Skull and Bones rimarrà sempre nella storia come uno dei titoli più travagliati (e rimandati) delle ultime generazioni. Annunciato nell’ormai lontanissimo 2017, il titolo che ha nelle intenzioni il desiderio di trascinare con forza tutta quella parte spettacolare e affascinante vista in Assassin’s Creed III, Rogue e soprattutto Black Flag, Skull and Bones è arrivato finalmente sul mercato, con grande curiosità e tanti timori da parte sia dei giocatori sia degli addetti ai lavori. Del resto, una simile produzione aveva un peso ingombrante già nel periodo in cui avrebbe dovuto debuttare originariamente e, chiaramente, con il passare degli anni e con i continui rinvii, che hanno proprio suggellato in maniera inequivocabile le difficoltà in seno al suo sviluppo, hanno reso le cose ancor più difficili. È proprio questo uno degli aspetti più importanti da tenere a mente nella valutazione dell’opera: Skull and Bones ci ha dato la sensazione di non aver compreso che fuori il mondo è andato avanti, un po’ come Steve Rogers quando si sveglia dopo i quasi 70 anni passati in criòstasi. Morale della favola? Skull and Bones non ci è sembrato un brutto gioco, ma crediamo che sia evidentemente arretrato nel concept e che sembra sorreggersi su una struttura ludica troppo fragile, un po’ come una delle bellissime navi che è possibile modellare nel gioco e che, con qualche colpo nemico di troppo può paurosamente finire sul fondo dell’oceano, in pochi minuti.
Skull and Bones: io diventerò il re dei pirati!
Vogliamo essere sinceri: l’impianto narrativo di Skull and Bones, nel suo essere squisitamente di contorno, non ci ha nemmeno deluso più di tanto. Forse sì, ci aspettavamo di peggio, abbiamo dato per scontato che ci fossimo trovati sin da subito in un agglomerato di situazioni pensate unicamente per spiattellare davanti al giocatore le diramazioni del gameplay e, per quanto non ci siamo andati nemmeno poi così tanto lontani, il risultato finale è stato più vincente di quanto ci saremmo immaginati e grande parte del merito è dovuto al character design e al fascino del setting di riferimento. L’oceano indiano della fine del 1600 è il teatro di sanguinose battaglie navali, di tronfie flotte colorate e potenti e di spietati sciacalli dei mari, ma anche di gentiluomini per cui l’onore e il codice morale è tutto e Skull and Bones riesce a portare sullo schermo un po’ tutto questo, tra però non poche difficoltà e tanti svarioni in termini di scelte narrative e di coerenza strutturale. La trama di Skull and Bones, per intenderci, non è esattamente delle più originali e non ha un peso specifico di rilievo, ma è proprio per questo che ci ha saputo restituire una buona sensazione di fondo e ci ha aiutato a sentirci parte di un qualcosa che vada oltre il semplice frantumare navi e cercare di farsi un nome nel firmamento dei corsari più illustri della storia.
L’evoluzione della storia porta il protagonista, rigorosamente muto e con poche possibilità di personalizzazione estetica che non sia quella relativa all’enorme vestiario, a rialzarsi dopo una rovinosa caduta, a cercare di farsi strada partendo da zero, cercando tenere sempre e comunque a mentre che la strada per il successo è lunga e ricca di pericoli. Anche per questo motivo ci ha fatto storcere il naso il poco carattere del protagonista, che si percepisce anche nella sterilità delle risposte multiple con cui è possibile interagire con il prossimo, che non sembrano avere mai alcuna capacità di alterare in qualche modo la linea dei dialoghi e, soprattutto, la personalità del proprio alter ego. È un peccato perché, forse, ci si poteva giocare meglio questa carta, ma volendo essere obiettivi e tremendamente critici, ci sentiamo di avvertirvi subito che i veri problemi di Skull and Bones non sono questi, ma rappresentano un pezzo molto più grosso della produzione e vanno a invadere, in primi, proprio l’aspetto più delicato del pacchetto: la struttura ludica.
Un mondo (noioso) di cose da fare
Il primo, grande, problema di Skull and Bones è che prende un po’ troppo sul serio il suo voler strizzare gli occhi agli MMO particolarmente in voga a cavallo tra i 2008 e il 2015 e risulta, oggettivamente, un po’ il paradiso delle fetch quest. A portare avanti la bandiera di questa dicitura ci pensa già il concetto di quantità, che in Skull and Bones si accartoccia su sé stesso fino a sfociare nel proverbiale “troppo che storpia”. Tra missioni principali, contratti, taglie, missioni di recupero e via dicendo, il quantitativo di cose da fare vi invaderà la vista sin dalle primissime ore, subito dopo aver superato quella sorta di momento “tutorial” un po’ eccessivo e noioso della prima parte del gioco. Il problema è che a livello ludico, Skull and Bones offre veramente troppo poco, non ha varietà negli approcci e nelle situazioni pratiche, anche perché è totalmente sprovvisto di azioni eseguibili sulla terra ferma, una scelta che, ovviamente rende tutto più spettacolare nelle idee ma incredibilmente tedioso e ripetitivo all’atto pratico. Durante l’esperienza di gioco, vi verrà chiesto, fondamentalmente, di andare da un punto all’altro della gigantesca mappa e completare un determinato obiettivo che consiste quasi sempre nel distruggere una nave nemica, intercettare un carico (e poi distruggere la nave nemica!) e recuperare dei terminati oggetti e mappe del tesoro.
