Il pedigree del team che si cela dietro The Callisto Protocol è innegabile: Glen Schofield, co-creatore di Dead Space, ha fondato Striking Distance Studios portando con sé un vero e proprio gotha dell’industria videoludica AAA, da Steve Papoutsis, suo collega in Visceral Games, a Mark James, veterano di Microprose e Lucasarts, da Stacey Hirata, curatrice del marketing per Bandai Namco e Activision, a Christopher Stone, illustratore e animatore in Electronic Arts, passando per un nugolo di artisti, designer e sviluppatori che vantano una cospicua esperienza nel settore. Pertanto, fin dal primo momento in cui venne annunciato, il titolo ha solleticato a dismisura le aspettative dei fan rimasti orfani del classico survival horror ideato da Schofield, proponendosi quale suo manifesto e accattivante successore spirituale. E dunque, cotanto dream team sarà riuscito nell’intento, soprattutto considerato che fra poco meno di due mesi dovranno misurarsi con il remake della sua diretta fonte ispiratrice?
The Callisto Protocol: solo cambiando possiamo crescere
Le premesse di The Callisto Protocol sono quelle dei migliori film carcerari, intrise da un’atmosfera di insostenibile malasorte: il pilota civile Jacob Lee precipita sul titolare satellite di Giove, la cosiddetta luna morta (anche se le ricerche della NASA hanno ipotizzato una possibile presenza di acqua sotto la superficie), dopo che la sua nave da carico viene abbordata da un famigerato gruppo terroristico durante il trasporto di merce da contrabbando non meglio identificata. Il socio di Jacob perde la vita durante l’atterraggio di emergenza, e lui viene arrestato e detenuto nella prigione spaziale di Black Iron, poco prima che un misterioso disastro colpisca quest’ultima e trasformi i suoi inquilini in mutanti impazziti. Lo stoico Josh Duhamel, visto di recente nei panni di Utopian in Jupiter’s Legacy, l’incantevole Karen Fukuhara, meno ferale della Femmina di The Boys ma altrettanto determinata, e lo smaliziato Sam Witwer, sopravvissuto alle orde di zombi di Days Gone, fanno tutti del loro meglio per infondere terrore e vitalità nei rispettivi ruoli, benché la narrazione di The Callisto Protocol si regga a malapena in piedi: è il consueto racconto di una piaga sconosciuta che si diffonde troppo rapidamente, portato in scena con una cadenza fin troppo familiare ed una serie di trovate che non sono in grado di stupire nessuno che abbia letto almeno un racconto di fantascienza in vita sua, peraltro focalizzate in maniera quasi umoristica sulla reiterazione della labirinticità del luogo che spinge spesso il povero Jacob, e noi con lui, a prendere la strada sbagliata o cadere in qualche tipo di voragine. Quantomeno, il lavoro svolto in termini di motion capture e design dei personaggi è sbalorditivo, con i personaggi principali che ricalcano alla perfezione le fattezze dei rispettivi attori, e vedere Duhamel cadere ripetutamente sotto le bordate impietose dei suoi mostruosi avversari instilla un senso di profonda ma, volendo, positiva inquietudine.
