Project Zero Mask of the Lunar Eclipse è un episodio molto particolare della serie, che dopo essere rimasto purtroppo confinato nella terra del Sol Levante ai tempi della sua uscita originale, nell’ormai lontano 2008, in esclusiva per il solo Nintendo Wii in versione nipponica, vede finalmente arrivare una distribuzione internazionale, dopo ben quindici di attesa, sbarcando oggi sui sistemi contemporanei, tra cui Nintendo Switch, la versione da noi provata. Il gioco è stato peraltro sviluppato da Grasshopper Manufacture, leggendario studio del maestro Gōichi Suda, che negli anni ha saputo regalarci titoli unici ed indimenticabili. Come avrà affrontato il terrorizzante franchise di Fatal Frame? Andiamo a scoprirlo insieme.
Il terrore spettrale che viene da lontano, la saga di Project Zero
Sembra ieri il momento in cui abbiamo messo le mani sul primo e sorprendente Project Zero, nella calda estate del 2003 sull’inossidabile PlayStation 2, anche se le estati di inizio millennio erano meno roventi di adesso, e nelle sere che seguivano lunghe giornate di mare, il terrore sottile del titolo regala un brivido freddo che ancora oggi ricordiamo. Perlomeno in Europa, visto che il titolo è stato disponibile in Giappone ben due anni prima, nel 2001, dove è conosciuto semplicemente come Zero, e dall’anno successivo negli Stati Uniti, dove la serie assume l’evocativo titolo di Fatal Frame, arrivando anche su Xbox. Peraltro la trama pare sia ispirata, secondo quello che dice lo sviluppatore, ad una inquietante storia vera… Il grande successo del titolo, sviluppato da Tecmo, porta ad un seguito Project Zero II: Crimson Butterfly che debutta nel 2003 sempre nel doppio formato PlayStation 2 ed Xbox. Su quest’ultima versione, chiamata Director’s Cut, viene implementata una inedita modalità in prima persona molto evocativa, oltre che un quarto finale inedito, che si unisce ai tre già presenti. Proprio il secondo capitolo vede l’introduzione della celebre Radio Spirituale, che si unisce alla Camera Obscura, e delle meravigliose musiche cantate dalla musicista nipponica Tsuki Amano, che diventeranno un vera firma distintiva della serie fino ad oggi.
La serie vede arrivare l’anno dopo anche Real: Another Edition, uno spin-off per Mobile, limitatamente al territorio giapponese, in abbonamento mensile tramite il servizio i-mode, basato su un gameplay originale, in cui si fanno reali fotografie con la fotocamera dello smartphone, dove appaiono spettri. Risale poi al 2006 il terzo capitolo della serie, Project Zero 3 con Keisuke Kikuchi nel ruolo di game design, che consacra definitivamente la serie, stavolta esclusiva PlayStation 2. Negli Stati Uniti il gioco assume il nome di Fatal Frame III The Tormented, avvicinando molti appassionati di survival horror, orfani della serie sulla console Microsoft, al sistema. Con l’arrivo della generazione successiva Nintendo fa il colpaccio, e si aggiudica il franchise in esclusiva per Nintendo Wii, console sulla quale debutta nel 2008 il quarto episodio, Zero: Tsukihami no kamen, ovvero la versione nipponica del gioco che abbiamo oggi tra le mani, purtroppo mai localizzata per l’Occidente, una scelta controversa, visto che la serie si è saputa ritagliare negli anni uno zoccolo duro di grandi appassionati. Nintendo, per altro, diventa comproprietaria dell’IP di Project Zero, facendo uscire su Wii anche la riedizione del secondo capitolo con supporto al Wiimote. Sotto la nuova gestione la serie vede l’arrivo di un altro interessante spin-off per Nintendo 3DS intitolato Spirit Camera: The Cursed Memoir, che debutta nel 2011, in occasione del decennale della saga, oltre che un quinto episodio in esclusiva per Nintendo Wii U, ovvero lo splendido Project Zero: Maiden of Black Water risalente al 2014, che è anche l’ultima produzione del franchise. Sui sistemi attuali, infatti, abbiamo visto per ora solamente riedizioni, incluso l’oggetto di questa recensione, in attesa di un sesto capitolo inedito che speriamo sia messo in cantiere presto.
