Quante storie ci ha raccontato Ken Loach, il regista inglese che tranquillamente si dichiara comunista, storie dolorose e drammatiche, storie di umili e prepotenti, di oppressi e oppressori, di…
Cast: Steve Evets, Eric Cantona
Distribuzione: BIM
Voto: 80
Quante storie ci ha raccontato Ken Loach, il regista inglese che tranquillamente si dichiara comunista, storie dolorose e drammatiche, storie di umili e prepotenti, di oppressi e oppressori, di amare sconfitte e difficili rivalse, nelle quali spesso i più deboli soccombevano alle regole spietate di un potere che li schiacciava con indifferenza. In fondo anche Il mio amico Eric è la storia di una rivincita, della ribellione di un singolo svantaggiato contro una congiura di più potenti, ma per una volta raccontata con tenero, surreale humor, con un senso di pietas per la quale ogni tanto i cattivi non possono, non devono vincere. E come può accadere un simile miracolo? Ma grazie all’intervento di un vero dio in terra, Eric Cantona, il mitico calciatore che negli anni ’90 ha portato alla vittoria il Manchester United, i cosiddettii Red Devils, caduto in disgrazia per il suo atteggiamento anticonformista e impulsivo, in ritiro dall’ambiente dal 1997.
La storia parte da un anti-eroe totale, l’omonimo Eric, un umile postino massacrato dalla vita, un uomo che si è gradualmente isolato da tutti gli affetti rimasti, anche dagli amici e colleghi che pure si preoccupano per lui. Vive in una modesta casetta con i due figliastri che la seconda moglie gli ha scaricato prima di sparire, che lo considerano una nullità da sfruttare per l’accudimento e l’abitazione. Ha faticosi rapporti con la figlia, precoce ragazza madre che lo ha già reso nonno, avuta dalla prima moglie amatissima ma perduta ormai da trent’anni per un malinteso, con la quale non osa tentare nemmeno un tardivo chiarimento. Depresso a rischio suicidio, impotente, vive nell’apatia, pieno di rabbia e disperazione repressa. Ma quando sta per toccare il fondo, come un genio della lampada, nella sua cameretta davanti ai suoi occhi annebbiati dal fumo di una canna, si materializza Lui, Eric Cantona, idolatrato da Eric e dai suoi amici postini, oltre che dalla cittadina intera, col suo colletto alzato e sulle labbra il solito sorriso sicuro di sè. Iniziano così lunghe conversazioni, durante le quali l’Eric postino finalmente si sfoga, sottoponendo il fallimento della sua vita all’acuto giudizio dell’Eric calciatore, che come un life coach, un valido “motivatore”, nel suo buffo linguaggio condito di francesismi distilla utili perle di saggezza che infondono calore e coraggio nel cuore d’inverno del pover’uomo, aiutati entrambi da diverse canne e qualche bottiglia di buon vino.
Divertente e divertita la performance del calciatore, che con autoironia si rifà il verso, esprimendosi per aforismi, con perle di saggezza misticheggianti, come era uso fare durante le conferenze stampa. Fermarsi a guardare i titoli di coda, perché così finalmente sapremo cosa intendeva dire Cantona, col suo famoso “apologo” sui gabbiani. Nei dialoghi echeggia anche un atto di accusa contro il capitalismo finanziario che, a detta del calciatore ed anche del regista è responsabile di aver rovinato lo sport del pallone. Anche se il film è una commedia sorridente (ma, dice Loach, “una commedia non è che una tragedia con l’happy end”), senza denunce politiche insistite (anche se il degrado sociale fa capolino nella situazione dei due figliastri di Eric), nel finale l’impostazione intellettuale di Ken Loach fa capolino con quel messaggio dichiarato che solo “uniti si vince”, da non dimenticare mai…