Non fraintendete, prese singolarmente, per quanto vecchie, alcune di queste dinamiche potrebbero anche funzionare, ma messe tutte insieme rendono veramente tutto troppo lento, pesante e ridondante. Ed è un vero peccato, perché le battaglie sono stimolanti e divertenti, ma come vi abbiamo già detto poc’anzi, la sensazione di fondo è che ci sia stata troppa confusione nel creare un ecosistema ludico funzionante. Per farla breve, alcuni, anche troppi, elementi vanno a spezzare troppo il già problematico ritmo di fondo, e spesso e volentieri sono rappresentati da fattori importanti nell’economia del gioco. Ci viene da pensare ai viaggi rapidi, eseguibili soltanto dopo aver sbloccato un determinato avamposto (o città) e averlo raggiunto fisicamente e alle sezioni di farming, che si palesano come dei mini-giochi di scarso appeal che servono veramente a ben poco, se non a rendere tutto ancor più piatto e scarico di idee di quanto non sia già. Anche l’assenza delle interazioni “umane” è veramente discutibile. Spesso e volentieri si avvertono i doverosi paragoni con Black Flag, ma in realtà, sotto questo aspetto, Skull and Bones ne rappresenta anche un passo indietro. Se ben ricordate, in Black Flag era possibile decidere di abbordare una nave e attaccarla dall’interno, cosa che qui scompare del tutto, lasciando spazio a delle piccolissime sequenze che mostrano i pirati della ciurma iniziare a lanciare le corde per raggiungere la nave nemica per poi lasciare spazio a delle veloci transizioni che riportano il giocatore alla solita visuale sulla nave. E non ci stanchiamo di sottolineare quanto tutte queste scelte siano alquanto discutibili, perché, poi, una volta in mare il gioco sa divertire e, anzi, sa quasi risultare ipnotico, come pochi altri.
Battaglie navali sul divano
Iniziamo a parlare delle cose positive: quanto è divertente combattere in Skull and Bones? Nella sua semplicità, perché il titolo si mostra a dir poco di stampo “arcade” nella sua concezione, in maniera lapalissiana, Skull and Bones riesce a risultare allo stesso tempo divertente e appagante, come pochi altri prodotti attualmente in circolazione. Distruggere le navi nemiche, scontrarsi con un’IA a dire la verità molto aggressiva a e discretamente intelligente, è veramente eccitante e stimolante, soprattutto si prende parte a quelli incarichi un po’ più avanzati, di cui non vogliamo anticiparvi più di tanto, che rendono l’attenzione e il focus sugli scontri decisamente necessario per portare a casa la pelle. Il sistema che muove le battaglie navali e in generale le navi in sé, è molto semplicistico, ma comunque funziona. Leviamoci subito ogni dubbio: Skull and Bones è un gioco molto arcade sotto questo profilo, e non lo nasconde. Muovere la nave si basa tutto sulla pressione di pochi tasti, pensati per aumentare la velocità, per rallentare e per attraccare e anche il loot è molto veloce e si basa sulla semplice pressione di un tasto. Questo sistema molto veloce può in qualche modo deludere i più esigenti, giacché anche elementi come la gestione del meteo e del vento è molto approssimativa, ma nel complesso dobbiamo ammettere che proprio questo è uno degli aspetti più riusciti della produzione, che si leva di dosso ogni possibile segno di velleità particolari e si mostra per quel che è: immediato, fresco e molto divertente.
Le buone notizie, però, sono destinate a scontrarsi con qualche altro piccola incertezza. Ci ha deluso non poco la gestione del multigiocatore online e, per quanto gli sviluppatori hanno promesso tanti aggiornamenti ed eventi continui in futuro, con tutte le nuove season e via dicendo, è impossibile non notate quanto alcune cose funzionino davvero male. In primis, ci saremmo aspettati un’interazione maggiore con le navi degli altri giocatori, che sono anche numeroso e frequenti, inserite in un sistema di matchmaking automatico (il gioco è always-online), ma che, in sostanza, non ci si può far nulla se non limitarsi a qualche piccolo aiuto nella saccheggiare un determinato avamposto o partecipare a uno degli eventi a tema che spawnano nella mappa in maniera casuale. Il comparto multigiocatore di Skull and Bones si ferma più o meno qui, anche perché se pensate di poter liberamente scorrazzare per i mari a saccheggiare i malcapitati di turno, ci rimarrete altrettanto male. Il PvP del titolo piratesco di Ubisoft è praticamente assente, è circoscritto a poche zone specifiche e a momenti predeterminati e non è assolutamente libero come si si poteva immaginare in partenza. Ubisoft comunque ha promesso l’arrivo di tanti eventi e un supporto continuo durante i prossimi mesi e, magari, qualcosa potrebbe anche cambiare, ma dovendo e volendo valutare il tutto con il materiale in nostro possesso attualmente, beh, il bilancio totale non è può dirsi esattamente in positivo.
