Detto della risoluzione, con un aumento evidente subito avvertibile su PlayStation 5 collegata ad un pannello 4K, il boost generazionale ha permesso, pure, di potenziare sensibilmente luci e ombre, ma anche di “sistemare” alcune brutture nascoste, all’epoca, dal minor numero di pixel a schermo. Il risultato tecnico finale non è eclatante, e mai avrebbe potuto esserlo, ma si pone, comunque, sopra la media della categoria. Il punto è che Maiden of Black Water pagava pesantemente una “sporcizia” visiva solo in parte giustificata da filtri e direzione artistica. D’altro canto, gli hardware current e soprattutto next sono riusciti a colmare quel mare che divide i 720p di WiiU con un Ultra HD in apparenza nativo, particolarmente evidente nei modelli dei personaggi, volti e abiti, e negli sfondi. In linea generale, però, gli sviluppatori sembrano aver voluto mantenere intatto il fascino misterioso e il particolare stile del titolo e della stessa saga, cercando, comunque, di nascondere agli occhi del giocatore quello che il giocatore non deve vedere. Una filosofia che non potrà che essere compresa ed apprezzata proprio dai giocatori più anziani, visto che, come accennato in attacco, Maiden of Black Water conserva un DNA antico, almeno in termini ludici. Non è cosa da poco, perché l’ultimo dei Project Zero è stato capace di sopravvivere alla rivoluzione dettata, nel 2005, da Resident Evil 4, poi sfilacciatasi in miriadi di soggettive quasi sempre in prima persona. Maiden of Black, sorprendentemente, è un gioco sì legnoso, ma capace di solleticare suggestioni preziose. Senza mai abusare di jump-scare e altri trucchetti scorretti, l’atmosfera che si respira dalle parti del Monte Ikami è umida e unica, maledetta e, perché no, benedetta. Specie da chi, nella seconda metà degli anni novanta in poi, consumava dosi massicce di videogiochi horror giapponesi. Project Zero, anche nel 2021, è sempre quella roba lì, per qualcuno superata. Per gli appassionati, invece, semplicemente diversa. Addirittura migliore.
Hikami, il monte maledetto
La storia, maledetta, di Project Zero Maiden of Black Water ruota attorno al Monte Ikami. Sia chiaro, non è possibile rilevare alcuna velleità da Open World in una struttura ludica completamente chiusa, a compartimenti stagni. Magari, è proprio all’interno di queste “stanze” che restano imprigionati gli sfortunati visitatori della zona, dopo il tramonto infestata, così si sussurra a valle, da ectoplasmiche ed eteree presenze. Maledizioni e leggende, appunto. Il Monte, un tempo ridente ed ospitale località turistica, era protetto dalle “Maiden”, fanciulle che, attraverso riti ancestrali legati alla purezza delle acque, avrebbero impedito alle stesse di corrompersi cedendo ad un oscuro e putrido male. Qualcosa, in quell’antico rituale deve essersi rotto, mutando, così, la natura benigna dell’altura trasformatasi in un luogo infestato. Per svelare il mistero di Monte Hikami bisognerà affrontare paure intime e orrori nascosti impersonando, attraverso i vari capitoli, i tre personaggi principali. Yuri, Ren e Miu sono persone e caratteri diversi, in qualche modo chiamati a confrontarsi con le sparizioni di loro amici o parenti.
La storia non ha un andamento lineare e, come prudenza insegna, rivelare troppo sulla trama rischierebbe, in un perverso gioco di “dico non dico”, di avere effetti deleteri sull’esperienza. Al netto di una localizzazione in italiano nuovamente assente, la presenza di sottotitoli in inglese, magari unita all’originale audio in giapponese, potrebbe comunque risultare ostica nella comprensione di alcune parti. Eppure, alla fine delle circa 15 ore necessarie per completare l’avventura, tutto sarà più chiaro. E il fato, per Yuri, Ren, Miu e i loro cari, sarà compiuto. In un modo o in un altro. Più interessante, in fase critica, comprendere le peculiarità del gameplay di Project Zero e, quindi, in che modo la versione originale sia stata adattata ai sistemi di controllo più moderni, in particolare per quanto riguarda l’uso della macchina fotografica. Per fronteggiare i nemici, ma anche per individuare indizi e risolvere alcuni enigmi, l’unica arma in dote al videogiocatore è proprio la Camera Obscura che caratterizza la serie. Su WiiU, neanche a dirlo, quando si passava in modalità “scatto” l’azione di gioco veniva traslata sul “paddone”.
Ora, ovviamente, non è più possibile. Eppure, nonostante i “limiti” dello schermo unico, le possibilità in dote al controller consentono di utilizzare il giroscopio interno, per altro sempre preciso e puntuale. Qualcosa, perlopiù in immedesimazione, è andato irrimediabilmente perso, ma il feeling è comunque ottimo, persino più “famigliare” per il giocatore tipo, coccolato, pure, da” vibrazioni” certamente più raffinate e più funzionali nella ricerca dello “scatto perfetto”, ovvero i “fatal frame” che, da 20 anni, rendono unica la serie di Koei Tecmo. In questa “ottica”, risulta particolarmente gradita la presenza dello Snap Mode, una modalità a scatto libero pregna di filtri ed effetti. In generale, complice anche un’azione a schermo fluida e priva di inciampi, la sensazione è che questa versione sia in fin dei conti più godibile, persino più moderna, per quanto possibile. E se la presenza di nuovi costumi, così come il capitolo di Ayane, appare tutto sommato irrisoria in un’offerta completata da una colonna sonora di grande livello, il giudizio finale è positivo. In tutti i sensi. Project Zero Maiden of Black Water è una remastered poco più che essenziale, eppure profondamente rispettosa dell’opera originale. Persino di un intero genere, scomparso dai radar dei grandi publisher e, ironia della sorte, ritrovato proprio sul Monte Hikami. Lì dove, dopo il tramonto, la gente scompare, chissà dove e chissà perché.
Piattaforme: PS4, PS5, Xbox Series X|S, Xbox One, Steam, Nintendo Switch
Sviluppatore: Koei Tecmo Games
Publisher: Koei Tecmo Games
Project Zero Maiden of Black Water, mancata localizzazione a parte, non ha difetti oggettivi, presentandosi come la versione in alta risoluzione di una classica e imperfetta avventura horror di stampo giapponese che, per sua natura, non può piacere a tutti. Si tratta di un genere quasi nuclearizzato dal progresso, presunto, e dai cataloghi da Tripla A, ancora resiliente in piccole produzioni o, appunto, in una riedizione intelligente, per modalità e tempistiche, come quella testata su PlayStation 5. La storia di Maiden of Black Water, rimasta per anni appannaggio esclusivo di una platea ridotta, è misteriosa, criptica, terrificante. È una storia di paura, ecco. Di nuovo. Finalmente.