Per la serie “a volte ritornano”, eccoci a parlare del primo capitolo di una serie episodica in cinque puntate e ispirata alla celebre saga King’s Quest, che negli anni 80 e 90 aveva furoreggiato in lungo e in largo e si era eretta a paladina delle avventure grafiche, grazie anche alla buona vena ispiratrice che aveva mosso Roberta Williams, una delle poche esponenti femminili del mondo dei game designer che alla lunga hanno contato qualcosa. Affrancatasi fin da subito dalla bollatura di operazione nostalgia, la nuova incarnazione di King’s Quest è a tutti gli effetti un reboot, sia in termini di concept che di dinamiche di gioco, anche se rimane a tutti gli effetti un avventura grafica e i riferimenti ai vecchi titoli targati Sierra si sprecano copiosi. A Knight to Remember è l’oggetto di questa recensione: un primo episodio che getta il seme, in attesa di vedere dove andrà a parare la nuova serie una volta che la pianta sarà definitivamente cresciuta.
DI DRAGHI E ALTRI FATTI
L’espediente narrativo vede il nostro protagonista Graham ormai anzianotto re, mentre narra le sue incredibili storie alla nipote Gwendolyn. Tutti i flashback incarnano la parte giocabile e ci mettono nei panni di un giovane ragazzotto che vuole diventare un cavaliere di Daventry; i momenti topici prevedono quindi in sottofondo la voce narrante del vecchio Graham, splendidamente eseguita dalle corde vocali di un Christopher Lloyd un po’ invecchiato, ma ancora in forma strepitosa.
Il mondo di gioco è tutto in 3D. In alcuni passaggi il movimento del nostro eroe è costretto su un piano bidimensionale, ma nella maggior parte dei casi siamo liberi di muoverci per tutti e tre gli assi. L’interfaccia è di una semplicità disarmante, visto che si fa tutto con tre pulsanti, il primo deputato all’interazione con le parti attive dello scenario, il secondo che apre l’inventario e il terzo che sporadicamente ci consente di utilizzare un arco, sfruttando la visuale in prima persona. Ovviamente, l’azione compiuta varia a seconda del contesto: in prossimità di alcuni personaggi si attiva un dialogo a scelte multiple, mentre la pressione del pulsante vicino a una leva fa sì che Graham la azioni, e via di questo passo. Tutto qui? Sì, tutto qui.
LUNGA È LA VIA CHE PORTA ALLA REDENZIONE
Di base, la nuova incarnazione di King’s Quest – almeno nell’episodio A Knight to Remember – punta tutte le sue fiches sull’esplorazione e su bivi narrativi causati da scelte estemporanee, e poco sulla soluzione di enigmi logici. La stragrande maggioranza del tempo la si passa a camminare qua e là, cercando di trovare l’oggetto giusto da consegnare alla giusta persona che ci darà l’altro oggetto giusto da usare nel giusto posto. Questo significa camminare parecchio, forse anche troppo: talvolta non è ben chiaro cosa voglia il gioco da noi e occorre quindi andare un po’ per tentativi, più che per logiche conseguenze di un percorso narrativo, con tanto backtracking a farci da nefasta compagnia. A differenza di altre avventure grafiche recenti (penso a The Book of Unwritten Tales 2, ad esempio), in A Knight to Remember il dover tornare sui propri passi non si riduce a rivisitare locazioni adiacenti, ma a volte ci costringe a ripercorrere più di metà della mappa, la quale è peraltro composta da diverse zone con annessi tempi di caricamento non proprio immediati. Se considerate che il nostro Graham non corre, ma semplicemente cammina a passo spedito (e in alcune locazioni addirittura passeggia a basta), allora capite da soli come delle sei e passa ore necessarie ad arrivare in fondo all’episodio, almeno tre entrano nel conteggio solo per via di noiosi spostamenti.
Il ritmo, insomma, non è tra i pregi di questo primo episodio di King’s Quest, il che è un male, perché anche la più blanda delle fiabe necessita di un po’ di brio per tenere alto l’interesse sulla narrazione. Peraltro, A Knight to Remember ha l’ardimento di illudere il giocatore: la prima mezz’ora, alle prese con un drago che i più vecchietti ricorderanno protagonista dell’antica serie, ha un piglio diverso, proprio come l’altra parte dentro la medesima caverna che interviene a circa metà avventura; qui succedono cose e si ha a che fare con alcuni enigmi dove interviene la logica e occorre usare un minimo di cervello per venirne fuori. Fosse stato tutto così l’episodio, ci sarebbe stato di che gioire; e invece…
PENNELLATE D’AUTORE
Per lo meno, dal punto di vista meramente artistico A Knight to Remember è davvero bellino da vedere. Le animazioni, ad esempio, sono ben realizzate, così come si vede che dietro a ogni locazione c’è un lavoro di concept rispettoso della serie che fu e che ben lavora ai fianchi per restituire la giusta atmosfera da fairy tale digitale. Se guardiamo alla mera realizzazione tecnica, invece, c’è da storcere parzialmente il naso, un po’ perché alcune texture paiono derivare dalla generazione di console precedente (la versione provata è quella Xbox One), forse proprio per la necessità da parte degli sviluppatori di produrre un videogioco cross-gen, e un po’ per via di un tearing fastidioso che interviene in quelle zone dove la telecamera non resta fissa, ma effettua dei movimenti sull’asse orizzontale per seguire i passi del protagonista.
[quotedx]Il ritmo non è tra i pregi di questo primo episodio di King’s Quest[/quotedx]Il doppiaggio, tutto in lingua inglese come i sottotitoli opzionalmente attivabili, fa bene il suo mestiere e risulta ispirato al di là del talento del già citato Christopher Lloyd: Tom Kenny (SpongeBob) interpreta un logorroico mercante itinerante che in un paio di occasioni si rivelerà prezioso per il prosieguo dell’avventura; Zelda Williams, figlia del più celebre e compianto Robin, dona la voce ad Amaya, un’esperta d’armi cui spesso toccherà chiederne i servigi; Wallace Swan, il clamoroso Vizzini de La Storia Fantastica, impersona invece il piccolo cavaliere Manny, prodigo di consigli verso il giovane Graham mentre tenta di vincere il torneo per diventare cavaliere del regno. Tanto di cappello anche a Josh Keaton e alla sua interpretazione dell’eroe, viso per lo più sconosciuto, ma protagonista di numerosi doppiaggi nel mondo dei videogiochi, come quello di Ryu Hayabusa in Ninja Gaiden II o di Anduin in Word of Warcraft. Insomma… non si può dire che Sierra e Activision non abbiano investito parecchio per rendere King’s Quest un videogioco bello da sentire, quasi più che da vedere. Certo che almeno i sottotitoli in italiano si potevano aggiungere, vero?