Il ragazzo e l'airone

Il Ragazzo e l’Airone Recensione: Il lirico viaggio nel mondo incantato di Miyazaki

Un’esperienza cinematografica intensa ed emozionante, di rara bellezza, segna il ritorno del maestro dell’animazione Hayao Miyazaki che ci regala il suo ultimo strabiliante capolavoro: Il Ragazzo e l’Airone(君たちはどう生きるか Kimitachi wa Dō Ikiru ka  lett. E voi come vivrete?). Il film, prodotto dallo Studio Ghibli, è stato distribuito nelle sale italiane il 1 gennaio 2024 dal Lucky Red. Uscito in Giappone il 14 luglio 2023, nel nostro Bel Paese, è stato precedentemente presentato in anteprima nazionale al Festival del Cinema di Roma, a cui è seguita una proiezione speciale al Lucca Comics il 5 novembre (qui la nostra anteprima in cui parliamo, collateralmente, anche del genio del suo autore). La pellicola è una storia originale ispirata al romanzo omonimo “Kimitachi wa do ikiru da” di Genzaburo Yoshino, nella quale il libro è presente in un cruciale cammeo. Ambientata durante la Seconda guerra mondiale, ha per protagonista Mahito Maki, un ragazzino che rimane orfano di madre, vittima di un catastrofico incendio divampato nell’ospedale in cui è ricoverata. Tempo dopo, mentre il conflitto è ancora in corso, è costretto a trasferirsi nella tenuta in campagna della famiglia materna con il padre Shoichi, ingegnere aeronautico. Nella bucolica dimora lo attendono la sua nuova matrigna Natsuko, sorella della sua defunta genitrice ed incinta del suo futuro fratellastro, a cui fa seguito uno stuolo di anziani domestici. Mahito fatica ad ambientarsi nella nuova casa come a scuola, ma l’incontro con un dispettoso airone cenerino parlante, foriero di sibilline asserzioni, lo conduce alla scoperta di una torre abbandonata nel giardino della tenuta, costruita da un enigmatico prozio. Quando Natsuko sparisce misteriosamente il ragazzo partirà alla ricerca della zia nella vecchia costruzione scoprendo che al suo interno si nasconde un mondo fantastico. In questo universo incantato, abitato di bizzarre creature, il giovane Mahito sarà costretto dagli eventi ad intraprendere un viaggio pericoloso che lo porterà alla scoperta della verità e di sé stesso. Un’odissea impetuosa ed emozionante tra l’ultraterreno e la realtà, ai confini della vita e della morte.

