GetsuFumaDen Undying Moon Recensione: lottare, morire, rivivere all’interno di un dipinto ukiyo-e

Getsufumaden

Correva l’anno 1987 quando, su Famicom, Konami pubblicò un gioco che divenne iconico nel Paese del Sol Levante, ma curiosamente restò misconosciuto in occidente per molto, molto tempo: GetsuFumaDen. Forse perché troppo avanti coi tempi: il gameplay mixava Castlevania, Goonies II (titoli, per l’appunto, di Konami) con elementi presi “altrove”, in particolare giochi Nintendo come Metroid e Zelda II: The Adventure of Link. Era, di fatto, forse il primo “metroidvania” decenni prima che si coniasse questo epiteto.
O, forse, GetsuFumaDen rimase confinato in Giappone proprio per la sua anima così spiccatamente nipponica a livello di lore, con un’epica poco intellegibile per il pubblico nostrano, a differenza di altri giochi Konami come Metal Gear (che si ispirava alla fantascienza hollywoodiana) e Castlevania (che si rifaceva alla mitologia esteuropea).
Fatto sta che, mentre i protagonisti del gioco divennero delle piccole mascotte secondarie di Konami (tanto da avere camei e partecipazioni qua e là in altri franchise) fino all’arrivo del porting su Nintendo Wii il gioco rimase sconosciuto al pubblico occidentale, e tutt’oggi ben poco noto se non agli appassionati del genere.
I tempi cambiano, tuttavia: di videogiochi ambientati nel contesto folklorico giapponese ne abbiamo visti e “affrontati” diversi, negli ultimi anni, e sono stati generalmente bene accolti dal pubblico: è ora che la leggenda del clan Getsu torni a splendere con GetsuFumaDen Undying Moon.

GetsuFumaDen Undying Moon: un viaggio negli inferi nipponici andata e ritorno… multiple volte.

Così come il primo episodio, anche GetsuFumaDen Undying Moon narra dell’eterna lotta del clan Getsu contro il signore degli inferi Ryukotsuki (che tanto ricorda la faida dei Belmont con Dracula in Castlevania) e di come il 27esimo capoclan, Fuma, raccolga la sua eredità e parta per una mortale avventura nel cuore degli inferi.
Dopo aver messo le mani, l’anno scorso, sulla già promettentissima versione PC in Early Access, è ora la volta della release su Nintendo Switch, che porta con sé, fin dall’inizio, tutte le aggiunte e migliorie derivanti dallo sviluppo portato avanti nell’ultimo anno su PC: un bilanciamento generale, correzione di alcuni bug più o meno fastidiosi, miglioramenti alla quality of life dell’esperienza in generale, un livello di difficoltà per principianti e la gradita aggiunta di una nuova arma (la frusta), un nuovo quadro e un nuovo personaggio giocabile.

Oltretutto è disponibile anche la versione Digital Deluxe, comprendente alcuni bonus, tra cui la piccola chicca della versione emulata del gioco originale del NES, giocabile unicamente in giapponese ma con i menù dell’emulatore tradotti. L’esperienza è ovviamente monca della comprensibilità della trama e degli oggetti, ma il titolo risulta sorprendentemente giocabile anche per gli standard odierni, a patto chiaramente che gradiate uno stile così old school.

Un’inquietante ukiyo-e in cui morire e rinascere

Le “immagini dal mondo fluttuante”, ovvero i quadri in stile ukiyo-e, sono da secoli altamente caratterizzanti dell’arte nipponica e rivivono decisamente all’interno di GetsuFumaDen Undying Moon, un po’ come i cartoon classici dei primi decenni del ‘900 all’interno di Cuphead. Non faremo spoiler specifici, ma sappiate che “La grande onda di Kanagawa” di Hokusai è direttamente omaggiato all’interno del titolo, che artisticamente gioca davvero molto bene sui livelli di parallasse, soprattutto con certi elementi scenici e nella rappresentazione dei boss. Per certi versi, data l’ambientazione, è anche un po’ come Okami di Capcom, anche se tecnica realizzativa ed effetto finale sono completamente diversi. Undying Moon offre un vasto campionario di yokai, demoni, mostri e spettri presi direttamente da un bestiario del medioevo giapponese, senza sconti nel renderli buffi o affascinanti: in questo c’è una chiara (e riuscita) vena horror, che si rispecchia in tutta l’estetica, che sicuramente cattura l’attenzione, coadiuvata come si deve da un comparto sonoro di livello che immediatamente ci porta all’interno in un film di spettri nipponico.

