Wild Hearts Recensione: il cuore al posto giusto

Wild Hearts

Lo confesso, Monster Hunter mi intimidisce. Conosco persone che si dedicano anima e corpo a cacciare mostri dalla mattina alla sera, e il modo in cui parlano di questi giochi mi ha sempre trasmesso una sorta di timore reverenziale nei loro confronti. La pletora di dettagli così tecnici e minuziosi relativi a quello che, essenzialmente, è un action-RPG cooperativo in cui si affrontano boss mastodontici a ripetizione è per me fonte di attrattiva e meraviglia. La profondità che percepisco è affascinante ma, al pari dei souls-like, non ho mai avuto la sensazione di essere particolarmente portato a sincronizzare le schivate e memorizzare gli schemi di attacco, malgrado le logiche di base non siano tanto dissimili dai titoli arcade sui quali si fonda la mia educazione videoludica. Ciò detto, ho comunque affrontato la mia buona dose di titoli del genere, dedicando svariate decine di ore all’originale Monster Hunter nella sua declinazione Freedom su PSP, a Monster Hunter Tri su Wii, ai recenti World e Rise, nonché ad alcuni dei cloni più o meno fortunati come God Eater, Soul Sacrifice, Dragon’s Dogma, Dauntless e i due Toukiden, senza dubbio divertenti ma con la grave colpa di essere un po’ troppo superficiali, dai quali i ragazzi di Omega Force sono partiti per realizzare il qui presente Wild Hearts. Tutta questa noiosa introduzione per spiegarvi che chi vi scrive non può certo definirsi un navigato veterano del genere, ma possiede comunque un background sufficiente per capire se il primo sforzo congiunto tra Koei Tecmo ed Electronic Arts sia riuscito a partorire un apprezzabile simulatore venatorio in salsa fantastica oppure abbia mancato clamorosamente il colpo. E posso già anticiparvi che buona parte del mio vissuto nel mondo dal sapore orientale di Azuma è stato di mio gradimento. Buona parte, per l’appunto.

Wild HeartsWild Hearts: dov’è cominciato il tuo viaggio?

Come in altri suoi analoghi, anche in Wild Hearts il giocatore segue uno schema ben collaudato che consiste nel rintracciare mostri grandi come una casa, chiamati Kemono (“bestie”, termine utilizzato nel folclore giapponese per riferirsi ad un certo tipo di creature soprannaturali), ucciderli senza morire nel tentativo ed utilizzare le loro parti per creare armi e armature migliori, in maniera tale da poter ripetere l’operazione con altri mostri sempre più grossi e cattivi. La differenza in questo caso è che il nostro alter ego si rivela essere un maestro nell’utilizzo di alcuni particolari marchingegni chiamati Karakuri (testualmente, “meccanismi”) che ci aiutano ad eseguire potenti attacchi contro i nemici, a proteggerci dalle loro offensive ed a facilitare gli spostamenti in giro per le enormi mappe. Sebbene a nostra disposizione vi sia un nutrito corredo di armi tradizionali, ognuna con le proprie peculiarità, i Karakuri sono fondamentali per abbattere i Kemono e rinunciare all’impiego di tali apparati potrebbe rivelarsi una mossa inutilmente azzardata. La maggior parte del nostro tempo la trascorreremo a cacciare e combattere queste colossali forze selvatiche, quindi per fortuna gli scontri sono dinamici ed entusiasmanti: ogni loro singola movenza è intrisa di energia cinetica, ogni attacco è un impetuoso terremoto che non lascia scampo. Come in Dark Souls, è meglio apprendere in fretta le migliori tecniche di evasione, perché saranno la nostra principale forma di difesa. Pensate ad alcuni dei boss più epici che abbiate mai combattuto in vita vostra e immaginate un gioco intero in cui siete costretti a fronteggiarli uno dopo l’altro: ecco, questa è la genuina essenza di Wild Hearts, la proverbiale, magnifica danza tra la vita e la morte, tra tecnologia e natura, mentre volteggiamo insieme alle immani bestie da un lato all’altro dello schermo, eludendo e contrastando gli attacchi l’uno dell’altro. Man mano che il combattimento prosegue, i mostri vengono sfiancati dalle nostre bordate che aprono ferite visibili, costringendoli a mettere in atto mosse ancora più devastanti per disperazione ed enfatizzando l’intensa quantità di dettagli riversata nelle lotte dagli sviluppatori. Quando andremo in esplorazione, ci troveremo in mezzo a boschi, radure e distese selvagge di ogni tipo, e di conseguenza ci capiterà di incrociare altri animali di taglia ridotta che però, pur essendo utili per ottenere materiali comuni, non rappresentano una vera e propria minaccia: i Kemono rimangono, letteralmente e figurativamente, gli ingredienti principali dell’esperienza di Wild Hearts.

