Abbiamo cavalcato il verde destriero attraverso un mondo corrotto dal male e ora vi raccontiamo com’è andata nella nostra recensione di Darksiders II.
Quando, due anni e mezzo fa, Darksiders fece la sua comparsa in questo affollatissimo mercato, molti lo guardarono con la puzza sotto il naso, bollandolo come l’ennesimo action-game. In realtà, chiunque gli si sia avvicinato senza troppi preconcetti ha trovato un’esperienza di gioco di rara bellezza, un ottimo connubio fra esplorazione, combattimenti e una storia tutto sommato appassionante, ispirata sì all’Apocalisse biblica, ma ampiamente rivisitata, vuoi per non offendere nessuno, vuoi per renderla più fruibile in un contesto legato al videogioco.
Ne venne fuori un vero e proprio “Zelda agli steroidi”, che già detto così suona benissimo. Oggi, quindi, avere fra le mani il seguito di quell’interessante esperienza è piuttosto emozionante, con la consapevolezza che nella peggiore delle ipotesi, ossia un titolo identico senza troppi miglioramenti, sarebbe comunque grasso che cola.
Non è che di giochi di questa stazza se ne vedano parecchi, eh. In un mondo in cui, ormai, linearità e script vanno di pari passo, dove non di rado giungono sugli scaffali titoli che faticano ad arrivare a otto ore di gioco scarse, trovare un prodotto in grado di spingersi più in là, senza per questo trasformarsi nel solito RPG alla Skyrim (bello, per carità, ma non proprio la cosa più originale del mondo), è una vera impresa. Per fortuna, un nuovo campione arriva nell’arena ed è un vero peso massimo.
Vigil Games non si è risparmiata nel dar vita al seguito del suo pupillo e lo ha fatto rischiando grosso, rinunciando a Guerra, il Cavaliere dell’Apocalisse del primo capitolo, per un nuovo protagonista, Morte. Uno che, con un nome così, è già tutto un programma. Morte, del resto, è una bestia di ben altro calibro rispetto a suo fratello: più agile, più veloce e, soprattutto, più letale, è il centro assoluto dei maggiori cambiamenti introdotti nel gioco.
Il nostro pallido cavaliere tiene fede alla propria fama e lo fa attraverso il numero enorme di strumenti di distruzione che può portarsi dietro. Oltre alle Falci, che rappresentano l’arma primaria, abbiamo anche una serie di oggetti affilati con i quali massacrare demoni e mostri d’ogni genere e dimensione. Artigli, lame, falcioni, martelli, asce e mazze fanno parte del nostro bagaglio di dolore e, oltre a modificare lo stile di combattimento, possono anche alterare le statistiche del personaggio in maniera sostanziale.
Morte adora ballare la breackdance.
E qui entra in gioco la parte “ruolistica”, per così dire. Darksiders II, infatti, prevede non solo di farci divertire brandendo armi di tutti i tipi, ma mettendoci a disposizione un vero e proprio equip, con caratteristiche alquanto dettagliate. Abbiamo così guanti, spallacci, corazze, stivali e talismani, ognuno in grado di alterare diversi parametri, come la difesa, l’esperienza, la forza, la resistenza, nonché componenti più specializzate quali la percentuale legata a un colpo critico o la quantità di denaro che possiamo trovare uccidendo e rompendo casse, barili e oggetti vari sparsi nell’immensa area di gioco.
Bisogna considerare che i drop sono costanti, quasi ogni nemico mollerà qualcosa e sarà possibile vederne le caratteristiche immediatamente. Insomma, siamo nella classica situazione di looting, anche se è comunque consentito acquistare equipaggiamento vario da alcuni mercanti, compreso Vulgrim, che però in questo seguito ha un ruolo più marginale e, oltretutto, vende solo oggetti in maniera casuale.
Esistono, infine, delle armi particolari, dette Possedute, migliorabili “sacrificando” parte del proprio inventario. Non è un vero e proprio crafting e, a dirla tutta, sembra una componente messa un po’ lì senza troppa convinzione. Non è raro, infatti, una volta portata l’arma al massimo livello, trovarne un’altra molto più potente nel giro di qualche ora, frutto magari di un drop fortunato.