Project Zero Mask of the Lunar Eclipse: finalmente in Occidente
La controversa politica delle versioni Remastered di vecchie glorie sulle macchine di nuova generazione, per una volta, va a colmare una lacuna davvero grave, ovvero la mancata localizzazione del quarto episodio della saga di Project Zero, che, finalmente, sbarca al di fuori del Giappone. Il gioco si è fatto attendere per ben quindici anni, ed oggi, quando stavamo perdendo ogni speranza di giocarlo, è disponibile con sottotitoli in inglese, francese e tedesco, oltre che doppiaggio originale in giapponese. La riedizione, fortunatamente, ha visto solo un upgrade del comparto tecnico, con un bel balzo in avanti rispetto alla controparte per Nintendo Wii, lasciando però inalterato il gameplay originale, che un eventuale remake avrebbe sicuramente falsato e reso alieno. Uno stravolgimento, del resto, sarebbe stato inopportuno, mentre così è possibile godere dell’opera nel modo migliore. Trovate in questa pagina il sito ufficiale del gioco. Project Zero Mask of the Lunar Eclipse ci fa immergere nuovamente nel suo universo spettrale, fatto di scricchiolii, apparizioni, ricordi sfumati, attimi di pazzia, presenze eteree e qualche sano jump scare che fa salire l’adrenalina di tanto in tanto. Armiamoci quindi della nostra inseparabile Camera Obscura ed addentriamoci lungo i corridoi del terrore. Stavolta, però, il beffardo sviluppatore preferisce dotarci di un dispositivo leggermente diverso, che pare quasi citare Luigi’s Mansion, storica parodia mariana del primo granitico Resident Evil, ovvero una iconica torcia alimentata ad energia lunare, che ha il medesimo effetto sulle entità spettrali che infestano il gioco, ovvero indebolirle e togliere loro nefasta energia ectoplasmatica. Questa scelta, in un survival horror è meravigliosamente azzeccata, nulla fa più paura del buio, illuminato da una debole torcia, lo sappiamo. Al contempo l’intero sistema di illuminazione è stato migliorato, con ambienti dinamici ben sviluppati e davvero terrorizzanti. Sta alla bravura del giocatore riuscire a fare la migliore messa a fuoco possibile di ogni singolo spettro per poter effettuare il fotogramma fatale capace di farlo svanire. Maggior velocità e destrezza comportano un accumulo di punti. Il lavoro di rifinitura di modelli poligonali ed ambienti ha comunque lasciato vive alcune imprecisioni del motore grafico, che a volte rende più complesso “immortalare i morti”, nulla di irreparabile, sia chiaro, ma a volte questi piccoli glitch complicano le cose. Le fanciulle protagoniste dovranno temere spesso più questi che gli spettri stessi. Il terrore, come da tradizione della serie, si affida con forza dirompente agli elementi ambientali, con oggetti che si animano o si accendono da soli, rivelando la presenza nei dintorni di poltergeist più o meno agitati, che una volta scoperti cercheranno di toccarle, invidiosi della loro carne viva e pulsante.
Alla ricerca dei ricordi, mentre l’eclissi è ormai cominciata…
La trama dell’opera, come sempre, è uno dei punti forti, e vede un manipolo di impaurite giovani ragazze alle prese con l’esplorazione di ambienti spaventosi. Cinque bambine scompaiono misteriosamente durante il festival isolano di Rogetsu Kagura, per poi venir ritrovate in evidentemente stato confusionale e condotte loro malgrado in un ospedale psichiatrico situato su un eremo poco frequentato, l’Isola di Rogetsu, nel sud del Giappone, che sembra nascondere qualche segreto inconfessabile. Una volta curate le piccole crescono, diventando adolescenti e riprendono a vivere normalmente, ma allo scoccare dei dieci anni dalla sparizione, la maledizione torna a colpire, ed ecco che due muoiono misteriosamente e le altre tre spariscono di nuovo. Altri personaggi sono importanti nella trama, inclusa l’enigmatica Dama in Nero. I ricordi compaiono come frammentarie scene in bianco e nero sfumato, impercettibili quasi come un sogno. Un coraggioso detective di nome Kirishima decide di indagare sul caso, riaprendolo e tornando su quella isola misteriosa, nel frattempo distrutta da un terremoto, dopo aver indagato sulle tracce delle sparizioni, ed è costretto a tornare nel sanatorio abbandonato, trovandosi di fronte a creature spettrali di ogni sorta. Cosa lega le cinque ragazze tra loro? Quale è il destino delle tre sopravvissute Misaki, Madoka, e Ruka? L’indagine ha inizio. Una delle caratteristiche più interessanti del titolo è proprio l’alternanza tra le protagoniste, la cui storia ci viene raccontata suddivisa in capitoli, similmente ad un polveroso libro dell’orrore. Un survival vecchio stile, nel bene e nel male, dove persino i salvataggi sono affidati a delle specifiche lanterne da trovare nel corso del gioco. Nel gameplay è previsto anche l’acquisto di bonus, spendendo i punti guadagnati dalle foto migliori, tra cui pozioni curative e ulteriori pellicole più performanti con qualità maggiori, più sensibili a 200, 400, 800 o 1600 ASA e lenti anamorfiche aggiuntive da montare sui vetrini base, cosa che ci riporta agli indimenticabili tempi della fotografia analogica, con buona pace degli amanti del digitale a tutti i costi.