Lo spettacolo del mare fa sempre una profonda impressione
Sotto il profilo tecnico e artistico, Skull and Bones riesce a funzionare soltanto a metà, ed è un gran peccato. Se da un lato è impossibile non apprezzare la grande cura per la personalizzazione delle navi e del vestiario del futuro re dei pirati e della sua ciurma, dall’altro è altrettanto lapalissiano tutto il discorso fatto in apertura sul lungo e travagliato percorso di sviluppo che il gioco si porta dietro, iniziato ormai ben sette anni fa e in una generazione di console antecedente a quella attuale. Il nuovo titolo di punta di Ubisoft non fa gridare al miracolo, anzi, è un prodotto piuttosto acerbo sul piano tecnico e lo si capisce sin dai primissimi istanti, soprattutto quando si scende dalla prima imbarcazione e si tocca la terra ferma. È fondamentale sottolinearlo perché, se in mare aperto il colpo d’occhio si riesce a difendere in maniera più dignitosa, i problemi tecnici si palesano in maniera inequivocabile una volta che si osservano i modelli umani, gli interni e in generale tutta l’effettistica che ruota intorno alla produzione. Va inoltre specificato che il gioco offre una doppia modalità grafica: prestazione e qualità. Noi abbiamo optato senza pensarci troppo sulla prima delle due, anche perché la pulizia e la resa grafica non è aumentata poi più di tanto con il preset dedicato alla grafica, che rimane comunque per diversi aspetti troppo “sporca” e poco rifinita.
I corpi dei personaggi sono realizzati con molta sufficienza, così come le animazioni e la resa sul “campo” dei pirati è molto blanda, a partire dalla scelta dell’avatar che già di per sé si dimostra scarna e poco profonda, in un editor di creazione dei personaggi limitato all’osso. Il gioco di Ubisoft non si nasconde e palesa tutta la sua “vecchiaia” anche sul piano dell’effettistica. I riflessi di luce sono molto superficiali e le ambientazioni, intese come le città principali in cui fermarsi a riposare e a prendere nuovi contratti, sono spesso molto simili tra loro e povere di fascino o di particolari guizzi creativi. Il discorso, come vi abbiamo detto poc’anzi, cambia quando si valuta il tutto quando si trova in mare aperto, in cui ogni cosa sembra improvvisamente migliorare e vivere di una seconda giovinezza, ma considerando la caratura del progetto, onestamente ci saremmo aspettati qualcosina in più. Quello che ci ha invece colpito è il comparto sonoro. I canti marineschi intonati dai pirati e le melodie, sia quelle ballate d’altri tempi che si avvertono durante le traversate o quei pezzi più energici pensati e “moderni”, pensati per accompagnare le battaglie più spettacolari, sono a dir poco maestosi e riescono a dare un senso di immersione clamoroso. Ottimo è anche il doppiaggio, disponibile soltanto in lingua inglese. Accenti, gestualità, timbro vocale: i personaggi, sia quelli principali (ce ne sono alcuni veramente clamorosi) sia quelli meno centrali nella storia sono stati doppiati e interpretati a dovere, e sembrano giurare amore alla produzione in tutti i modi possibili.
Piattaforme: PS4, PS5, PC, Xbox One, Xbox Series
Publisher: Ubisoft
Sviluppatore: Ubisoft Singapore
Skull and Bones è un prodotto dalla doppia faccia, e per tal motivo è veramente difficile da valutare. Da un lato troviamo un prodotto fortemente arretrato sotto il comparto delle soluzioni ludiche e dal punto di vista tecnico, ma dall’altro lato non possiamo non ammettere quanto sia dannatamente divertente e appagante una volta che ci si lanci nel mare aperto, alla ricerca di tesori e navi da distruggere. È un peccato perché, dal nostro punto di vista, il titolo poteva e doveva dare molto di più, soprattutto sotto il profilo di un’offerta ludica conservativa e per troppi aspetti arretrata e superata, che non riesce ad accompagnare degnamente il giocatore lungo un percorso che potrebbe risultare più breve e meno epico di quanto ci si poteva immaginare ai nastri di partenza. Trattandosi di un GaaS, ci aspettiamo comunque l’arrivo di ulteriori contenuti e meccaniche di gioco pronte a dare longevità al titolo e a “pescare” sempre nuovi giocatori.