Wild HeartsTorniamo sull’arsenale di Karakuri, strumenti fondamentali per sopravvivere nel mondo di Azuma: come già accennato, sono ordigni singolari che consentono di eseguire una serie di azioni speciali fulminee, come lanciarsi in aria per ottenere maggiore mobilità e attacchi più incisivi o distrarre i nemici con una salva di fuochi d’artificio. Omega Force ha riposto la medesima scrupolosità tanto nella costruzione di un mondo magnifico e dei mostri maestosi che lo abitano, quanto nell’implementazione di questa attrezzatura che, di fatto, costituisce anche uno dei punti distintivi di Wild Hearts. All’inizio si dispone di semplici congegni di base, come casse per arrampicarsi e molle per spingersi, ma man mano che progrediamo nell’avventura impareremo a combinarli in strumenti complessi, spesso nel bel mezzo di situazioni critiche, il che aggiunge ulteriore emozione a queste ultime. Tuttavia, le sensazioni che ho avuto dopo aver iniziato a padroneggiare questo aspetto del gameplay sono state contrastanti. Man mano che affinavo la padronanza delle meccaniche, ho pensato che sarebbe stato interessante sperimentare i nuovi dispositivi contro i Kemono già affrontati, ma è chiaro che la loro efficacia è stata misurata su circostanze ben specifiche ed i pattern di attacco o le caratteristiche delle creature non premiano più di tanto la creatività. Non ci vuole molto per capire quali meccanismi funzionano meglio contro determinate specie e quali invece sono fondamentalmente inutili, ciononostante avrei preferito escogitare da solo qualche manovra di fortuna per trarmi d’impaccio: per questo motivo, il sistema sembra più artificioso che strategico, un gran peccato considerate le sue potenzialità.

È anche possibile produrre strutture permanenti, i cosiddetti Karakuri del Drago, che forniscono vantaggi duraturi durante le spedizioni. Alcune aiutano persino ad attraversare con maggior facilità le varie zone, come le teleferiche, tanto che costruire un sistema di Karakuri da trasporto funzionale l’ho trovato quasi più divertente che impiegarli in mischia. Inoltre, abbiamo la facoltà di posizionare questi ausili nelle partite di altri giocatori, e questi ultimi possono fare altrettanto: in un gioco basato sull’esplorazione di terre selvagge per cacciare mostri, raccogliere le loro spoglie e usarle per creare oggetti, è il valore sociale di queste meccaniche di costruzione ad avere un impatto gradevole e inatteso. Come l’enfasi posta da Death Stranding sull’impegno comune durante un periodo storico che ci ha visti costretti all’isolamento, Wild Hearts ci spinge non solo ad aiutare gli altri, ma anche a lasciare la nostra impronta nel loro mondo.

