Non c’è dubbio che il team di Tango Gameworks sia incredibilmente capace quando si tratta di creare mondi spaventosi e narrativamente coinvolgenti. The Evil Within è stato un tuffo ad occhi chiusi in un orrore cruento e psicologico e il suo sequel si è spinto ancora più a fondo nella tana del Bianconiglio, addentrandosi in territori incredibilmente macabri, tra i quali ricordiamo una particolare città che ha spinto la serie fuori dal suo stile lineare e ha giocato con il concetto di mondo aperto, con notevole efficacia. Lo scorso anno, con il nuovo Ghostwire Tokyo, il team fondato da Shinji Mikami ha provato a cimentarsi in un open world vero e proprio, ambientandolo in una Shibuya deserta e ben riprodotta che si trasforma in un divertente parco giochi di spiriti sia amichevoli che inferociti, e dotando il giocatore di una nutrita serie di poteri spettrali a portata di mano. L’intrigante avventura ricca di tensione ci aveva già colpiti quando si affacciò su PlayStation 5 e PC, ed oggi anche i possessori di Xbox Series possono esplorare gli inquietanti viali deserti e nebbiosi del quartiere commerciale per eccellenza di Tokyo con una nuova versione riveduta e corretta, anche se sempre legata un po’ troppo agli stereotipi della categoria cui appartiene.
Ghostwire Tokyo: mi serve il tuo corpo, ora!
A Shibuya, tutti sono scomparsi senza alcuna apparente motivazione, e gli spiriti del folclore urbano e tradizionale hanno iniziato ad aggirarsi per le strade. Il giocatore veste i panni di un giovane di nome Akito che, dopo un incidente d’auto, lascia che la sua coscienza venga invasa da un presuntuoso cacciatore del paranormale chiamato KK, grazie al quale viene strappato via dal baratro della morte ed ottiene la padronanza di abilità speciali che consentono di accedere al mondo degli spettri. I due iniziano a entrare in conflitto l’uno con l’altro, in quanto Akito non si sente a proprio agio nel condividere il proprio corpo con un ospite per certi versi indesiderato: tuttavia, con il protagonista alla ricerca della sorella e KK desideroso di trovare risposte ed una spiegazione riguardo ciò che sta succedendo a Tokyo, gli obiettivi delle loro storie si intersecano e, come ogni buona coppia di amici, alla fine collimano, mentre Akito inizia ad abbracciare i suoi nuovi poteri per salvare la città. Entrambi i personaggi sono in un certo qual modo simpatici, ma non particolarmente memorabili: invero, alcuni comprimari chiave incontrati lungo il percorso che aggiungono un po’ di spessore alla figura di KK, ammorbidendo al contempo la sua indole burbera e sprezzante, ma Akito non riesce a svilupparsi oltre il ruolo di fratello che cerca di salvare la sua consanguinea, malgrado i numerosi e agghiaccianti flashback che lasciano intendere qualcosa di più sinistro legato ai trascorsi del ragazzo. Anche l’antagonista principale, Hannya, non viene coinvolto più di tanto nelle vicende, per quanto la sua presenza sia una costante nel corso della storia: la malvagità che trapela dall’aspetto della maschera che indossa sembra debba essere sufficiente a giustificare le azioni di cui si macchia, ma sarebbe stato gradito qualche risvolto aggiuntivo sulla sua evoluzione oscura, purtroppo carente anche nel rinnovato taglio delle sequenze non interattive presente nell’espansione Il Filo del Ragno. Ad ogni modo, la storia mantiene desta l’attenzione per le sue relativamente modeste 15-20 ore di durata, e il finale sembra adatto a quello che non è assolutamente un survival horror, ma piuttosto un’avventura improntata all’azione piena di fantasmi e trucchetti psicologici. La stessa Shibuya è un’ambientazione fantastica nella quale è bello perdersi, soprattutto per quanti amano il Giappone ed hanno già avuto modo di visitarla di persona: l’angoscia di percorrere strade e piazze deserte è quasi palpabile, enfatizzata peraltro dall’elettricità che continua ad alimentare neon e cartelloni pubblicitari, insegne e filodiffusione che echeggia dalle facciate dei negozi abbandonati. È sempre notte e spesso piove, il che accresce ulteriormente l’atmosfera da brivido, laddove il silenzio che consegue la repentina sparizione di qualsiasi forma di vita rimbomba più forte di ogni altro rumore.
