Remothered Broken Porcelain Recensione: l’orrore in frantumi

Remothered Broken Porcelain

Remothered Broken Porcelain è l’atteso seguito del primo Remothered, sottotitolato Tormented Fathers, che vide la luce all’alba del 2018 (qualche mese prima in realtà, contando anche il periodo di accesso anticipato su Steam) dopo una gestazione quasi decennale: frutto di un accordo tra le italianissime Stormind Games e Darril Arts di Chris Darril, nome d’arte di Mario Christopher Darril Valenti, questo survival horror in terza persona nasce dalle esperienze personali dell’autore, che ha studiato in una scuola cattolica gestita da suore, e dalle opere audiovisive che ne hanno influenzato lo sviluppo, dal cinema di David Lynch, Roman Polanski, Dario Argento e Alfred Hitchcock ai classici del genere più rinomati come Silent Hill, Rule of Rose e in particolare Clock Tower, nei confronti del quale Chris ha sempre nutrito profondo amore e rispetto. Tale passione lo porta quindi a confezionare un progetto personale ispirato proprio al Clock Tower pubblicato su Super Famicom nel 1995, le cui varie metamorfosi catturarono l’interesse del suo autore, Hifumi Kono, tanto da spingerlo a coinvolgere il designer catanese nel sequel spirituale, quello sfortunato Project Scissors: NightCry che non riuscì purtroppo a replicare le medesime atmosfere dell’originale. Dopo aver seguito a vario titolo altre produzioni videoludiche, torniamo dunque all’esordio di Remothered Tormented Fathers che, malgrado un comparto tecnico non proprio ineccepibile, ha segnato un apprezzabile ritorno del genere per quanti, come me, rimpiangevano l’epoca d’oro in cui il tempo videoludico era spartito fra colline silenziose e mali residenti.

Il primo titolo ha segnato dunque un precedente significativo, soprattutto nel panorama dell’intrattenimento digitale italiano, e il piccolo ma consistente drappello di appassionati che è riuscito a radunare intorno al proprio falò ha chiesto a gran voce di conoscere l’evoluzione delle vicissitudini narrate, piene di continui e articolati colpi di scena, che di sicuro rappresentavano uno dei punti di forza migliori dell’intera produzione: ebbene, alcuni giorni fa Darril e il suo team hanno finalmente rilasciato il secondo capitolo di quella che è stata originariamente concepita come una trilogia, dopo un ritardo di una manciata di mesi dovuto all’emergenza sanitaria in corso ma in anticipo di qualche giorno rispetto all’uscita prevista per fine ottobre, giusto in tempo per Halloween. La storia di Remothered Broken Porcelain è direttamente collegata agli eventi di Tormented Fathers e si svolge in un imponente ma sperduto albergo alle pendici dell’Etna, l’Ashmann Inn, che non tenta affatto di nascondere i suoi espliciti riferimenti al ben più celebre Overlook Hotel scaturito dalla penna di Stephen King, e ci cala inizialmente nei panni della giovane Jennifer (il cui nome dovrebbe far scattare più di un campanello a quanti si sono già cimentati con il predecessore) che, ingaggiata come cameriera presso la locanda dopo essere stata espulsa dall’Istituto Femminile Flemmington, si troverà coinvolta nei morbosi segreti della famiglia Ashmann e in quelli dei suoi stessi trascorsi. Memore dell’esordio abbastanza zoppicante di Tormented Fathers, che richiese diversi aggiornamenti correttivi per raggiungere una certa stabilità, la notizia del rilascio (leggermente) anticipato di Broken Porcelain mi aveva lasciato interdetto ma, fiducioso nelle potenziali rifiniture apportate durante i mesi estivi (la finestra di lancio iniziale era infatti maggio 2020), ho comunque deciso di approcciarmi al nuovo capitolo della serie con un rinnovato barlume di fiducia, sperando che non venisse estinto durante le mie sessioni.

Remothered Broken Porcelain

Remothered Broken Porcelain: dimentica, dimentica per sempre!

