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Dopo aver fatto man bassa di titoli tripla A pieni di effetti speciali e colori ultravivaci, è stato quasi taumaturgico tuffarsi in un’avventura grafica garbata e rilassante come Lumino City. I più attenti di voi avranno già acceso i radar e identificato in questo titolo il seguito di quel Lume che fece capolino su Steam tre anni or sono, e che aveva colpito un po’ tutti per qualità dell’esecuzione tecnica, ma meno per bontà degli enigmi e longevità. Nel caso di Lumino City – ve lo dico subito – le cose sono decisamente migliorate sotto entrambi i punti di vista. Certo, non passerete i prossimi sei mesi a grattarvi la testa per accompagnare la piccola Lume alla ricerca del nonno perduto, ma più di qualche ora passa via volentieri, anche perché gli enigmi non sono spesso così banali e richiedono un minimo di attenzione e perspicacia per essere risolti.
Lumino City – ormai dovreste averlo capito – è un’avventura punta e clicca che più classica non si può. Tutto si porta a compimento col mouse, che si tratti di un semplice spostamento o di agire sui punti attivi dello scenario. L’incedere dell’avventura avviene fortunatamente per comparti stagni, il che ci affranca dall’obbligo di compiere chilometri di backtracking alla ricerca di qualcosa dimenticato impunemente per strada: tutto quello che serve è invece a portata di mano o nel raggio di una o due schermate di distanza, generalmente isolate dal resto del gioco così da limitare al massimo lo spazio di intervento.
[quotedx]La cosa che più affascina di Lumino City è la direzione artistica davvero peculiare[/quotedx]Più che riempire l’inventario di Lume di decine di cose inutili da portarsi appresso, Lumino City fornisce al giocatore pochi ma chiari strumenti, oltre a basare buona parte degli enigmi sulla risoluzione di puzzle circoscritti. Puzzle che, nella maggior parte dei casi, sono tutt’altro che banali e richiedono un minimo di attenzione per essere completati con successo. Intendiamoci… difficilmente si resta impantanati per più di un quarto d’ora sulla stessa schermata, grattandosi la testa alla ricerca dell’ispirazione; tuttavia, non pensiate di cavarvela comodamente come se steste guardando la più scema delle puntate dei Teletubbies. Alla mal parata è possibile consultare un libro di mille (Ing. Cane… mille!) pagine, lasciatoci in dotazione dal nonno all’inizio del gioco e che può fornire indizi a volte decisivi per risolvere anche l’enigma più infame, a patto di aver intuito quale sia lo schema matematico che ci porta a sapere in quale pagina guardare.
La cosa che più affascina di Lumino City è però la direzione artistica davvero peculiare, che amplia all’estremo il look da casetta di cartone che già aveva caratterizzato Lume. Il trailer che vi ho regalato a inizio recensione parla abbastanza chiaro: i ragazzi di State of Play sono dei veri maestri da questo punto di vista, e il risultato è ancora più stupefacente se si pensa che buona parte delle locazioni sono state effettivamente realizzate a mano, con tanta pazienza e infinito senso estetico. A condimento non poteva mancare una colonna sonora adeguata, a volte un po’ ripetitiva nei toni, ma comunque perfetta nell’accompagnare placidamente le elucubrazioni mentali della nostra piccola protagonista.