È subito chiaro che quella di Ghostwire Tokyo non sia una normale Shibuya. Oltre ad averla privata di vita terrena, Tango Gameworks gioca deliziosamente con l’ambiente in modi inusuali, facendo materializzare strane proiezioni e sagome dai contorni indefiniti in punti casuali, tremolare incessantemente le luci e sbattere su e giù e le porte delle vetrine dei negozi. Auto, biciclette e pattumiere fluttuano sopra il livello della strada e ogni tanto sfarfallano, esplicito segnale che ci invita a raccogliere risorse, mentre gli ombrelli giacciono immobili a terra e gli spiriti maligni si aggirano in ogni dove. È un’atmosfera elettrizzante nella quale ho davvero gradito immergermi. Dopo un’introduzione lineare che spiega le basi del gioco, Ghostwire Tokyo inizia a spuntare alcune caselle dei cliché degli open world che ci risulteranno immediatamente familiari: i cancelli Torii sono in cima alla lista dei luoghi che devono essere ripuliti dal male nelle vicinanze; una volta fatto, la nebbia circostante si dissolve, rivelando altri punti di interesse sulla mappa come spiriti che hanno bisogno di aiuto, negozi e così via, mentre il portale stesso viene abilitato come punto di viaggio rapido. Muoversi nella nebbia prima di averla eliminata causa dei danni al nostro alter ego, costringendoci dunque a ripulire ogni arcata per completare la mappa pezzo per pezzo. È un classico espediente per impedirci di accedere alle aree prima del previsto, ma il processo stesso di “scoperta” della cartina è una prassi reiterata. L’elemento principale che salta fuori quando sblocchiamo un’altra porzione sono le richieste di spiriti amichevoli che hanno bisogno del nostro aiuto per passare all’aldilà: queste spaziano da mansioni veloci come esorcizzare un fantasma impertinente da una casa, alla difesa di un’area presa d’assalto da svariati nemici, fino a mini-avventure più approfondite. Una delle mie preferite consisteva nell’aiutare una ragazza che doveva incontrare il suo compagno per un appuntamento, senza sapere che questi si era tolto la vita dopo aver visitato uno strano edificio maledetto. Esplorando quest’ultimo, scopriamo che i suicidi avvengono di frequente fra le sue mura e che solo esplorando le sale infestate dagli spiriti maligni che vi si annidano potremo concedere alla coppia la facoltà di ascendere. Ma non tutto è sempre così serio e lugubre: un’altra supplica degli spiriti richiede di cercare i procioni nascosti in tutta la città, individuandone le code che spuntano da oggetti casuali. Sono le deviazioni più piacevoli dalla narrazione principale perché, proprio come le varie storie secondarie di Assassin’s Creed Valhalla, non sappiamo molto sulla loro natura fino a quando non parliamo con ciascuna apparizione, aggiungendo così un elemento di incognita che mi ha fatto desiderare di aiutarle tutte senza mai sapere su quale strada bizzarra e strampalata mi avrebbero condotto.
E così, adesso il mio piano è completo
Non tutte le attività secondarie regalano le medesime soddisfazioni. Ci sono templi simili a quelli di Far Cry che hanno diverse porte Torii da ripulire, disseminate di nemici da eliminare per conquistarli. Pregare davanti alle statue sparse per la città aumenta i punti spirito e la salute; pagare per ricevere una benedizione presso un altare aiuta a riempire la mappa di icone utili per rintracciare facilmente le statue; i “cubi” che imprigionano gli spettri benevoli devono essere difesi da ondate multiple di nemici e spuntano un po’ ovunque. Insomma, per ogni storia secondaria avvincente, ci sono almeno un paio di incarichi banali che sembrano piuttosto un riempitivo e compromettono in parte il ritmo del gioco. I negozianti di Ghostwire Tokyo sono gestiti da yokai, misteriose entità soprannaturali del folclore giapponese dalle sembianze di gatti fluttuanti e parlanti. Oltre a venderci scorte di ogni tipo, uno per ogni sezione ci invita ad una caccia al tesoro per trovare vari oggetti della cultura nipponica, fornendoci una manciata di indizi. Non mi sono mai sentito particolarmente motivato a cercarli tutti, ma ho comunque consegnato loro tutti quelli che riuscivo a trovare durante i miei pellegrinaggi per riscuotere le generose ricompense in denaro. Con mio grande diletto, quando ho regalato ad uno di loro la maschera da Daruma, peculiari figurine votive, che desiderava, l’ha sfoggiata subito. Le strade sono piene di anime che fluttuano senza far niente e che bisogna assorbire in un Katashiro, una tradizionale bambola di carta giapponese, tenendo premuto un pulsante. Una volta assimilati, dovremo “trasmetterli” per mezzo di una mistica cabina telefonica in cambio di esperienza con la quale potenziare le nostre abilità. Non scherzo nell’affermare che questi spiriti fluttuanti sono letteralmente ovunque: alcuni si possono risucchiare senza problemi, mentre altri richiedono la rimozione di particolari afflizioni con specifiche gestualità, eseguibili tramite lo stick analogico destro. Il metodo per assorbirli, riempire i Katashiro (che si possono acquistare) e poi consegnarli alle varie cabine telefoniche diventa abbastanza tedioso alla lunga, e avrei preferito che le perle che si sbloccano dopo aver completato il gioco e permettono di trasformarli istantaneamente in XP senza i passaggi successivi fossero state disponibili con largo anticipo.