Il Ragazzo e l’Airone

Il Ragazzo e l’Airone: una poliedrica armonia: il tocco magistrale di Miyazaki

Il Ragazzo e l’Airone è un film complesso, ricco di tonalità, il più “nipponico” dell’amato regista. Il linguaggio ed i tempi sono tipici del cinema giapponese, con sequenze in cui l’azione è sublimata alla rappresentazione di riflessioni e sentimenti, nelle quali va ricercata nei dettagli, nei piccoli gesti e nel “movimento” del cuore e della mente dei protagonisti. Bisogna immergersi nell’immagine, nella sua sensorialità, scrutarla ed ascoltarla per poter captare e decodificare il suo significato. Una peculiarità stilistica che, tuttavia, non è esclusiva del cinema orientale, ma sicuramente è meno diffusa e compresa in occidente. Per questa sua caratteristica la pellicola potrebbe risultare ostica per le persone, specie i bambini, non avvezze a questo tipo di comunicazione audiovisiva, le quali potrebbero erroneamente considerarla lenta, noiosa o difficile da comprendere. La sceneggiatura, invero, è scorrevole, ben bilanciata nei tempi, alternando con estremo equilibrio momenti più dinamici, a tratti fortemente adrenalinici, ad altri più rilassati e meditativi. La regia è magistralmente manieristica, ma calibrata, poiché l’eccelsa meticolosità applicata alla forma e alla composizione non sovrasta mai la diegesi, bensì si equilibra con essa. I dialoghi sono essenziali, le parole mai sovrabbondanti, eppure non vi è una sensazione di insufficienza verbale, perché il loro potere evocativo è concentrato ed eloquente. Questo, perché lo stesso silenzio è espressivo ed a suo modo loquace. La trama è avvincente e struggente, un intreccio caleidoscopico capace di coinvolgere emotivamente lo spettatore, incollandolo ininterrottamente al grande schermo per ogni secondo dei 124 minuti del film. I personaggi sono ben strutturati e caratterizzati, ricchi di sfumature e complessità. I protagonisti, in particolare, godono di un interessante realismo psicologico, costruito da una personalità ben definita ed articolata, ma capace di maturare in una crescita individuale coerente con la loro identità. Una profondità pragmatica ben resa nella rappresentazione ed evoluzione dei loro conflitti interiori, in special modo del protagonista Mahito, di cui possiamo apprezzare il comprensibile e lacerante contrasto emotivo tra il rifiuto della sua nuova realtà familiare, resa inaccettabile dal dolore, ancora non pienamente elaborato, della perdita della madre, e l’educazione ricevuta che gli impone il dovere di rispettare ed adeguarsi alle decisioni paterne, alla quale si aggiungono i confusi e non meno contrastanti sentimenti nei confronti della zia/matrigna Natsuko che reconditi s’insinuano gradualmente nel cuore del giovane. Nondimeno, sebbene i personaggi femminili siano comprimari, hanno sempre ruoli rilevanti e un temperamento volitivo, libero e mai sottomesso, ben lontano dagli stereotipi succubi e sessualizzati ancora, purtroppo, largamente diffusi nell’animazione giapponese. Un modello femminile, invece, tipico di Miyazaki, che non a torto viene considerato giust’appunto un cineasta femminista, aspetto che in questo film ben si esplicita, ancora una volta, nei tanti particolari. Nel ragazzo e l’airone, difatti, i dettagli sono fattori fondamentali e dirimenti in ogni suo aspetto, rivelatori dell’incommensurabile e minuziosa ricchezza di questo film, che plausibilmente, in virtù di questa sua caratteristica, richiede di essere visto, attentamente, più volte per poter comprendere completamente l’opera.