Una interessante aggiunta esclusiva della Remastered è poi la Modalità Fotografia Libera, che permette di fermare il tempo, bloccando ogni elemento sullo schermo, inclusi anche gli spettri, e modificare lo scenario muovendo ogni cosa, ruotando lo scenario, aggiungendo filtri e così via, solo per fare delle fotografie da conservare, ovviamente non influenti ai fini del punteggio. Davvero una feature gradita. Per gli amanti del cosplay sono stati anche inseriti nuovi costumi per le ragazze del gioco, inclusi inaspettati completini in latex e sensuali bikini, incredibile ma vero. In fase di gioco risulta poi utilissima la presenza di indicatori di direzione, che servono a non perdersi nei complessi corridoi dell’ospedale psichiatrico, dove troviamo anche alcuni enigmi ambientali, in verità mai troppo complessi. Un survival decisamente tradizionale, dunque, ancorato agli standard di inizio millennio, quando Silent Hill, Clock Tower e Forbidden Siren rappresentavano il metro di paragone, che farà la felicità di chi ama i classici del genere. Una longevità superiore alla media, con circa sedici ore necessarie a completare il tutto, che possono aumentare se si selezionano i livelli di difficoltà più elevati.
Per un titolo sviluppato da Grasshopper Manufacture forse ci saremmo aspettati, anche all’epoca, qualcosa di più bizzarro, del resto il Maestro Gōichi Suda, da molti considerato una sorta di Quentin Tarantino dei videogiochi, negli anni ha saputo regalarci titoli indimenticabili e folli come Killer 7, LolliPop Chainsaw o The Silver Case, altro titolo recentemente risorto e tornato sul mercato, che abbiamo recensito in questa pagina. Non dobbiamo dimenticare però due cose fondamentali, dello sviluppo si sono occupati anche il Team Tachyon di Koei Tecmo e soprattutto Nintendo Software Planning & Development, e che il gioco nasce sotto l’ala di Nintendo stessa, che ha deciso di puntare decisamente sul classico. Una serie longeva durata oltre venti anni, ma incredibilmente avara nelle uscite, con soli cinque episodi principali, di cui uno finora mai uscito dal territorio nipponico. Perderlo (anche) adesso sarebbe un vero delitto, quindi preparatevi ad affrontarlo, rigorosamente a notte fonda, con tanto di camera buia illuminata solamente da fioche candele rosse che ogni tanto sono spente da misteriosi aliti di vento, nonostante le finestre siano chiuse. Forse, mentre leggete, una mano spettrale sta per toccarvi, pronta a farvi saltare in aria dalla paura…
Piattaforme: Switch, PS4, PS5, Xbox One, Xbox Series X|S, PC
Sviluppatore: Grasshoper Manufacture, Team Tachyon, Nintendo
Publisher: Koei Tecmo Games
Project Zero Mask of the Lunar Eclipse è, in arrivo il nove marzo, pronto a sbarcare finalmente in Occidente, dopo che una politica di mancata localizzazione ci aveva privati ingiustamente per ben quindici anni del quarto capitolo di una delle serie horror più amate dal pubblico. Un episodio originariamente uscito per Nintendo Wii che mantiene inalterato il gameplay e che, nella sua versione Remastered per i sistemi moderni, offre solo un comparto audiovisivo migliorato, con una gestione delle luci molto curata, oltre che nuovi stuzzicanti costumi ed una modalità fotografica libera. Un survival horror tradizionale, che in alcuni punti può risultare persino datato, o perlomeno non aderente agli standard odierni, ma il cui fascino spaventoso è accattivante oggi come ieri.