L’odissea di Jennifer si apre in medias res, con la nostra eroina che fugge da un misterioso assalitore inveendo contro dei non meglio precisati “mostri”: proposito della scena è quello di instillare un senso di angoscia e oppressione nel giocatore, che in teoria non può far altro se non tentare di guadagnare qualche istante di libertà prima che questa implacabile sagoma umanoide si avventi sul suo alter ego… in pratica, però, è possibile individuare uno schema di movimento che ci permette di circumnavigare il povero stalker per un tempo indefinito, o almeno finché non decideremo di arrenderci per portare avanti la narrazione. Il mio barlume si era già ridotto ad un lumicino. Dopo la concitata introduzione, il racconto salta lungo la linea temporale per mostrare l’inizio delle disavventure di Jen che, a discapito del suo carattere ribelle, svolge in maniera tutto sommato ordinaria le mansioni domestiche cui viene assegnata, fino al giorno in cui l’austera governante la aggredisce facendole capire che la locanda è in realtà una prigione dalla quale deve evadere a tutti i costi. Senza fare troppi spoiler, al centro delle vicende c’è un farmaco sperimentale chiamato Phenoxyl, utilizzato per trattare i disturbi da stress post-traumatico dei veterani di guerra ma i cui effetti collaterali si rivelano assai più pericolosi del previsto, facendo precipitare chi lo assume in uno stato di follia omicida, e la protagonista si ritrova in qualche modo collegata alle origini dello stesso: il dipanarsi delle circostanze si articola fra presente e passato, intersecando sezioni di gameplay con cut-scene non interattive che ammassano informazioni e concetti non sempre chiarissimi nell’immediato, mirati a costruire un effetto sorpresa grazie alle successive rivelazioni che però non sempre riesce a centrare l’obiettivo e, anzi, spesso confonde ancor più le idee allo spettatore. In conseguenza, il senso di empatia con Jennifer non sale mai oltre un certo livello e non mi ha fatto affezionare a lei quanto avrei dovuto, ma devo ammettere che alcune svolte narrative riescono ogni tanto ad emergere dall’oceano disordinato di intermezzi troppo rapidi e dialoghi troncati a metà.

Il principio del mio vagabondare per le sale e i corridoi dell’Ashmann Inn in Remothered Broken Porcelain è stato probabilmente il lato migliore dell’intera esperienza: a livello architetturale, il gargantuesco e fatiscente edificio richiama i fasti di un’epoca ormai scomparsa, dimenticata sotto una coltre di polvere e penombra, ma il cui lascito è ancora tangibile attraverso la moltitudine di indizi e dettagli che trapelano fra le texture ben curate. Dopodiché, sono stato costretto a fronteggiare il primo stalker del gioco, e le cose sono dolorosamente precipitate: benché lo stile di queste sezioni ricalchi il familiare “nascondino” ormai rodato più volte nei numerosi Clock Tower o nel meno blasonato ma assolutamente meritevole Haunting Ground, nei quali è necessario sfuggire un certo numero di volte agli inseguitori prima di affrontarli un’ultima volta in campo aperto, l’incredibile assortimento di magagne tecniche e visive trasforma il senso di orrore e impotenza in una tragica sequela di tentativi tragicomici per raggiungere uno degli obiettivi imposti dal copione, destinati a venire ostruiti da un’intelligenza artificiale aleatoria capace di spaziare dall’ottusità più totale ad un misto dei sensi di ragno di Spider-Man uniti alla vista a raggi X di Superman, che permettono agli avversari di turno di individuarci anche attraverso pareti e oggetti solidi al minimo rumore e piombare su di noi in un attimo per porre fine alle nostre sofferenze. Questo sempre che non restino incastrati in un pezzo di mobilio o, ancora peggio, nel punto che dovremmo raggiungere per superare il livello, rendendolo di fatto inaccessibile. Jennifer ha anche la facoltà di colpire alle spalle gli aggressori, ma è difficile che l’azione sortisca qualsivoglia effetto che non sia quello di farci ricominciare dal checkpoint più vicino: l’unico modo per sconfiggerli è quello di superare le battaglie scriptate faccia a faccia che, se possibile, presentano ancor più problemi delle fasi stealth soprattutto a causa dei movimenti e dei controlli poco precisi, perciò il consiglio che posso darvi è quello di essere il più scorretti possibile e approfittare di eventuali glitch nel comportamento dei boss per annientarli senza pietà. Come si suol dire, a mali estremi…

Remothered Broken Porcelain

Pensavo di conoscerti, ma mi sbagliavo!