Wild HeartsPossa la caccia, sol faro nella notte, illuminarti

I Kemono sono autentiche meraviglie della natura, simili ad animali del mondo reale come cinghiali e galline mescolati ai rispettivi ecosistemi, con formazioni rocciose e vegetali che fuoriescono dai loro corpi. Gli scenari in cui vivono sono paesaggi altrettanto mirabili e imponenti, che implorano di essere visitati: boschi profondi si trasformano curiosamente in spiagge, e onde di tsunami ghiacciati emergono da costruzioni vuote e fatiscenti. Metà del tempo di ogni caccia la impiegheremo sprofondati in un’escursione naturalistica, imparando ad orientarci e scoprendo luoghi nascosti che incutono soggezione. Non c’è niente di meglio che inseguire un Kemono ferito mentre la notte si trasforma in giorno, in una foresta immersa nella luce multicolore dell’alba. Con l’alternarsi delle stagioni, queste aree assumono caratteristiche diverse ma tale fenomeno è tutt’altro che tradizionale perché, come avremo modo di capire a nostre spese, le bestie sono in grado di modificare l’ambiente che li circonda financo mentre combattono. Per i residenti che cercano di sopravvivere nella regione di Azuma, un peggioramento repentino delle condizioni climatiche significa trovarsi in grave pericolo. Nel corso delle attività di ricerca, potremo imbatterci nei resti di svariati insediamenti ormai distrutti dalle intemperie e invasi dalla vegetazione, testimonianza imperitura di come, anche se molti anni addietro la civiltà umana ha prosperato su Azuma, quel periodo è ormai passato. Gran parte della storia di Wild Hearts si svolge a Minato, un piccolo borgo di frontiera incastonato in una scogliera che funge da centro nevralgico presso il quale pianificare le nostre mosse. Minato ha vissuto momenti difficili negli ultimi tempi: i Kemono hanno stravolto il territorio con la loro sola presenza e causato morte e distruzione, dunque l’arrivo di avventurieri dalle regioni esterne viene visto come una circostanza fortuita dagli abitanti, che ci accoglieranno con (relativa) gioia e saranno oltremodo entusiasti di farsi aiutare a risollevare le sorti del villaggio dando la caccia alle pericolose bestie sia per diletto che per puro e semplice lucro.

Wild HeartsMinato è la casa di molti personaggi pittoreschi: benché nessuno di loro si unisca alle nostre imprese, perlomeno non in maniera concreta, le rispettive caratterizzazioni, le storie personali e le vicende in cui rimangono invischiati sono meritevoli di attenzione tra una caccia e l’altra, mentre la costante deferenza che mostrano nei confronti della nostra “professione”, paragonata quasi al mestiere di supereroe, non ha mancato di strapparmi qualche sorriso. Pur assumendo il ruolo di un tipico protagonista silenzioso e personalizzabile, l’alter ego del quale vestiamo i panni non manca di individualità, e le sue reazioni ad ogni particolare che emerge sulle origini dei locali sono pari alle nostre. Ogni rivelazione che si apprende su di loro aumenta il mistero che li circonda. A metà della storia principale, sono curioso di scoprire tutto sulle loro origini. Per quanto la storia non sia certo materiale da Oscar, è comunque un racconto di sopravvivenza piuttosto avvincente e diverso dal solito, poiché abbraccia gli sforzi compiuti da un’intera comunità per esistere e resistere in un ambiente ostile piuttosto che concentrarsi su un manipolo specifico di personaggi. Coglieremo anche numerosi indizi riguardo i fumosi trascorsi di Minato, che potrebbero non essere del tutto impeccabili: Kōgyoku, il losco negoziante, e Tamakazura, il gestore dei bagni pubblici, sono i comprimari più intriganti per la loro elusività, quasi come nascondessero costantemente qualcosa. D’altronde, la caccia e le varie attività di frontiera non sono necessariamente le imprese più etiche che si possano compiere.