E poi ci sono i cosiddetti Visitatori, entità apertamente ostili che si aggirano per le strade e ci attaccheranno a vista. Le studentesse senza testa fanno capriole e salti mortali nel tentativo di ghermirci, i lavoratori d’ufficio senza volto armati di ombrello affondano quest’ultimo contro di noi, e una variante più grande lo utilizza addirittura come scudo, vulnerabile solo a certi attacchi. Altri avversari eterei possono volare e sparare raffiche di proiettili, piccoli spiriti bambini con un impermeabile giallo urlano quando ci vedono, attirando l’attenzione di altri spettri malvagi, mentre la Kuchisake, tratta dalla leggenda urbana di uno spirito femminile che attira i passanti per sfigurarli, usa un paio di enormi forbici per lanciarsi disperatamente contro di noi. All’inizio non c’è molta varietà ma, man mano che avanziamo ed incontriamo nuovi nemici, questi appaiono più frequentemente, cambiando la dinamica delle aree già visitate. Ho apprezzato il fatto che non se ne stiano tutti lì ad aspettarci senza fare nulla: alcuni esprimono frustrazione per l’impossibilità di entrare in edifici chiusi a chiave, altri penzolano giocosamente dai fili del telefono e altri ancora interagiscono tra loro. In cima ad un tetto ho trovato alcune studentesse senza testa che ballavano e giocavano su un palco abbandonato, finché non ho interrotto la festa. C’è anche una strana parata precessionale di Visitatori che si aggira per le strade e, se ci avviciniamo troppo ad essa, ci trascina in un’arena dove dovremo affrontare una sequela di battaglie molto impegnative, quindi vale la pena evitarla finché non ci sentiremo abbastanza preparati. Fa comunque un certo effetto quando la scorgiamo da lontano o, peggio, a pochissimi centimetri dinanzi a noi non appena voltiamo un angolo sfortunato. Per quanto riguarda le abilità, inizieremo con il Vento, per poi accedere all’Acqua e al Fuoco, oltre a talismani che possono essere usati quasi come sostituti di granate, scudi o esche. Tutti gli elementi vengono emessi dalle nostre mani, il che rappresenta indubbiamente una bella sensazione, e bisogna tenere conto delle vulnerabilità di alcuni nemici. Il Vento, ad esempio, è utile per sparare più colpi in rapida successione, ma il pulsante di attacco può essere tenuto premuto per lanciarne tanti in una volta sola e infliggere più danni. Il Fuoco può essere indirizzato verso il suolo per provocare un’esplosione, mentre l’Acqua viene scagliata con un movimento orizzontale che può eliminare più nemici.