Il gioco, in sé, è una evoluzione in chiave moderna del gioco originale, senza le fasi “esplorative” dall’alto e in prima persona: il tutto è gestito con ambientazioni 2D da esplorare a tentativi, alla ricerca di bottini sempre più sostanziosi, mostri da maciullare e la via d’uscita verso il prossimo cerchio infernale, a cui naturalmente fa la guardia un boss tanto spettacolare quanto pericoloso. Le sorprese non mancano e il colpo d’occhio, spesso, può finire per far distrarre e sottovalutare una minaccia o una trappola. Errore basilare: anche al livello di difficoltà più semplice, attaccare a testa bassa, come in ogni roguelite che si rispetti, è una pessima idea che, con tutta probabilità, porterà alla successiva reincarnazione. Ogni ciclo di morte e rinascita, come d’uopo, porta con sé delle trasformazioni, degli oggetti e delle abilità perdute e altre che, invece, rimangono con il protagonista per aiutarlo a diventare sempre più forte e poter andare un po’ più in là nella sua esplorazione degli inferi.
Un elemento vagamente frustrante è, soprattutto all’inizio dell’avventura, la quantità di farming necessaria prima di potersi permettere dell’equip davvero funzionale: mettete in conto una fase iniziale fatta di backtracking sospinto tra i primi due quadri e la base del clan.

Un arsenale niente male

getsufumadenCome già sottolineato, il reparto artistico del gioco è davvero convincente e, da solo, invoglia a giocare per farsi trascinare negli scenari da incubo pensati da Konami, ma gli elementi davvero imprescindibili in un gioco del genere sono la giocabilità, il senso di sfida e quello di progressione.

Da questo punto di vista, il titolo fa il suo dovere, per quanto non dobbiate aspettarvi virtuosismi da parte del protagonista: le mosse a disposizione sono varie e adattabili a diversi stili di gioco, ma i comandi sono piuttosto basic e, se da un lato rende il gioco semplice da padroneggiare, dall’altro i pattern di attacco e difesa sono abbastanza scarni a livello di reattività e attitudine alle combo. Il protagonista incede con passo da samurai, non da ninja: dovrete analizzare la situazione a ogni piattaforma e piazzare i vostri attacchi e rotolate in maniera strategica, se non chirurgica, piuttosto che affidarvi a combinazioni fantasiose e all’estro del momento. Un ritmo compassato che ci riporta a alla giocabilità di una volta, coi suoi pro e contro.

Ad ogni modo, smembrare oni, triclopi e spettri presto diventa uno spasso, anche perché lo faremo con armi tipiche dell’ambientazione: dalle classiche katana agli ombrelli offensivi ce n’è per tutti i gusti. Si possono portare, contemporaneamente, due armi principali e due secondarie (utilizzabili come abilità che si ricaricano ogni tot secondi) e naturalmente, come in ogni gioco del genere che si rispetti, sfruttarne i punti di forza a seconda degli avversari che ci si parano d’innanzi è fondamentale, insieme al corretto uso di oggetti e abilità. Oltretutto, gli skill tree abbondano e coltivarli dà le sue soddisfazioni, immediatamente riscontrabili in battaglia.

Piattaforme: PC, Nintendo Switch 
Sviluppatore: Konami Digital Entertainment, GuruGuru
Publisher: Konami Digital Entertainment

GetsuFumaDen: Undying Moon farà impazzire chi rimpiange lo stile di una volta, i vecchi Castlevania, ha esplorato ogni cm delle mappe di Metroid Dread e Dead Cells. Certo, di innovativo ha ben poco, portando avanti istanze ludiche un po’ stagionate, nel bene e nel male. Uno stile artistico a dir poco eccellente gli fa comunque guadagnare tantissimi punti. Dal punto di vista delle prestazioni, Switch si comporta molto bene rispetto alla versione PC, ma c’è da dire che la modalità di visualizzazione (docked o portabilità) influisce molto sull’esperienza di gioco per via della semplice visualizzazione: mentre sul pannello del salotto le schermate sono una piccola goduria visiva, in versione handheld il tutto risulta troppo complesso per essere abbastanza interagibile, vista la quantità di dettagli a schermo.

VOTO: 7.2

Toumarello è il nickname che si porta appresso ormai da anni, ma non chiedetegli di spiegarvelo: è un tipo logorroico e blablabla. Per vivere (in ogni senso) scrive e descrive, in particolare di roba multimediale, crossmediale, transmediale... insomma, gli interessa il contenuto ma spesso resta affascinato dall'utilizzo del contenitore. Ama Tetris e le narrazioni interattive.

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