Wet

Se Uma Thurman fosse innamorata del Principe di Persia, avesse visto tutti i film di Charles Bronson e credesse di essere la figlia di Lara Croft e Dante, si chiamerebbe Ruby Malone.

Sarebbe fuori luogo iniziare la recensione di Wet con il preambolo tipico dei giochi capaci di pescare dal panorama videoludico gli elementi salienti di un genere e miscelarli in una nuova formula. A questo ha già pensato la preview. No. Il titolo sviluppato dai ragazzi di A2M è un “third person shooter” intuitivo, votato all’azione acrobatica (come anticipato in più riprese dal producer Ash Ismail), che arriva subito al sodo e come tale deve essere trattato.

PRIMA DI TUTTO LA TRAMA
La protagonista, Ruby Malone, fa un mestiere ben preciso: risolve problemi. Come il famigerato Wolf di Pulp Fiction, si occupa di sbrogliare quelle situazioni per le quali è necessario un intervento mirato e deciso, lasciando il compito delle chiacchiere ai comprimari (in inglese wetwork, da cui il titolo). Il gioco parte subito in quarta. Armati di katana e pistole abbiamo il compito di recuperare un organo umano destinato al trapianto dalle mani di un gruppo di criminali e di recapitarlo immediatamente ad altri malfattori, previa consegna di un mucchio di dollari. Da cosa nasce cosa e al cuor non si comanda: l’ospite dell’organo trapiantato avrà nuovamente bisogno dei servizi offerti da Ruby, questa volta per aiutare il figlio Travor, andatosi a cacciare nei guai a causa del (solito) narcotraffico. La nostra mercenaria, vista l’ingente ricompensa, non ci penserà due volte ad imbarcarsi sull’aereo, destinazione Hong Kong, per accettare l’incarico. Da lì a breve le cose prenderanno una piega imprevista e ci ritroveremo nel classico intrigo internazionale fatto di killer spietati e personaggi sopra le righe.


Un trailer “musicale” dove le vittime di Ruby ne cantano le lodi, prima di abbandonare definitivamente questo mondo. Fantastico!

 

POI SI PARLA DI GAMEPLAY
Ruby Malone spara. Quando non spara affonda fendenti nelle carni dei nemici. E lo fa nel modo più spettacolare e acrobatico possibile. In Wet ci si arrampica e si corre sui muri; ci si lancia nel vuoto aggrappandosi a sbarre piroettando verso cornicioni e balconi; si scivola sotto i rimorchi; ci si getta senza paracadute da aerei in fiamme e si compiono da un’automobile in corsa all’altra balzi che neanche Neo in Matrix Reloaded aveva mai osato provare. L’ho già detto che Ruby spara? Sì? Bene. Sappiate che lo fa anche quando compie tutte le acrobazie appena descritte. Vi state chiedendo come faccia? Semplice: bullet time e quick time event. Questi due elementi sono così ben integrati che è possibile iniziare e finire il livello senza interrompere mai l’azione su schermo, con grande gioia sia per il giocatore che per un eventuale spettatore.

A spezzare la frenesia del gameplay, fatto di combo da inanellare e uccisioni a catena con tanto di counter a schermo, ci pensano delle fasi di gioco ad alta componente arcade che vanno alternandosi ai livelli principali. Si inizia con le Sfide al Covo, dove ci viene chiesto di completare alcuni percorsi a tempo (spara a “x” oggetti o raggiungi il posto “y” entro tot secondi), si passa per le Arene, vere e proprie aree chiuse infarcite di nemici nelle quali abbiamo il compito di disattivare degli interruttori al fine di interromperne il respawn, per arrivare alla modalità Collera, una sorta di stage davvero esaltante ed adrenalinico alla Killer7 vs. Mad World, caratterizzato da immagini in tricromia rosso, bianco e nero.

QUINDI DI LEVEL DESIGN
Come nel più classico dei Prince of Persia, per Wet non si può parlare di libertà d’azione. I livelli sono lineari, scriptati e prevedono un’unica strada utile al loro completamento. Si salta sulla piattaforma, si oscilla dalla sbarra per raggiungere la sporgenza dove ci viene permesso di saltare su di un’altra piattaforma dalla quale, una volta eliminati i nemici, è possibile saltare sul balcone di fronte. E poi si ricomincia. La ripetitività, tuttavia, viene mitigata non solo dalle diverse modalità di gioco in game di cui si è parlato, ma anche dalla qualità e quantità delle ambientazioni che ci si trova ad affrontare. L’azione, inoltre, sviluppandosi anche in verticale, restituisce al giocatore l’impressione di muoversi in un mondo liberamente esplorabile, anziché in un corridoio dal percorso predeterminato qual è in realtà. I livelli sono poi molto curati e l’attenzione al dettaglio si nota anche in quelle parti non strettamente necessarie al prosieguo del gioco. È tuttavia evidente che l’obbiettivo perseguito dagli sviluppatori sia stato quello del divertimento fine a se stesso, senza pretendere che Wet ridefinisse il genere a cui appartiene.

E INFINE DEL LATO TECNICO E DI ALTRE AMENITÀ
Da un punto di vista squisitamente estetico il titolo è decisamente piacevole, una palette di colori ben definita che ricorda le atmosfere sia di Max Payne che della Birmania vista nel primo Splinter Cell. Un uso smodato di motion blur e post processing è stato fatto al fine di ottenere un’immagine a schermo sporca, sgranata e retrò come se venisse riprodotta da un vecchio proiettore. Anche le scene di intermezzo tra i livelli o il sempre più in via d’estinzione game over, propongono elementi che hanno a che fare con la cinematografia. Quando Ruby muore, ad esempio, la scena si dissolve come se la pellicola stesse bruciando con il classico effetto da parete bianca tipico dei vecchi cinema. Si ha la netta sensazione che i ragazzi di A2M avrebbero voluto realizzare, per il genere degli sparatutto in terza persona, quello che per i beat’em up a scorrimento ha rappresentato Viewtiful Joe. Con quest’ultimo, Wet, condivide anche quella mixité ironica tra violenza e humour dei PNG con cui entreremo in contatto, tipica dei film d’exploitation a cui Tarantino si è spesso rifatto. Ultima nota per l’elevata rigiocabilità (legata ai numerosi achievement proposti) e i difetti. Parlare di difetti in un gioco scanzonato, esageratamente provocatorio e disimpegnato come Wet potrebbe farlo sembrare un titolo che si prende sul serio. Wet non lo fa. E se proprio vogliamo lamentarci del fatto che i nemici sono tutti uguali, che il numero di poligoni è insufficiente rispetto alla media dei titoli odierni o che la sua longevità è pari a quella del ponte di ognissanti, facciamolo… non si dica mai che noi non lo si era detto!