Il Ragazzo e l’Airone

Fantasmagorie di ultima generazione: l’armonia tra la tradizione e l’innovazione

Il lungometraggio è un magnificente trionfo dell’animazione, realizzato in tecnica classica (cel animation), con impeccabili disegni dipinti a mano, implementati con elementi in CGI. Spettacolari i fondali, opulenti ed accuratissimi nei particolari, anche sotto il profilo storico. Sapiente l’uso del colore, dalla tavolozza variegata e vivace, spesso componente metafisico ed onirico che ben delinea l’universo fantastico e suggestivo del film, divenendo connessione tra la realtà e la natura. Eccelsa dimostrazione del maniacale controllo formale e della ricercatezza dei dettagli peculiari del maestro dell’animazione giapponese. I disegni dei personaggi, in perfetto stile Ghibli, sono realistici ed espressivi, ognuno con una propria mimica facciale capace di rappresentare il loro carattere e le loro emozioni. Come di consueto per il noto studio nipponico, alcuni comprimari e secondari presentano alcuni tratti somatici un po’ caricaturali, ma tali elementi distintivi non ledono il naturalismo che contraddistingue il film. Una veridicità mantenuta anche con un perfetto bilanciamento dei componenti in CGI, ben armonizzati con la grafica tradizionale, mai preponderanti sulla scena. Altissima qualità anche per le animazioni, notevolmente fluide e naturali, dal dinamismo strabiliante. Sbalorditive, a tal proposito, le sequenze dell’incendio, caratterizzate da una distorsione vorticante magistralmente emozionante, capace di trascendere lo schermo e coinvolgere impetuosa lo spettatore. Una scelta visiva che non si limita ad esprimere lo stato d’animo del protagonista, ma ben rappresenta la percezione sensoriale vertiginosa che si sperimenta durante una situazione di profondo panico o traumatica, ancor più in un ambiente a scarsa visibilità. Una raffinatezza espressiva, di un neorealismo postmoderno, dall’incommensurabile impatto visivo. Il Ragazzo e l’Airone è un film euritmico, in cui le nobili arti dell’illusione ottica e sonora si fondono l’una con l’altra in perfetto equilibrio. A caratterizzare questa armonia contribuisce un aspetto tecnico estremamente interessante, spesso sottovalutato, del comparto audio: i rumori. I suoni dei passi sul pavimento, del materasso del letto di Mahito, l’apertura e la chiusura delle porte o semplicemente i respiri, solo per citarne alcuni, perché la lista è lunghissima. Particolari realistici e curati fin nel minimo dettaglio, dalla definizione acustica superba dell’ultima generazione del Dolby, punteggiano sonoramente l’immagine. La loro finalità non si limita al naturalismo, mistificato, della scena, questi rumori sono a tutti gli effetti un mezzo espressivo dalle molteplici funzioni. Sono elementi materializzanti, in quanto ricostruiscono acusticamente lo spazio rappresentato, che prende così forma, volume e consistenza, oltrepassando i confini dello schermo. Influiscono sulla percezione temporale, già per sua natura suscettibile al suono, vettorializzandola in una precisa cronografia sonora, che modula garbatamente il ritmo delle sequenze. Una drammatizzazione esplicita dei rumori, soprattutto quotidiani, capace di imprimere una forte traccia audiovisiva nella memoria, che richiama il montaggio tonale. Il suono, quindi, diviene veicolo di percezione sensoriale, spesso sinestetica, carica di impliciti significati. L’euritmia del film, tuttavia, non si limita ai rumori. La colonna sonora extradiegetica è composta da Joe Hisaishi, che vanta un lungo sodalizio artistico con Hayao Miyazaki, e si basa su una profonda sinergia tra la musica e l’immagine, che sembra ricreare per traslati il connubio tra i due autori. Ispirata a diversi generi, dal folk giapponese all’opera classica, senza tralasciare rock e jazz, si combina armonicamente alla comparte video, adattando le sue tonalità alle sequenze del film, valorizzandole ed impreziosendole. All’ascolto si alternano parti in cui i componimenti risaltano percepibili nel complesso della scena, esaltandola emozionalmente, ad altri in cui l’accompagnano sommessamente, in modo quasi mimetico, cullandola dolcemente e plasmandone delicatamente l’atmosfera. Dei trentasette brani dell’O.S.T. del Il Ragazzo e l’Airone, pubblicata in Giappone il 9 agosto 2023 dalla Tokuma Japan Communication, una menzione speciale merita la canzone – tema Chikyūgi (lett. globo terrestre)del cantautore nipponico Kenshi Yonezu, che fa da sottofondo ai titoli di coda. Il brano, conosciuto anche con il titolo internazionale Spinning World, è stato composto e scritto sulla base delle indicazioni rilasciate dallo Studio Ghibli e dallo stesso Miyazaki, che ha richiesto espressamente la collaborazione del cantante dopo aver ascoltato il singolo Paprika (パプリカ), realizzato per le Olimpiadi estive di Tokyo ed eseguito dal gruppo corale di bambini Foorin. Chikyūgi è uno splendido compendio, in formato ballata rock, delle tematiche principali trattate nel film. Nelle sue parole ritroviamo quel messaggio di resilienza, alla cui fonte c’è la speranza e la ricerca di una connessione emotiva nei tumulti della vita che caratterizza la crescita personale e la complessità delle relazioni analizzate sotto l’ottica dell’esperienza umana universale. Un omaggio anche profondamente personale, in quanto la superstar del J-pop ha dichiarato in merito, di aver voluto restituire, per mezzo della canzone, ciò che aveva ricevuto da Miyazaki e dai suoi film nel corso dell’infanzia. Eccelso il cast vocale giapponese, che include sia doppiatori già noti per aver lavorato con Miyazaki che professionisti alla prima partecipazione in una pellicola del regista. Le loro voci sono estremamente efficaci nel trasmettere i sentimenti e le intenzioni dei personaggi, aderendo perfettamente alla loro personalità e risultando al contempo un fattore definente. Per quanto concerne il doppiaggio italiano non mi posso ancora esprimere in quanto all’anteprima al Festival del Cinema di Roma, infatti, il film, come da prassi in queste manifestazioni ufficiali, è stato proiettato in lingua originale sottotitolato. A tal proposito, comunque, la Lucky Red ha annunciato che, per gioia dei fan, l’adattamento non è stato affidato a Gualtiero Cannarsi. Al suo posto troviamo Francesco Nicodemo e Roberta Bonuglia responsabili rispettivamente della traduzione in italiano e del suo adattamento, mentre Alessandro Rossi è il direttore del doppiaggio. Il cast vocale, invece, è composto da Giulio Bartolomei nel ruolo di Mahito e Stefano Dori in quello dell’airone, mentre Francesca De Bortoli, Chiara Gioncardi, Lucrezia Maricchi e Gianfranco Miranda sono rispettivamente Natsuko/Hisako, Kiriko, Himi e Soichi, il padre del protagonista.