Wild HeartsA volte basta uno sguardo per rispondere a mille domande

Forse il più grande punto a sfavore di Wild Hearts è che, in soldoni, non riesce a fare abbastanza per distinguersi all’interno del suo sottogenere di riferimento. È chiaro che non sia l’unico gioco di caccia in circolazione: Monster Hunter ha ispirato intere generazioni di tentativi simili che, quantunque abbiano goduto di alterne fortune, si sono sempre rifatti allo stampo dell’originale sotto molti punti di vista, ma nessuno è mai riuscito ad essere all’altezza dell’eccellenza del capostipite. Rispetto ai suoi colleghi, Wild Hearts semplifica alcuni aspetti preliminari, permettendoci di passare all’azione con meno affanni e offrendo nel complesso un’esperienza più abbordabile. La difficoltà non è ai livelli di un souls-like, ma la sfida presentata non è affatto da sottovalutare e, anche se la creazione di attrezzature migliori può essere di grande aiuto nelle battaglie più difficili, alla fine il successo dipende in larga misura dalla capacità di affinare le proprie competenze. Non è necessario insomma curare con attenzione e meticolosità gli strumenti da portare con noi, e la creazione di oggetti viene agevolata senza sacrificarne l’importanza. Peccato però che questa ricerca dell’accessibilità a tutti i costi smorzi alcuni dei cardini intorno ai quali ruotano questo genere di produzioni, come la presenza di un piccolo compagno meccanizzato che dispone di una singola risorsa per potenziare le sue (poche) capacità, oppure la lentissima progressione dell’equipaggiamento che elargisce bonus elementali quasi trascurabili tra un pezzo e l’altro, o ancora l’alberatura dei talenti di ciascuna arma, emozionante e smisurato di primo acchito, finché non ci rendiamo conto di un filone che si applica a tutti gli strumenti offensivi in nostro possesso e sul quale dunque concentreremo la maggior parte degli investimenti.

Gli stessi Karakuri sembrano un tentativo forzato per aggiungere complessità. È necessario manifestare una manciata di piccoli dispositivi in una sola volta per costruirne uno più grande, e per farlo siamo costretti a memorizzare combinazioni specifiche di tasti, che spesso possono indurre a compiere errori grossolani. I controlli, in generale, non sono così precisi e puliti come nel suo diretto e pluricitato ispiratore, e le blande movenze di parkour fanno sì che il personaggio sembri fluttuare senza peso come nei peggiori capitoli di Assassin’s Creed. Ad ogni modo, questi difetti non inficiano più di tanto la robustezza dell’avventura e, per quanti siano in cerca di un titolo del genere con una componente narrativa un po’ più definita, la proposta EA Originals potrebbe rivelarsi un’ottima scelta. Chiudiamo la panoramica con un eccellente comparto sonoro, che sottolinea le splendide scelte estetiche: i suoni della natura e il clangore delle armi si fondono con le note di strumenti tradizionali giapponesi, creando un connubio che cattura e conquista, ed i versi distinti di ogni singolo Kemono entreranno ben presto nelle nostre menti ancor prima dei loro schemi comportamentali. Menzione d’onore anche per il doppiaggio italiano, magari talvolta un po’ troppo caricaturale ma di qualità eccellente. Se Koei Tecmo ed Electronic Arts sapranno supportare la loro creatura con aggiornamenti e contenuti supplementari degni di nota, e magari arricchire qualche aspetto che al momento risulta un po’ troppo anemico, potremmo ritrovarci tra le mani un autentico classico del genere.

Piattaforme: PC, PlayStation 5, Xbox Series

Sviluppatore:  Tecmo Koei, Omega Force, Koei Tecmo Games

Publisher: Electronic Arts

Dopo aver passato oltre 50 ore con Wild Hearts, mi sono convinto della bontà dell’opera confezionata da Omega Force, che tuttavia non è riuscita ad evangelizzarmi del tutto. Dentro di me speravo di scoprire qualcosa di davvero entusiasmante, di scoprire qualche elemento di concreta novità che mi convincesse della sua genuina grandezza, e magari riuscisse addirittura a coinvolgermi più del blasonato marchio cui guarda ed aspira. Ma, in conclusione, si tratta “soltanto” di una buona alternativa. La bellezza dei Kemono è impareggiabile, questo sì, e l’influsso che hanno avuto su di me è stato forse superiore a quello dei mostri di Capcom, eppure la sola, meravigliosa ambientazione temo non sia sufficiente a trasformare questa nuova IP che porta la firma di Kotaro Hirata nella prima scelta assoluta della sua categoria.

VOTO 8.3

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.