Epic Mickey – Anteprima Wii

Il Topolino di Disney si prepara all’età adulta.

E così, all’improvviso, le teste pensanti di Disney si sono rese conto che del Mickey Mouse originale, quello sognato, tratteggiato e (soprattutto) animato da Walt, nel Mickey Mouse dei tempi moderni non c’è quasi più nulla. Il Mickey Mouse scomodo, negativo e spigoloso (più ratto che topolino, insomma) che era nato dalle matite di Walt Disney è stato smantellato anno dopo anno e ricostruito, sia per quanto riguarda le caratteristiche fisiche, sia per quanto riguarda l’aspetto caratteriale. Alcuni dei suoi tratti psicologici originali sono finiti dentro alla pancia di Paperino, altri nella bocca di Pluto, altri ancora (forse) nelle tasche di Eta Beta. Gira e rigira, smonta e rimonta, copia e incolla, Mickey Mouse si è ritrovato non più un personaggio a tutto tondo, ma una semplice icona. Semplice, sì, e di grandissimo successo: Mickey Mouse lo metti sulle magliette, sugli orologi e sugli ombrellino e – rullo di tamburi – funziona sempre. Però, diamine, che spreco! Con un personaggio carismatico come Mickey Mouse bisognerebbe raccontare storie assurde, leggendarie e memorabili. Usarlo soltanto come un “simbolo” è un vero peccato. E così, all’alba del 2010, quelli di Disney hanno pensato che fosse giunto il momento di far sapere al mondo che se ne erano resi conto pure loro e che – guarda un po’! – le cose erano sul punto di cambiare. Per farlo hanno radunato in una (improbabile) sala conferenze di Londra giornalisti, scribacchini in erba e critici improvvisati. Quando si sono spente le luci e un ometto grigio di barba & capelli è salito sul palco, il mondo ha preso a girare dall’altra parte.

LO ZIO WARREN
L’omino in questione, a sorpresa, è uno dei pochi, veri giganti del mondo dei videogiochi: Warren Spector, l’illuminata mente dietro a titoli che se fossimo sulle pagine di Videogiochi e non su quelle di GamesVillage non esiteremmo a definire “seminali” (e come altro vorreste aggettivare Wing Commander, tanto per fare un esempio?). Spector è uno di quelli che della vita ha capito tutto, o quasi. Quelli di Disney si sono affidati proprio a lui per riportare in vita il loro Mickey Mouse. Per donargli di nuovo quella vivacità che lo animava alla fine degli anni venti Spector ha pensato che si dovesse lavorare soprattutto su due diversi aspetti. Prima di tutto, oggi come oggi, le storie di Mickey Mouse per funzionare hanno bisogno di un ritmo più frenetico, sostenuto e frizzante di quello, assolutamente soporifero, a cui siamo invece abituati. Inoltre, e questo è l’elemento più importante, Mickey Mouse per ritornare in vita deve essere ricondotto alle sue origini, quelle da topastro più che da Topolino, per intenderci. Detto, fatto: Spector è riuscito a convincere quelli di Disney, si è circondato dei suoi collaboratori più fidati (quelli raccolti sotto all’ombrello Junction Point) e si è messo al lavoro su un videogioco. Già, perché la rinascita di Mickey Mouse non avverrà nei cinema, e nemmeno sulle tavole di un albo a fumetti, ma sul traballante televisore di casa (accidentalmente, ma nemmeno tanto se ci si pensa su per un momento, collegato a un Nintendo Wii).

NEL BEL MEZZO DEL DIMENTICATOIO
Un videogioco con Mickey Mouse come protagonista non è che sia la roba più strana e sorprendente del mondo. Un videogioco con Mickey Mouse come protagonista ideato da Warren Spector, invece, è una di quelle cose che anche sforzandoti fai fatica a immaginare. Ma solo se non conosci veramente Spector, che prima di sviluppare videogiochi progettava giochi da tavolo e GdR in scatola. Uno dei suoi primi esperimenti in questo senso fu un GdR chiamato Toon e – che caso! – ambientato proprio nel bizzarro mondo dei cartoni animati. Insomma, a Spector giocare con le immagini piace da sempre: forse anche per questo si è preso la libertà di prendere Mickey Mouse e di portarlo in un un mondo di fantasia assolutamente assurdo, sbilenco e improbabile. Si tratta di un buio reame incantato, governato da un sovrano divorato dall’invidia e dal rimpianto, ovvero da Oswald. Oswald, detto in due parole, era il primo Mickey Mouse di Walt Disney, un Mickey Mouse che gli venne sottratto a botte di contratti birichini, avvocati neri come la pece e un paio di malefatte aziendali assortite. Oswald odia a morte Mickey Mouse, reo di averlo fatto finire in un mondo dimenticato dove sono disordinatamente ammucchiate tutte le fantasie incompiute, un “non luogo” dove si muovono personaggi appena abbozzati, star incomprese e altre anime in pena. A fare da palcoscenico per le loro misere vite, ecco centinaia di set abbandonati, decine di giostre in disuso (o mai completate) e una mezza infinità di sfondi per cartoni animati ben poco animati. Questi scenari sono anche il palcoscenico sul quale si muoveranno i giocatori, chiamati a vestire i panni di Mickey Mouse in un gioco di piattaforme che a vederlo da lontano (ma pure a studiarlo da vicino) ricorda parecchio Super Mario Galaxy.

THE LEGEND OF SUPER MICKEY GALAXY
Super Mario Galaxy, già. Un gioco da nulla, insomma, e un gioco che gronda “Qualità Nintendo” da tutti i bordi. Spector ha affermato che è proprio il livello qualitativo dei più importanti titoli Nintendo quello a cui punta per Epic Mickey. Non è forse un caso, allora, che l’altro termine di paragone utilizzato da Spector per presentare il suo nuovo gioco sia The Legend of Zelda, utilizzato per far intuire lo spessore del progetto Epic Mickey. Già, perché saltellare a destra e a manca è sempre uno spasso, ma Spector è uno di quelli a cui piace dare una certa profondità ai suoi sogni elettronici. Ecco quindi che entrano in campo due diversi elementi come il Pennello Magico, impugnato da Mickey Mouse ma controllato dai giocatori per mezzo del telecomando Wii, e la questione psicologica. Il Pennello Magico verrà utilizzato per colorare, disegnare e ricostruire gli scenari, funzionando insomma come chiave per mille serrature enigmistiche, mentre la questione psicologica farà prendere a tutto il comparto narrativo una piega più o meno positiva a seconda delle proprie azioni. Provate a immaginarvi un albero di missioni secondarie che portano dritte a un finale piuttosto che a un altro e avrete una mezza idea di quello a cui punta Spector, che da quel che abbiamo capito non è poi tanto diverso da quello che ha cercato di fare Molyneux con Fable. Chiamalo niente. O chiamala affinità di vedute tra giganti del game design.