Ho parlato di “qualche ora” non a caso, perché Darksiders II è un titolo enorme sotto ogni punto di vista. Richiede non meno di 25 ore per essere portato a termine (ignorando ogni missione secondaria e andando avanti come dei muli) e offre una tale varietà di situazioni e ambientazioni, da lasciare a bocca aperta. Erano secoli che non mi capitava un gioco così vasto e, al contempo, variegato, tanto da non annoiare mai, evitando uno stile grafico troppo simile dall’inizio alla fine, al contrario di quanto accade spesso in altre produzioni.
Tanto di cappello ai level designer, che si devono essere ammazzati per dar vita ad alcune fra le mappe più belle e complesse che abbia avuto il piacere di esplorare, anche se in alcuni frangenti li ho maledetti, per via di certi passaggi un po’ da testa contro il muro. Non tanto per via di salti, arrampicate, corse sui muri e altre robette alla Prince of Persia (ma non così invasive rispetto a quanto temevo all’inizio), bensì per alcune sequenze cervellotiche che costringono a spremersi le meningi, oltre che a pestare sui tasti. Anche perché quest’ultima attività non è stata messa da parte; al contrario, tutta la sezione di combattimento è stata riveduta e corretta, introducendo non solo una moltitudine di mosse e combo (diverse delle quali acquistabili presso alcuni personaggi), ma permettendo al giocatore di sbizzarrirsi con numerosi stili, secondo l’arma secondaria impugnata in quel momento. Una volta riempita un’apposita barra, potremo poi attivare la nostra vera forma (molto più grossa e cattiva) e mazzuolare per qualche secondo anche i mostri più coriacei. In tutto questo non mancano le abilità speciali, tramite cui evocare creature per farle combattere al nostro fianco, scatenare colpi devastanti e attivare numerose altre forme d’attacco. Tutte facoltà migliorabili e potenziabili attraverso un vero e proprio albero della crescita, in cui ogni punto corrisponde a un nuovo livello di esperienza raggiunto da Morte.
Tanta enfasi intorno a quest’aspetto non è casuale: Darksiders II presenta una pletora di scontri con creature d’ogni genere e non lesina in boss e sub-boss, sparsi in quantità industriale per tutto il gioco. Insomma, difficilmente ci si troverà a camminare per dieci minuti senza incontrare anima viva (si fa per dire…).
Prima di incontrare Uriel ne passerà di tempo…
Al contrario di Guerra, poi, avremo subito a disposizione una cavalcatura per spostarci nei giganteschi spazi aperti. A fianco del nostro fido destriero, Disperazione, troveremo anche Polvere, un corvo che ci aiuterà a orientarci fra le mappe, indicandoci dove andare come un novello GPS (e, proprio come i veri navigatori, non sempre è preciso come dovrebbe).
Mi rendo conto che se dovessi illustrare ogni aspetto di Darksiders II<
/em> potremo stare qui fino a domani, quindi prima di passare al commento vorrei dedicare qualche riga al comparto tecnico. Come ho sottolineato in precedenza, Vigil ha fatto un lavoro mastodontico per creare un mondo di dimensioni gargantuesche, quindi qualche magagna era praticamente inevitabile. Mi riferisco, in particolar modo, alla versione PS3: che gli sviluppatori abbiano incontrato diverse difficoltà nel domare la bestiaccia di Sony è cosa nota e tocca convivere con alcuni problemini di frame rate, un po’ di tearing e pop-up dell’erba (ma ce n’è poca in Darksiders II), visibile però solo nelle sezioni all’aperto. Parliamoci chiaro, nulla di tutto ciò influisce in qualche modo sulla giocabilità e in più si tratta di episodi limite. Naturalmente, la situazione su PC è diversa, potendo contare su una risoluzione ben più elevata e una fluidità impeccabile, anche se manca un reale pannello di configurazione (sì, è il “solito” porting da console).
Ciò detto, il gioco è stilisticamente impeccabile e i suoi punti di forza sono tanti e tali da mettere in ombra qualsiasi mancanza. È una produzione eccellente, a mio avviso imperdibile per chiunque creda che i videogiochi non si fermino a un mirino da spostare sullo schermo.