Quando non è impegnato a farsi sminuzzare con estrema dovizia di particolari, Jacob si ritrova a doversi infilare in un numero davvero sconcertante di anguste feritoie e condotti d’aria. Sebbene il ridotto florilegio di nemici costituisca un problema a sé stante, dato che pustole e mutazioni riescono a mascherare solo fino ad un certo punto la loro effettiva natura di zombi interplanetari, è più che altro la mancanza di varietà nei combattimenti a rendere faticosi molti degli scontri di The Callisto Protocol: lo scarso assortimento di armi si riduce a due pistole e altrettanti fucili diversi per la maggior parte della decina di ore che compongono la storia, oltre al GRP, un dispositivo di deformazione gravitazionale a energia limitata. Niente laser, niente lanciafiamme, niente armi futuristiche bizzarre: solo pura e semplice balistica. Se non altro, l’atmosfera opprimente percepita nelle numerose anteprime è rimasta intatta, con un efficacissimo design del suono grazie al quale ogni angolo dei locali in cui mettiamo piede risuona minaccioso, almeno quando non sono gremiti di creature urlanti. I dialoghi inoltre sono carichi di pathos e privi di qualsivoglia frecciatina o battutaccia, quasi una rarità di questi tempi in cui anche le produzioni dai toni più cupi vengono smorzate da forzature ironiche fuori luogo, a dispetto del contenuto degli stessi che invece attinge a piene mani dai cliché del genere. Ma nella maggior parte dei casi, e sto parlando di quelli più significativi, The Callisto Protocol non riesce a sfoggiare neanche un briciolo di originalità: l’impianto di base è il medesimo di Dead Space, essendo un action horror fantascientifico in terza persona incentrato sullo smembramento dei nemici, sul vilipendio di cadavere tramite pestoni ben assestati per racimolare salute o crediti e sull’utilizzo del suddetto GRP che permette di sollevare e lanciare oggetti e nemici a distanza. Anche l’estetica scimmiotta Dead Space, tanto che l’esoscheletro e l’impianto di localizzazione del protagonista non sfigurerebbero affatto nel prossimo remake del survival horror di Electronic Arts. Intendiamoci, la mancanza di innovazione non è per forza un male e potrebbe essere facilmente perdonata se solo il gioco fosse migliore di com’è realmente: questo 2022 è stato caratterizzato da una pletora di ottimi titoli che ripercorrono strade già oltremodo tracciate senza uscire troppo dal seminato, come God of War Ragnarök o Return to Monkey Island. La differenza in The Callisto Protocol risiede negli sforzi compiuti per alterare la formula di Dead Space e renderla più appetibile ai palati moderni, sforzi che, per sua e nostra sfortuna, si rivelano nel complesso peggiorativi.
In questo posto, si fa ciò che è necessario
L’esempio più tangibile proviene da uno dei momenti che, in teoria, dovrebbero definire l’intera esperienza e consolidare i suoi legami con il passato: poco dopo le battute iniziali, mi sono imbattuto nei resti di una guardia abbandonati conto una parete, sulla quale campeggia l’epigrafe “SPARA AI TENTACOLI” scritta con il sangue. Si tratta di un chiaro richiamo al primo incontro con la celeberrima lama al plasma di Dead Space, collocata proprio sotto un graffito che ammoniva di tagliare loro gli arti, riferendosi ai necromorfi che infestavano le sale della gigantesca nave intergalattica. Schofield dichiarò che l’indicazione venne aggiunta quasi al termine dei lavori, dopo aver constatato che gli addetti ai test non riuscivano a capire come sconfiggere le infide carcasse rianimate: quel semplice suggerimento visivo fu quindi in grado di fornire la giusta imbeccata per avere la meglio sui nemici. Ciò detto, ancora prima di raggiungere la famigerata iscrizione o persino di recuperare un’arma capace di far esplodere questi dannati tentacoli, The Callisto Protocol si premura di sottolineare il concetto mediante un avvertimento che viene poi reiterato da un tutorial non appena ucciso il primo mostro soggetto a tale metamorfosi, e infine da un audio log recuperato proprio dal secondino defunto che puntualizza, guarda caso, l’importanza di sparare alle appendici delle creature non appena riusciamo a scorgerle. In sintesi, questa costante supervisione perdura dall’inizio alla fine, quasi come se Striking Distance Studios ritenesse i giocatori incapaci di badare a se stessi o di evincere l’approccio più idoneo dal contesto, e si ripercuote sull’estrema linearità dell’avventura. Capita di rado di poter deviare dai corridoi prestabiliti che dobbiamo attraversare, e quando accade è solo per recuperare una manciata di crediti o un registro audio facoltativo, peraltro ascoltabile solo dall’inventario con il gioco praticamente in pausa, per poi tornare subito sul percorso principale evidenziato da una sovrabbondanza di frecce diegetiche, muri imbrattati, tabelloni espliciti e cavi luminosi disseminati lungo la pavimentazione. Questo sentiero di mattoni dorati si dipana per tutta la prigione di Black Iron, dalla quale Jacob tenta di fuggire armato inizialmente di un semplice bastone di metallo mentre un inferno di creature deformi si scatena tutto intorno a lui. Il combattimento è piuttosto semplice, almeno all’inizio: si piega la levetta analogica a sinistra o a destra per schivare gli attacchi in arrivo, attendere un’apertura e colpire i nemici con la spranga. Se non prestiamo attenzione, i nemici si coalizzeranno contro di noi finendo per spaccarci la testa a metà, strapparci la mascella dal cranio o il busto dalle gambe, con riprese in stile fatality di Mortal Kombat che spesso durano il doppio di quanto vorremmo, senza poterle saltare. Dovremo insomma saper giocare d’anticipo se non vogliamo diventare gli interpreti di uno snuff movie ad altissimo budget incentrato su di noi.
