Bussano alla porta Recensione: chi salverà il mondo?

Bussano alla porta

Se siete qui probabilmente avete già una certa confidenza con il cinema di M. Night Shyamalan, quindi sapete benissimo che Bussano alla porta è uno di quei film che non danno risposte e, anzi, lasciano lo spettatore con sole domande. Coccolare, rassicurare, prendere per mano chi guarda e accompagnarlo in un viaggio di comprensione lineare della storia non è mai stato negli interessi del regista, che preferisce invece mettersi e mettere in dubbio le più basilari certezze umane.

Bussano alla portaNon aprire quella porta

Una famiglia felice, composta da Andrew (Jonathan Groff), Eric (Ben Aldridge) e la piccola Wen (Kristen Cui) in vacanza in uno chalet isolato tra i boschi: cosa potrà mai succedere di male? Per esempio, la casa può essere circondata da quattro sconosciuti armati, che continuano con insistenza a bussare alla porta e minacciare di sfondarla pur di entrare. Leonard (Dave Bautista), Sabrina, Adrianne e Redmond (Rupert Grint) sostengono di essersi appena conosciuti, perseguitati da una profezia comune sull’imminente fine del mondo, evitabile solo se la famiglia in questo chalet sceglie un membro della stessa da sacrificare alla causa. Nessuno può morire accidentalmente o decidere di suicidarsi, deve essere una decisione presa coscientemente.

Dilemmi esistenziali

Cosa faresti se ti chiedessero di scegliere tra salvare la tua famiglia o il mondo? È questa la domanda attorno alla quale si costruisce l’intero apparato di Bussano alla porta che, attraverso la messa in scena di una situazione surreale, ti spinge a porti una serie di domande su te stesso e il genere umano. Quanto è facile concentrarsi sul proprio egoismo? Quanto credere alle parole degli altri? Bisogna fidarsi del prossimo? E di quello che viene trasmesso in televisione? Tutto quello che succede è conseguenza delle azioni umane o c’è qualcosa di più divino da mettere in conto? Il film fondamentalmente esplora i concetti alla base di fede e credenza, certezza e dubbio, potere e impossibilità e i limiti stessi di tutto ciò. Come Shyamalan stesso ha affermato: “Il film riflette il mio sentire che tutto quello che sta succedendo nel mondo non è bello e non fa star bene. Sento però anche che stiamo lottando insieme e andando nella giusta direzione. Naturalmente non facciamo tutto bene tutte le volte, ma in generale la direzione in cui ci stiamo muovendo come umanità è quella giusta e meritiamo la chance di continuare. Questo è quello che sento. Una storia d’amore è una prova sufficiente che l’umanità deve continuare a muoversi. Bussano alla porta è un’incredibile opportunità per noi di vivere una gigantesca e globale storia biblica attraverso l’esperienza di una famiglia”. Ed è proprio questo suo essere una enorme, seppure intima, discussione universale a rendere il film qualcosa di estremamente affascinante su più livelli, proprio come gran parte della produzione del regista. Nascosti dietro una semplicissima (e già posta da altri media, tra cui quello videoludico) domanda e un genere cinematografico considerato alla portata di tutti, troviamo gli incipit di una discussione più ampia, prima di tutto soggettiva e personale, sull’evoluzione sociale del genere umano.

Ma quindi non è un horror?

Non so voi, ma io ho sempre avuto qualche problema a definire i film di M. Night Shyamalan come semplici horror, nonostante con questi condividano molte dinamiche. Bussano alla porta è un’opera in grado di tenerti in un perenne stato di tensione, senza che tu ti renda conto di aver avuto i muscoli del corpo estremamente contratti per tutto il tempo, pur non spaventandoti dichiaratamente con jumpscare o atti di visibile violenza sullo schermo. I personaggi , tra cui un bravissimo Dave Bautista estremamente delicato e in contrato con la sua persona fisica, si muovono in un continuo limbo morale e di credibilità, confondendo lo spettatore sulle loro vere intenzioni. Qual è la verità? Il mondo finirà sul serio se qualcuno della famiglia non deciderà di sacrificare l’altro? E i quattro sconosciuti hanno davvero avuto delle visioni profetiche o è tutto frutto della manipolazione mentale di un individuo dalle tendenze omofobiche? Dalla parte di chi schierarsi? Cosa è giusto fare? Vedete, siamo tornati alla sfilza di domande iniziali alle quali, statene certi, il film non si porrà mai l’obiettivo di dare una risposta chiara, esplicita e didascalica. Bussano alla porta inquieta proprio perché ti lascia completamente irrisolto a fare i conti con te stesso, con quel senso di disagio costante dovuto alla reale possibilità di tutte le presunte assurdità che avvengono sullo schermo. È lo spettatore che decide in cosa credere e quanto lasciarsi sopraffare dalla storia e dal suo sviluppo. Shyamalan si impegna solo a raccontare il tutto nel più claustrofobico dei modi, approfittando delle possibilità fotografiche e registiche offerte da una location chiusa e circoscritta, di cui si avverte il peso di ogni parete e la luminosità di ogni spiraglio: “Sono molto attratto da storie di isolamento e dal raccontare storie molto ampie attraverso una piccola finestra. Quella costrizione, quell’equilibrio, una giustapposizione dell’ampiezza della storia e del modo in cui la raccontiamo, per me è molto stimolante”.

Per chi si avvicina a Bussano alla porta dopo aver letto il libro, il film potrà sembrare un adattamento meno crudele e più ottimista, in cui alcune vicende narrative sono state modificate a favore di una discussione morale interna dei personaggi più pressante, un’emotività più spinta e un’universalità più ampia. A partire da metà degli eventi le due storie, quella cinematografica e quella letteraria, prendono direzioni completamente diverse, alleggerendo forse i momenti più orrorifici (il regista non li mostra mai davvero sullo schermo e lascia che sia lo spettatore a dar loro il giusto, seppur soggettivo, peso) e aumentando l’impossibilità di stabilire dei veri limiti tra il giusto e sbagliato. Questo non diminuisce la potenza narrativa di un film che sicuramente non è per tutti e che prosegue in un certo senso il lavoro di discussione esistenziale che M. Night Shyamalan porta avanti da un po’ di tempo e già ampiamente riconoscibile anche in The Servant.

Voto: 7