Il Ragazzo e l’Airone

Ritratto d’autore: un esplorazione introspettiva nel magico mondo di Hayao Miyazaki

Il Ragazzo e l’Airone è una delle opere più personali del maestro dell’animazione giapponese. Trasognata e metafisica, è una metafora della vita in senso universale, ed al contempo personale riflessione del cineasta sulla propria carriera e produzione artistica. Estremamente matura, traboccante di significati e messaggi, si articola come un viaggio nei processi metamorfici dell’esistenza e della psiche umana valorizzato dalla magia, simboli, ed i richiami onirici, di sapore freudiano, che svolgono la duplice funzione di congiunzione narrativa e specchio metonimico della realtà. Gli elementi fantastici e allegorici, infatti, ricorrenti in molte pellicole di Miyazaki, non sono mai solo un vezzo stilistico dell’immensa ed affascinante immaginazione del regista, ma sono utilizzati come espressioni figurate per approfondire i contenuti del film. Il tema cardine è la crescita personale, mentale e spirituale, atta a prendere coscienza di sé e delle proprie responsabilità verso sé stessi, gli altri ed il mondo. Una maturità inevitabilmente connessa ai rapporti sociali ed alle relazioni interpersonali, aspetto che nel film viene esplicitato esplorando in modo accurato e soave i temi dell’amicizia e dei legami familiari. Concetti filosofici condivisi con il romanzo di formazione E voi come vivrete? di Genzaburo Yoshino, molto caro a Miyazaki, che ha ispirato la realizzazione del lungometraggio ed è esso stesso presente come oggetto materiale nel film con un ruolo tanto breve, quanto rilevante e decisivo. La stessa natura biforme del libro, configurata nella pellicola in questa duplice essenza e fenomenologia, ne incrementa il valore simbolico. L’argomento, infatti, è già stato trattato anche dall’amato regista nipponico, come in Kiki – Consegne a domicilio(魔女の宅急便 – Majo no takkyūbin, 1989) o Ponyo sulla scogliera(崖の上のポニョ – Gake no ue no Ponyo, 2008), ma in questa pellicola assurge ad un’introspezione più oscura e sofferta. Divenire adulti si concretizza in un percorso impervio nel quale inevitabilmente è necessario rapportarsi ed accettare uno degli aspetti più amari, ma drammaticamente certo della vita: la morte. La comprensione della sua fondamentale dicotomia con la vita stessa e l’elaborazione del lutto divengono il principio del processo di maturazione personale del protagonista, in quanto il confronto con il dolore permette di sviluppare la resilienza necessaria per comprendere ed affrontare l’esistenza, per superare i conflitti e le sofferenze. L’approfondimento, tuttavia, non si limita all’introspezione della crescita personale in rapporto al singolo individuo, bensì si estende anche in merito alle responsabilità nei confronti del prossimo e del pianeta in quanto ecosistema. Si concentra, in particolare, sulla consapevolezza del proprio ruolo nel mondo e sull’onere di contribuire fattivamente alla costruzione di un mondo pacifico. A tal fine, come sott’inteso da Miyazaki, è necessaria una presa di coscienza profonda, che solo una certa maturità personale e lo sviluppo delle attribuzioni positive dell’empatia possono permettere. Incombenza, che tuttavia, non deve essere assunta totalmente da un singolo, ma è compito di tutta la collettività. Il film, di conseguenza, verte su altre due tematiche, ineluttabilmente connesse: l’ambientalismo ed il pacifismo. Argomenti molto cari e ricorrenti, quasi onnipresenti, nella produzione regista, il quale nel Il Ragazzo e l’Airone ribadisce ancora una volta la sua ferma condanna dell’antropica distruzione dell’ambiente e dei conflitti bellici. Nella sua visione, da alcuni ingiustamente considerata utopistica, il rapporto tanto tra l’uomo e la natura quanto fra i singoli esseri umani deve essere fondato sul principio di un profondo rispetto e sull’armonia. Un equilibrio, precario, alterato tragicamente dall’avidità, sanabile solo