Poco dopo la metà dell’avventura, svilupperemo un potere speciale che ci consentirà di prendere il controllo delle onnipresenti falene che vagano per i locali, e che ci torneranno utili per approntare diversivi, guidare personaggi distanti verso la salvezza e distrarre i nemici. Tuttavia, ancora una volta, i comandi e la telecamera sono gli antagonisti più temibili e, se già governare Jennifer in circostanze normali è difficoltoso, scoprirete ben presto che farla incastrare in qualche angolo mentre esploriamo i dintorni con gli occhi composti di un lepidottero significa condannarla a morte certa per mano dell’inseguitore che volevamo tenere a bada, perciò prestate particolare attenzione in questi frangenti e utilizzate questo particolare dono della protagonista con estrema cautela. Come già sottolineato, l’albergo della famiglia Ashmann pullula di richiami alla letteratura e alla cinematografia di genere, ma l’estensione delle mappe non è così ampia come potrebbe sembrare e ben presto inizieremo a scorgere una certa ripetitività nella disposizione degli oggetti di arredamento e dei pattern decorativi, mentre i modelli tridimensionali dei personaggi dispongono di un numero di poligoni considerevole e di un ottimo livello di dettaglio in termini di volti, capelli, vestiti e accessori, anche se le espressioni non sempre coincidono con l’intensità dei dialoghi.

Visto che ho parlato delle voci, direi che posso finalmente rivolgere un plauso alla parte migliore di Remothered Broken Porcelain, ossia il doppiaggio e la colonna sonora: gli attori che hanno prestato le loro corde vocali al cast (tutti inglesi, ma è presente anche una traccia di sottotitoli in italiano) sono tutti piuttosto conosciuti nel mondo delle produzioni indipendenti, e le loro performance infondono il giusto peso alle conversazioni, aiutando a mettere in risalto le parti salienti della storia. Menzione d’onore per Elsie Lovelock che dà la voce proprio alla nostra Jennifer, la cui interpretazione si attesta una spanna sopra la già meritevole ensemble di doppiatori. La colonna sonora, ad opera dell’ottimo Luca Balboni, è intrisa di brani onirici ed inquietanti, sempre dosati con cura e mai fuori posto specialmente nei passaggi meno concitati della storia, dove possiamo soffermarci ad ascoltarli e apprezzarli meglio. Qualche piccola falla la troviamo invece negli effetti sonori, che spesso non vengono riprodotti quando dovrebbero o, viceversa, scattano con ritardi tali da suonare fuori contesto: non si tratta di qualcosa di tremendo come tutte le lacune di gameplay che ho elencato finora, ma parliamo comunque dell’ennesimo mattoncino che va ad aggiungersi in cima al resto.

Anche se è un po’ scontata come battuta, in Remothered Broken Porcelain non è soltanto la titolare porcellana ad essere rotta (a proposito, il sottotitolo si riferisce ad uno degli antagonisti della storia): nelle sue attuali condizioni, è praticamente impossibile consigliare il titolo a qualcuno che non possieda la proverbiale pazienza di Giobbe e sia disposto a trascorrere ore e ore ricaricando e riavviando le partite di continuo, soltanto perché si è imbattuto nell’ennesimo bug che non gli consente di andare avanti. A onor del vero, gli sviluppatori hanno lavorato alacremente al rilascio di una nutrita serie di patch (lo scorso 23 ottobre è uscita l’ottava) che correggono i difetti più vistosi e apportano alcune migliorie marginali su inquadrature e controlli, ma non hanno ancora raggiunto un livello tale da rendere il gioco quantomeno accettabile. Mi spiace tantissimo per Chris Darril e Stormind Games, ma il rilascio anticipato non ha giovato alla reputazione del secondo episodio della saga, e mi auguro con tutto il cuore che nel giro di pochi mesi (non settimane, mesi) gli aggiornamenti riescano a mettere a posto le problematiche più eclatanti. Fino ad allora, a malincuore, devo purtroppo consigliarvi di starne alla larga.

Voto: 5

Gioca da quando ha messo per la prima volta gli occhi sul suo Commodore 64 e da allora fa poco altro, nonostante porti avanti un lavoro di facciata per procurarsi il cibo. Per lui i giochi si dividono in due grandi categorie: belli e brutti. Prima che iniziasse a sfogliare le riviste del settore erano tutti belli, in realtà, poi gli è stato insegnato che non poteva divertirsi anche con certe ciofeche invereconde. A quel punto, ha smesso di leggere.