Ci sono generi che non conoscono la stanchezza, a prescindere dal periodo dell’anno. Chi ha detto, ad esempio, che gli horror debbano per forza essere pubblicati nel periodo di Halloween o comunque autunnale? Perché non pubblicarli – ad esempio – a una settimana circa dal Natale? Tanto li si compra comunque, a volte persino a prescindere dalla qualità dell’esperienza. Avranno pensato a qualcosa del genere anche gli addetti ai lavori di Perpetual Games, che dopo l’ottima proposta di Madison (trovate qui la nostra recensione) tornano alla carica con un nuovo horror psicologico in prima persona, Do Not Open. A dispetto del nome, noi “abbiamo aperto quella porta” piazzata in bella vista dagli sviluppatori di Nox Noctis (altro nome parlante, per un prodotto del genere) e siamo pronti a raccontarvi la nostra esperienza. Quella che segue è la recensione di Do Not Open, che abbiamo terminato su PlayStation 5; e anche riavviato più volte da zero, per testare alcune delle meccaniche procedurali di cui vi parleremo.
La trama di Do Not Open: che paura questa casa!
La trama di Do Not Open è ispirata a eventi reali, per quanto dichiarazioni di questo tipo lascino il più delle volte il tempo che trovano. Alla base dell’intera avventura sembra esservi – non è mai davvero chiaro – una sorta di conflitto famigliare. Quel che è certo, è che Michael J. Goreng, zoologo ed epidemiologo, si ritrova intrappolato all’interno della sua casa. O per essere più precisi: di una strana e inquietantissima versione della propria dimora. Per di più, sua moglie e sua figlia sembrano essere sparite nel nulla, sequestrate da qualche strana presenza che ora infesta l’abitato. Per fortuna il brevissimo tutorial ci mette in guardia sui pericoli nei quali di lì a poco incorreremo; è anzi proprio la figlia di Michael a mettere sull’avviso il padre con alcuni fogliettini disseminati nel seminterrato.
Obiettivi di Michael saranno scoprire il destino dei propri famigliari e l’identità del mostro che aleggia per la casa, se possibile tornando così alla normalità. Ma le cose non sono così semplici, e in un inquietante andirivieni tra lucidità e follia Do Not Open svelerà presto le proprie carte, insistendo moltissimo sulla dimensione psicologica degli eventi. Se la trama, criptica ma efficace, funziona e intrattiene per un numero tutto sommato sensato di ore – ne bastano cinque per arrivare ai titoli di coda – l’ambientazione dell’horror lascia un po’ a desiderare. Non perché sbagliata, ma perché estremamente simile ormai auna miriade di prodotti tutti identici già visti in passato. Una casa inquietante, corridoi, stanze tutto sommato identiche le une alle altre, armadi in cui nascondersi: persino Resident Evil 6 aveva bisogno di variare l’ambientazione, dopo la prima sezione legata alla casa dei Baker. Se cercate novità di qualsiasi tipo, narrative, contestuali o legate al gameplay, sappiate che Do Not Open non fa altro che attingere a piene mani dai propri consimili, pur rivelandosi solido nella resa finale.
Un horror procedurale
La progressione di Do Not Open è facilmente comprensibile. In una sorta di escape room semplificato, è necessario terminare ogni sezione dell’avventura fino ai titoli di coda; e ogni area dell’abitazione principale richiede la soluzione di almeno due enigmi per proseguire. Vengono così a unirsi i puzzle game veri e propri – gli indovinelli, i quali richiedono di esplorare facendo molta attenzione ai dettagli e raccogliere determinati oggetti – e le sessioni stealth, in cui bisogna invece scappare al feroce mostro che infesta i luoghi. A tale scopo, è opportuno utilizzare tavoli, armadi, e oggetti simili, nascondendosi al loro interno o sotto di loro. Gli enigmi si mantengono costantemente su una difficoltà media, risultando così accessibili a tutti, ma senza una vera e propria banalizzazione dell’esperienza.
Ma l’aspetto più originale di Do Not Open non è nulla di quanto già citato, bensì la generazione procedurale degli enigmi. Ogni partita vedrà quindi modificarsi – del tutto casualmente – sia la progressione delle aree che i singoli enigmi presenti al loro interno; l’esempio più semplice è quello legato ai puzzle matematici, i più semplici da modificare per gli sviluppatori. Questo significa che nessuna partita sarà identica all’altra, e che trovare delle soluzioni online costituirà un’impresa a se stante; abbiamo apprezzato molto questa idea di base, che sicuramente necessita di essere migliorata, ma che potrebbe anche costituire la naturale evoluzione della sfida all’interno del genere nei prossimi anni. Neanche questa è un’invenzione tutta nuova, è ovvio, ma ci ha fatto piacere vederla implementata in una produzione a tutti gli effetti indie.
Chiaramente ciò contribuisce anche all’ansia generale dell’avventura. Per questo abbiamo provato ad avviare nuove partite: non è possibile nutrire un senso di sicurezza, se gli indovinelli e gli enigmi che si incontrano sono del tutto nuovi “ad ogni giro”; e un horror non dovrebbe mai far sentire al sicuro il giocatore. D’altro canto si è giunti all’eccesso opposto per quanto riguarda il mostro che infesta l’abitazione: perché è davvero troppo forte e intelligente. Una modifica dei parametri dell’intelligenza artificiale dovrebbe comunque arrivare con uno dei prossimi aggiornamenti, forse addirittura nel momento in cui scriviamo è già disponibile, nel qual caso meglio così. Voi cercate di tenere a mente la posizione degli oggetti difensivi, come gli armadi; e soprattutto, se iniziate ad ascoltare mentre esplorate i corridoi una musica inquietante, fuggite a gambe levate. Perché la morte del personaggio è permanente!
Piattaforme: PlayStation 5, PlayStation 4, PC
Sviluppatore: Nox Noctis
Publisher: Perpetual Games
Do Not Open è un horror in prima persona perfetto per gli amanti del genere, ma anche per chi non l’ha mai davvero praticato. Non manca nessuno tra gli elementi fondamentali che potreste attendervi: un mostro a braccarvi (e dal quale dovrete nascondervi), enigmi ambientali, la classica dimora infestata piena di segreti e dalle stanze inquietanti, la trama da ricostruire pian piano raccogliendo indizi in ogni luogo. L’unico elemento originale della produzione consiste nella generazione procedurale degli enigmi, che garantisce partite “inedite” anche dopo aver concluso l’avventura principale. Un’intelligenza artificiale non proprio brillante (ma il problema è risolvibile) e un comparto tecnico discreto (ma non eccellente) completano il pacchetto. Vi consigliamo di dargli una possibilità, ma senza aspettative sbilanciate verso l’alto.