attraverso la riconciliazione. La distinzione tra bene e male, difatti, è da sempre considerata e rappresentata dallo stesso Miyazaki come un qualcosa di sfumato, che richiede di essere sempre contestualizzato, in quanto oramai, nel nostro tempo così complesso, una ripartizione definita è anacronistica. Diviene quindi fondamentale, per il maestro, sviluppare una coscienza ecologica e sociale, che permetta di ottemperare le giuste scelte ogniqualvolta necessario, mantenendo l’umiltà di ammettere e redimere i propri errori. Ci illustra, nuovamente, gli effetti nefasti dell’annientamento dell’ecosistema, sia materiale che spirituale, sollecitandoci a valorizzare la vita in tutta la sua polimorfia. Analogamente, la guerra, che costituisce il contesto storico della narrazione, oltre ad essere un rimando all’infanzia del regista, è una scelta estetica ponderata, che cela e denuncia i suoi drammatici esiti. Una devastazione le cui vittime, indipendentemente dallo schieramento, sono per la maggioranza persone, spesso bambini, innocenti, due volte martiri: del nemico di turno e dei loro stessi governi, che burattinai, plasmano le sorti dei cittadini, così costretti ad espiare colpe non proprie. Opinioni fortemente influenzate dalle idee politiche di Miyazaki, improntate sul socialismo, e dallo Shintoismo, la religione giapponese fondata sulla concezione che l’anima risieda anche negli oggetti inanimati, come le pietre. Rocce, che, non casualmente, ritroviamo nel film in forma di piccoli sassi, arcani mattoni costituitivi dell’universo ultraterreno e non solo. Il film presenta, quindi, un’architettura complessa, articolata in diversi livelli, abilmente intrecciati, nei quali si sviluppano sinergici i vari piani tematici arricchiti dai numerosi riferimenti culturali ed autobiografici, disseminati sapientemente nel film. Dal folklore giapponese, onnipresente nei lungometraggi del regista, alla citazione dantesca -fecemi la divina potestate, parte dell’iscrizione sulla porta dell’Inferno nella Divina Commedia – nel film incisa, profetica, all’ingresso del corridoio che permette di accedere nei meandri interni della torre, valico di quel mondo fantastico che risuona come un aulico oltretomba in cui Mahito affronta il suo dolente viaggio. Un universo parallelo ed ultraterreno che richiama Alice nel paese delle meraviglie di Leewis Carrol , ma anche ai romanzi, molto amati da Miyazaki, Il libro delle cose perdute di John Connolly e La torre spettrale di Ranpo Edogawa, che, peraltro, sono stati fonte d’ispirazione per la sceneggiatura del Il Ragazzo e l’Airone. Molti dei riferimenti, tuttavia, sono di natura autobiografica e anch’essi già ricorrenti nelle opere di Miyazaki. La storia, l’infanzia ed i rapporti familiari del regista risuonano garbati ed inequivocabili. Spiccano, in particolare, la sua passione per il volo e gli aerei, ereditata dal padre, ingegnere aeronautico proprio come il babbo di Mahito, nonché l’importanza della figura materna, del suo ruolo e del dolore causato dalla sua assenza, legato verosimilmente alla sofferta esperienza nell’infanzia di Miyazaki con la malattia della madre. L’elenco, tuttavia, è più lungo ed articolato, aspetto che solo un’analisi più approfondita può delineare in modo esaustivo. In questo film, difatti, Hayao Miyazaki, l’uomo e il cineasta dell’animazione, è intriso, profondamente imperniato, all’interno di questa pellicola. La sua presenza la ritroviamo esplicita nei personaggi, soprattutto nel protagonista Mahito e nel suo avo demiurgo, ma arcana s’irradia, intrinseca e radicata, in tutta l’opera, sia a livello compositivo che contenutistico. Si viene così a creare uno spettacolare sistema di prismi in cui l’autore rifrange sé stesso, la sua produzione cinematografica ed il suo rapporto con il mondo, creando molteplici connessioni che intersecano il passato, il presente ed il futuro del regista. Una coesistenza di piani temporali