Finalmente ci siamo. In qualche modo ho persino provato piacere, quando mi sono trovato lo xenomorfo di fronte in una conduttura, proprio come il capitano Dallas in una scena appena suggerita da Scott nel primo film della saga. Aspettavo qualcosa del genere da più di trent’anni, da quando la visione di Alien mi fece fantasticare sulla possibilità di un videogioco davvero prossimo a quelle atmosfere, nel momento in cui le opere interattive erano appena capaci di muovere qualche manciata di pixel. All’epoca non sapevo che, prima di avere l’oggetto dei miei desideri, sarei dovuto passare da battaglie scandite dal sibilo dei pulse rifle, e che avrei persino dovuto accettare l’ingombrante compresenza di un mostro della fantascienza, il Predator, infinitamente meno carismatico e credibile. In realtà mi sono pure divertito parecchio, prima dell’avvento dell’ultimo capitolo di AvsP e di quel disastro che passa sotto il nome di Colonial Marines, colpevole di aver buttato alle ortiche la notevole linea d’ispirazione da Aliens: Scontro Finale; tuttavia, ho sempre sperato che qualcosa di videoludicamente diverso sarebbe potuto accadere, prima o poi, per celebrare la creatura più affascinante dell’horror fantascientifico. E alla fine è accaduto.
Quattro(mila) chiacchiere sul gioco, feat. ToSo, Mario e uno xenomorfo
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Ma il mio giubilo non si riferisce solo a questi aspetti: l’aggressiva dinamicità dell’alieno, il semplice ma piacevole sistema di crafting, il forte ruolo dei “sintetici” (gli androidi corporativi della serie, dall’insidioso Ash in poi) e tutti gli elementi sbandierati da Creative Assembly mi sono apparsi finalmente nella loro completezza, grazie a una demo singleplayer più corposa e varia di quella vista all’E3, alla quale mi sono potuto dedicare con calma e devozione. Non mi sono nemmeno scappati potenziali difetti e sbavature più o meno evidenti, per la verità, ma niente che possa controvertire l’essenza di un sogno che si sta realizzando.
La sezione di gameplay che ho potuto giocare nelle ultime ore, in buona sostanza, è un’estensione di quanto visto all’E3: Amanda Ripley si trova su un complesso medico ormeggiato nello spazio, la San Cristobal Facility, e deve trovare risorse per curare una compagna ferita, addentrandosi in corridoi e piccole sale che ricordano da vicino la Nostromo del capostipite cinematografico. Nel momento in cui la demo precedente terminava, con un’esplosione a salvarci da un comodo assalto del mostro, la storia prosegue in una nuova area della stazione, dotata di un aspetto in qualche modo più “industriale” (dovuto allo stoccaggio di macchinari e robot): qui i nemici umani hanno un ruolo un filo più esteso, compaiono nuovi sintetici e non mancano ulteriori sistemi da violare – costruiti sulla concatenazione di immagini pixelose (tutte le interfacce digitali sono rappresentate nello stile di Mother, il computer centrale dell’astronave di Alien) – senza tuttavia rubare la scena all’inarrestabile xenomorfo. È lui che ci tormenta in qualsiasi momento, che dilania i misteriosi agenti sulle nostre tracce e sfortunatamente non si dimentica mai di noi, balzando fuori da condutture, muovendosi piano alla ricerca di odori e piccoli suoni prodotti dalle prede.
Il comportamento dell’alieno è concepito per angosciarci in ogni situazione, anche in forma non proprio “sportiva” – specie quando, in alcune sequenze, spunta a tradimento da qualsiasi condotto sotto cui abbiamo la cattiva idea di camminare – ma in generale funziona molto bene e, soprattutto, non è facile da prevedere: basta un piccolo cambiamento nei nostri movimenti ed ecco che lo xenomorfo si muoverà in una direzione più o meno differente, magari fino a costringerci in un armadietto o una cassa vuota, con l’unica possibilità a nostra disposizione – che comunque non garantisce automaticamente la salvezza – di arretrare nel nascondiglio o trattenere per un attimo il respiro. In effetti, parte degli oggetti da costruire (attraverso vari materiali, negli armadietti o sul corpo di membri dell’equipaggio uccisi) è stata ideata per contrastare l’inarrivabile potenza dell’alieno: esplosivi e granate EMP sono sostanzialmente dirette a nemici umani e androidi, per ucciderli o renderli momentaneamente indifesi, mentre flashbang, molotov e ordigni “rumorosi” riescono a fermare momentaneamente l’avanzata della creatura, più o meno efficacemente a seconda della situazione, anche se in nessun caso possono stenderlo definitivamente al tappeto. E scordatevi di mettervi a correre rumorosamente, magari per accorciare un percorso: in tal caso lo xenomorfo apparirà in men che non si dica da uno dei tanti pertugi delle ambientazioni, e si dirigerà come una furia sulla vostra posizione, lasciandovi ben poche possibilità di scampo.
Proprio la velocità dell’alieno, di fatto impossibile da evitare anche quando la sua corsa parte da notevoli distanze, diversifica sensibilmente Alien: Isolation da alcune delle sue fonti d’ispirazione: in Outlast, così come nei “maestri” Penumbra e Amnesia, la tensione è determinata anche dai tempi delle fughe, dalle manciate di secondi in cui sentiamo il nemico alle calcagna e abbiamo comunque la possibilità di salvarci; nel gioco di Creative Assembly, invece, una volta scoperti è davvero molto difficile – talvolta impossibile – riuscire a non farsi dilaniare dalla coda o dalle doppie fauci retrattili dell’alieno.
D’altra parte, il tentativo di diversificare l’azione, e dunque di superare il vero punto debole di questa branca dei survival horror, è in gran parte riuscito: le fasi meno convincenti sono spesso legate ai nemici umani, incasellati in generiche e irrealistiche hitbox, ma tutto il resto funziona piuttosto bene, dai citati minigiochi di hacking ad altre piccole varianti, come quella di spostare l’alimentazione energetica da una stanza all’altra della stazione, fino alle carismatiche sequenze in cui entrano in scena i sintetici, ottimamente caratterizzati nella forza e nella resistenza “inumana” oltre che nelle parole inopportunamente educate che pronunciano, magari mentre ci stanno per ammazzare. Resta da vedere se gli sviluppatori riusciranno a mantenere una buona varietà di ritmo per tutta l’azione di gioco, pur senza togliere centralità al duello fra lo xenomorfo e Amanda. Fortunatamente, però, dopo tutti questi anni di attesa, concedere un minimo di fiducia è molto più di un atto di fede: le cose buone viste in azione sono davvero tante, e a quelle già descritte va aggiunto lo sfruttamento intensivo e ispirato delle ambientazioni originali, anche sotto il profilo meramente visivo e sonoro. Per fortuna Ottobre è dietro le porte, e l’alieno con lui…