Ehi, che bello che sei oggi
Poiché le abilità richiedono un po’ di tempo per essere potenziate e diventare più utili, i combattimenti abbisognano di qualche ora per risultare davvero piacevoli. All’inizio, infatti, non facciamo altro che sparare Vento dalle dita fino ad abbattere i nemici ma, con l’introduzione di poteri e avversari diversificati, le cose si fanno molto più gratificanti. Una volta che i nemici sono stati danneggiati a sufficienza, è possibile tenere premuto il grilletto sinistro per strappare il loro nucleo, il che regala sempre una certa emozione. Possiamo anche estrarli all’istante, se riusciamo ad avvicinarci furtivamente agli spettri. Ancora meglio, una volta acquisita una certa destrezza, potremo sradicare più nuclei nemici contemporaneamente o mettere in pratica altre strategie che diventeranno man mano evidenti con l’esperienza, come afferrare un nucleo a distanza ravvicinata per ottenere qualche istante di invulnerabilità, o guadagnare un bonus ai danni se un nemico viene scaraventato a terra, o ancora sfruttare un poderoso attacco caricato. Siamo anche in grado di bloccare gli attacchi: se ci limitiamo a tenere premuto il pulsante di blocco, ridurremo semplicemente i danni, ma con il giusto tempismo non ne subiremo alcuno e potremo persino respingere i proiettili verso i nemici. Una volta che tutto si incastra al posto giusto, il combattimento diviene una sorta di danza che ci vede sfrecciare da uno spettro all’altro, danneggiandoli con attacchi ad ampio raggio, strappando più nuclei contemporaneamente e trasformandoli in polvere ectoplasmatica, un ritmo divertente che mi ha coinvolto fino alla fine. Gli spostamenti in Ghostwire Tokyo sono piuttosto agevoli, anche grazie ad alcune abilità interessanti: oltre ai succitati portali Toori ci sono i Tengu, strambi e rumorosi spiriti-uccello che si aggirano in cima agli edifici ai quali possiamo aggrapparci dalla strada e saltare quindi da un tetto all’altro senza remore. All’inizio può essere complicato trovare il modo per raggiungerli, ma più avanti acquisiremo un potere che permette di evocarne uno ovunque si voglia, eliminando così gran parte dei problemi.
L’aggiornamento gratuito Il Filo del Ragno annette una nuova modalità in cui affronteremo 30 livelli selezionati tra oltre 120, con un semplice obiettivo: arrivare fino in fondo. Man mano che si superano le sfide e si completano gli stage, vengono sbloccate altre abilità e si guadagna valuta di gioco per i potenziamenti. L’espansione include anche nuovi luoghi da visitare, tra cui una scuola media con nuove missioni da affrontare per risolvere altri misteri, nonché un pacchetto di Visitatori supplementari con capacità mai viste prima. Di contro, Akito potrà contare su un set di poteri addizionali che consentono, ad esempio, di contrattaccare una volta bloccato con successo un colpo, oppure di potenziare gli attacchi con particolari scariche elementali che possono infliggere danni aumentati sulle entità particolarmente sensibili. Abbiamo anche a disposizione due ulteriori talismani, Vento di Tengu e Fontana Spirituale, che consentono di lanciare un turbine per raggiungere nuove altezze o una sorgente per riempire le riserve di Etere. La schivata rapida è un’altra abilità integrativa che può essere utilizzata per eludere gli attacchi nemici. L’update viene completato da una modalità foto ampliata e timbri da sovrapporre alle immagini per selfie soprannaturali da capogiro. Interessante anche l’opzione di ridurre l’effetto orrorifico di certe sequenze con un simpatico sticker di Hachiko che nasconde le inquadrature più disturbanti.
Piattaforme: PC, PlayStation 5, Xbox Series X|S
Sviluppatore: Tango Gameworks
Publisher: Bethesda Softworks
Che si tratti di inseguire gli yokai per la città, di dare da mangiare agli Shiba Inu affinché ci conducano ad un gruzzolo nascosto, di leggere i pensieri dei vari gatti che si aggirano per strade e vicoli o di usare la vostra visione spettrale per seguire le tracce degli spiriti, Shibuya rimane un luogo dettagliato e interessante da esplorare anche su Xbox Series. Detto questo, le parti più interessanti di Ghostwire Tokyo restano quelle in cui veniamo teletrasportati in in un altro piano di esistenza, e la fantasia di Kenji Kimura e di Suguru Murakoshi si esprime al massimo in un tripudio di effetti audiovisivi concepiti con il puro e semplice scopo di disorientarci. Il cambiamento quasi istantaneo dell’ambiente ci tiene con il fiato sospeso, e avrei preferito che l’esperienza fosse molto più caratterizzata in tal senso. Resta comunque un esperimento affascinante seppur meno “aperto” del previsto, con ampi margini di miglioramento per gli ipotetici sequel.