Scansare bordate aspettando un’occasione per colpire viene presto a noia, ma gli incisivi effetti sonori e le animazioni sontuosamente disgustose aiutano ad elevare le battaglie al di sopra delle loro meccaniche elementari. Al di fuori della mischia e delle occasionali sparatorie, il combat-system regala ben poche emozioni data la relativa incapacità di fronteggiare più avversari in contemporanea: malgrado si possa infliggere qualche uccisione creativa, magari approfittando degli spuntoni curiosamente posizionati in ogni dove all’interno del penitenziario per spingerci contro gli antagonisti troppo coriacei, gli assalti alle spalle con esecuzione furtiva sono sempre la soluzione migliore nella stragrande maggioranza dei casi, soprattutto perché nessuno si accorgerà mai dell’accaduto anche trovandosi a pochi centimetri dal luogo del misfatto. Dead Space ogni tanto interrompeva l’azione per lasciarci esplorare i dintorni o risolvere un enigma, ma The Callisto Protocol sembra abbia ritenuto inutile la presenza di questi ultimi a favore di una spettacolarità e un ritmo più simili ad un qualsiasi episodio di Uncharted, togliendoci a volte quasi del tutto il controllo per proiettarci dentro sequenze cinematografiche semi interattive da urlo degne di Dragon’s Lair, morti istantanee comprese. Oltre alla sopravvivenza, gli incarichi secondari che ci vengono affidati si ripetono più volte, come trovare i fusibili che alimentano un interruttore, recuperare una chiave magnetica, attivare tre generatori dislocati in punti diversi per aprire una porta e così via, ma ancora una volta nulla di tutto ciò implica chissà quali perlustrazioni perché il loro completamento richiede dei semplici andirivieni lungo gli unici varchi accessibili in quelle specifiche circostanze. Come già accennato, è improbabile che vi ritroverete mai a non sapere cosa fare, e per quanto mi riguarda il problema principale è tutto qui: a scapito di quella che potrebbe essere considerata una delle ambientazioni fanta-horror più dettagliate mai viste in un gioco, le stanze ed i corridoi che la compongono rimangono un macabro fondale vuoto che raramente offre un qualche tipo di narrazione ambientale, elementi con cui interagire o una valida alternativa alla linea retta che ci conduce verso la conclusione. Uccidere il primo mutante non è molto diverso dallo sconfiggere l’ultimo boss, ed i tre livelli di difficoltà influiscono solo sul numero di colpi necessari a farli fuori. Forse i contenuti aggiuntivi già annunciati riusciranno a mescolare un po’ meglio le carte ma, al momento, la claustrofobica banalità del carcere di massima sicurezza di Black Iron resta molto lontana dall’emozionante dinamismo dei ponti della USG Ishimura.
Piattaforme: PC, Xbox One, Xbox Series X|S
Sviluppatore: Striking Distance Studios
Publisher: KRAFTON, Inc.
Il peccato mortale di The Callisto Protocol è la sua inoppugnabile piattezza, reiterata per tutta la durata del nostro tentativo di fuga dalla luna morta di Giove. I livelli produttivi stellari mettono in mostra il talento di grafici, animatori e tecnici del suono in forze presso Striking Distance Studios, ma non riescono a nascondere il fatto che la nuova creatura di Glen Schofield sia, purtroppo, un mediocre clone senz’anima di uno dei migliori survival horror di sempre.