Finalmente, un videogioco torna a dare “uno sguardo nel buio”. E che videogioco!
Quale potenza produttiva è necessaria per sviluppare un moderno RPG, con tutti gli attributi del caso? Beh, dopo l’uscita di Drakesang abbiamo una nuova risposta a questa domanda…
In passato, altri team tedeschi hanno mostrato grandi doti nel concepire videogame di ruolo ad alti livelli, dalla serie di Gothic a Two Worlds, ma nel caso del gioco “low budget” (dopo averci giocato sembra incredibile, ma è così) dei Radon Labs fattori comuni e inusuali sono intervenuti per determinare un risultato ai limiti dell’eccellenza. La “teutonica” propensione per le ambientazioni fantasy dal sapore classico, presente nei titoli citati come nel più recente Legends: Hand of God, si è fusa al desiderio di riportare in forma videoludica un set di regole glorioso ma trascurato dal mondo dei videogiochi, come quello del leggendario pen&paper “Uno Sguardo nel Buio”. Trascurato, ma non del tutto: già negli anni ’80 la trilogia dei “Reami di Arkania” portò tra i giocatori, con lo stile di Dungeon Master, le meccaniche ottimamente bilanciate dello stesso, amatissimo gioco di ruolo, nato nel 1984 e ormai arrivato alla sua quarta edizione. Oggigiorno, d’altronde, per lanciarsi sul mercato non basta più una manciata di sviluppatori, alle prese con un finto 3d e tante buone idee, perché di titoli tecnicamente “old-fashioned” è piena la rete, ovviamente in forma gratuita. Drakensang, però, si è rivelato un prodotto prestante anche sotto il profilo squisitamente tecnico, quasi in linea con i giganti del genere, nonostante le feature grafiche restino al servizio di un’impostazione del gameplay complessa e rigorosa.
Senza alcuna introduzione alla storia o al nostro eroe, all’inizio dell’avventura possiamo scegliere fra venti personaggi, appartenenti alle razze degli elfi, dei nani e a varie etnie di umani, definiti in ogni loro aspetto attraverso la “selva” di attributi e talenti ereditata dal gioco cartaceo (con poche e mirate semplificazioni). In particolare, possiamo decidere se servirci subito di un “expert mode”, editando alcune caratteristiche dell’eroe: si tratta di una scelta fortemente consigliata, dal momento che permette, soprattutto ai neofiti, di prendere un briciolo di confidenza con un sistema di crescita che ci troveremo davanti, con grande frequenza, per tutto il corso del gioco. In The Dark Eye, infatti, non è prevista la distribuzione dei punti esperienza in concomitanza con il passaggio di livello (gestito da un meccanismo separato), ed è possibile mettere mano alle caratteristiche del personaggio in qualsiasi momento, usando gli appositi “punti avventura”. Il consiglio, per quelli che come me non hanno mai giocato a USNB, è di puntare inizialmente su poche e mirate “attitudini”, proprio perché il sistema permette di configurare migliorie minori nel corso dell’esperienza, grazie al ritorno costante alle apposite schermate.
Le vicende di Drakensang si svolgono nella provincia di Ferdok, adagiata sulle rive del Grande Fiume di Aventuria, dove siamo raggiunti dalla lettera di un fraterno amico, tale Ardo, bisognoso di aiuto per risolvere una misteriosa catena di omicidi. Se questo “stratagemma” di sceneggiatura non vi suona nuovo, probabilmente non vi sorprenderà nemmeno il soggetto della questline principale di DTDE, con la classica setta mistico-religiosa (la Chiesa di Helsinde) convinta che siate il prescelto per portare a termine un rito millenario (la Dragonquest)… In effetti, non sta certo qui il meglio del gioco di Radon Lans, anche se da un certo punto in poi le imprese si fanno più epiche e appaganti. Il vero fulcro dell’esperienza è la predisposizione del gameplay per l’uso ragionato di un party, attraverso una serie di aspetti introdotti appositamente a questo scopo. Innanzitutto, l’elevata difficoltà dei combattimenti è calibrata sulle capacità di un team ben bilanciato, tra enormi draghi e assalti di orchi selvaggi, magari con alcuni eroi predisposti ad azioni di forza e altri specializzati in abilità “di rimessa”; in secondo luogo, ma non per importanza, il nostro paladino ha una propria residenza a disposizione dopo una manciata di ore di gameplay (non molte, visto che la durata complessiva supera abbondantemente le 50 ore), dove anche i membri scartati dal party “operativo”, composto di 4 elementi, possono crescere di livello insieme a lui, standosene in panciolle in giardino o davanti al focolare. Se ciò non bastasse, quest di vario genere sono state inserite appositamente per donare ai compagni equipaggiamento adatto alle proprie peculiarità.
Nel caso di Drakensang, è difficile scindere fra gameplay e impianto tecnico, perché quest’ultimo è in larga parte costruito per rendere praticabile, oltre che gradevole, un sistema di gioco non semplice da padroneggiare. Esempio ne sono le pause tattiche, con cui è possibile gestire con calma i nostri poteri e quelli dei compagni (i turni di USNB vengono automaticamente simulati): in questi momenti è possibile ruotare e allontanare la visuale a piacimento (come nel resto del gameplay, d’altronde), mantenendo sempre sotto controllo la situazione sul campo. In questo modo, oltre a evidenti benefici tattici, i Radon Labs hanno anche mostrato le qualità dell’engine “autoprodotto” Nebula, capace di regalare buone soddisfazioni in questa come in altre occasioni, attraverso spettacolari animazioni per i combattimenti (un po’ statiche le altre), una buona gestione delle ombre e una modellazione poligonale non eccelsa ma soddisfacente.
Peraltro, il mondo di Drakensang è esplorabile secondo binari ben precisi e attraverso caricamenti tra le diverse zone (comunque vaste): come è successo con The Witcher, però, una tale impostazione ha permesso agli sviluppatori di caratterizzare profondamente ogni scenario, aggiungendo dettagli d’atmosfera a ogni anfratto del mondo di Drakensang.