che, sibillina, ritroviamo, non a caso, all’interno del mondo della torre. Un meccanismo intricato ed enigmatico, ricchissimo di piccoli, ma essenziali ingranaggi, che ben rappresenta la complessità di questo film, ma anche il profondo vincolo sentimentale che lo lega al suo autore. Sebbene ogni lungometraggio di Miyazaki sia, a suo modo, molto personale e ricco di richiami autobiografici, Il Ragazzo e l’Airone si configura su un piano diverso, più intimo ed autoriflessivo, superando anche il precedente Si alza il vento(風立ちぬ – Kaze tachinu, 2013). Una scelta stilistica ponderata e desiderata, in quanto questa pellicola è stata ideata e designata da Miyazaki per essere il suo testamento artistico. Dedicato all’amato nipotino, il figlio di Goro, anche lui cineasta, nonché agli artisti del futuro è il retaggio audiovisivo privato ed universale del genio dell’animazione giapponese, che, peraltro, si lega indissolubilmente al concetto di ereditarietà trattato nel film. Un fattore indubbiamente dirimente, che va opportunamente vagliato e contestualizzato nell’analisi filmica e critica di questa pellicola. E poi c’è l’amore. Sentimento proteiforme onnipresente nei film di Miyazaki, puro e profondo, dal potere redentore. Mai banalizzato da romanticismi stucchevoli, non di rado quasi sottinteso, espresso delicatamente da gesti e dettagli Il Ragazzo e l’Airone non fa eccezione, tuttavia colpisce ed appare lapalissiano un altro aspetto di questo sfaccettato e complesso affetto: l’amore del genio dell’animazione giapponese per il suo lavoro. Se nelle altre pellicole ritroviamo la sua devozione nella cura e nello zelo con cui ha sempre realizzato le sue opere, in quest’ultimo film raggiunge un livello superiore, esplicitato lampante, ma dolcemente impetuoso non solo dalla poliedrica presenza del cineasta nel film, ma soprattutto nei tanti particolari della narrazione e della composizione audiovisiva, che forgiano trascendentemente la sua essenza di testamento artistico. Nondimeno il fatto che Il Ragazzo e l’Airone sia dedicato all’amato nipote è un aspetto che inevitabilmente amplifica la portata e la potenza di questo profondo amore e del suo lascito. Un sentimento travolgente ed irrinunciabile, come dimostrano le continue revoche dei suoi ritiri, sempre, fortunatamente per noi, disattesi.  Una passione che come il fuoco di Himi è un potere salvifico, il suo dono per gli altri, ma al contempo ciò che lo accompagnerà alla morte, in modo consapevole e serenamente accettato, perché continuare a creare lungometraggi d’animazione è ciò che ama, il suo modo per rapportarsi a questo mondo. Proprio per questo Il Ragazzo e l’Airone non sarà, salvo spiacevoli imprevisti, il suo ultimo film. Il regista sta già lavorando ad un nuovo progetto, che probabilmente richiederà anni di lavorazione, come è stato per quest’ultima pellicola, perché comprensibilmente la sua veneranda età influisce sui tempi di realizzazione, ma la sua passione è una fiamma intensa e inestinguibile.

Il Ragazzo è l’Airone è un capolavoro della cinematografia, complesso, opulento nell’estetica e nei dettagli, straripante di significati e messaggi. Una ricchezza poliedrica di non facile lettura, ma profondamente emozionante e travolgente. Un viaggio sublime nel mondo immaginifico e più intimo di Hayao Miyazaki, il genio cineasta giapponese che con la sua eccelsa maestria combina e trascende realtà e magia, ci proietta nell’inconscio onirico attraverso caleidoscopici giochi di sguardi e simbolismi ci mostra la sua personale visione del mondo e della società. Un film che è il suo testamento artistico, dedicato esplicitamente all’amato nipotino ed agli artisti del futuro, nel quale Summa Cum Laude, condensa e custodisce la carriera e le riflessioni di una vita dedicata amorevolmente all’animazione, consacrandolo ancora un volta nell’olimpo dei grandi maestri del cinema. Una meravigliosa poesia epica sull’esistenza in formato audiovisivo.