Muramasa: La Spada Demoniaca – Recensione Wii

La sostenibile ripetitività di un piccolo capolavoro spadaccino.

Poveri noi occidentali, con la nostra concezione filosofica occidentale, con la nostra ossessione occidentale per il ragionamento a compartimenti stagni, spesso forgiati da contrapposizioni forzose. Per apprezzare Muramasa: La Spada Demoniaca, quintessenza di orientalità e nella fattispecie di giapponesità, l’uomo occidentale deve dimostrare un’apertura mentale notevole. Oppure, e facciamo prima, deve appartenere a quella nicchia sempre meno nicchia di occidentali innamorati del Giappone. Ma non basta. Bisogna anche accettare la vanità della contrapposizione categorica vecchio vs. nuovo. E, soprattutto, abbattere il dualismo tra stile e sostanza: l’idea che stile e sostanza viaggino su binari paralleli. Muramasa: La Spada Demoniaca, intriso com’è, anche senza farlo apposta, di filosofia zen, vi chiede di accettare, viceversa, che stile e sostanza possono essere la stessa cosa, al punto tale che “stile è sostanza”.

 

 

Se vi siete già stracciati i marron glacés di queste disquisizioni filosofiche, vi basti sapere che, se avete il Wii e vi piacevano i giochini bidimensionali coi ninja che furoreggiavano tra fine anni Ottanta e inizio anni Novanta, Muramasa è un gran bel gioco che dovreste prendere al volo. Shinobi! The Legend of Kage! Shadow Dancer!

Convincere coloro che categoricamente bollano come “passato” i taglia-e-affetta bidimensionali è invece ben più difficile. Perché sì, Muramasa è un nuovo gioco vecchio. È il futuro dei videogiochi come era immaginabile nel 1985. Cioè: lo stesso tipo di azione a scorrimento di allora, ma con più roba e con una fenomenale grafica da cartone giapponese che danno alla tele. Ma no, anzi, molto, molto, molto meglio: un incrocio tra un anime e l’immaginario delle stampe giapponesi del periodo feudale, scelta quantomai azzeccata visto che è proprio una versione mitologizzata dell’epoca in questione a fungere da sfondo per le azioni dei protagonisti. Sì, sono due, e godono di due storie separate, che pure si incrociano di continuo: per scoprire davvero tutto il gioco, dovrete percorrere il Giappone tanto lungo i sentieri dello smemorato ninja Kisuke quanto quelli della spiritata principessa Monohime, che avrebbe proprio bisogno di un buon esorcista.
In mano a entrambi passano, come uno scintillante fiume in piena, decine e decine di spade dalle caratteristiche offensive e difensive più disparate. E questa è un’altra ragione per cui sarà anche vecchia dentro, la dinamica di Muramasa, ma allo stesso tempo il gioco si pone come un compendio quasi enciclopedico di tutte le spade da samurai che avete avuto modo di padroneggiare nella vostra carriera videoludica, più altre totalmente inedite, per un totale di oltre 100 armi differenti, da sbloccare (ma “forgiare” sarebbe più in tono) man mano, fino a quando il crogiuolo degli dèi vi elargirà la leggendaria Muramasa di cui sopra. Ma dovrete darvi da fare per ore ed ore, con quel piglio da completisti che potrebbe parere vecchia scuola, ma poi è lo stesso che vi spinge a persistere con gli Obiettivi/Trofei di 360/PS3.

 

 

Il problema, relativo finché volete ma pur sempre concreto, riguarda le attività che Muramasa vi propone, durante queste ore ed ore. Taglia e affetta e taglia e affetta e fai combo e raccogli degli spiriti e trova qualche segreto qua e là talmente in bella mostra da non essere considerabile nemmeno un segreto. Gli ottimi boss di fine livello e le tostissime sfide speciali cercano di allontanare lo spettro della ripetitività, ma questa è insita nella meccanica base del gioco. A differenza di un Metroid o di un Castlevania: Symphony of the Night (con cui pure il gioco condivide una mappa non lineare da “aprire” man mano che si avanza nella trama e nelle sfide) non vengono elargiti poteri che arricchiscono la dinamica di gioco molto oltre la spada. Le spade sono tantissime, gli oggetti di contorno abbondanti, ma il succo resta quello sanguigno degli avversari trinciati a suon di katana. Carina l’idea delle spade che si deteriorano progressivamente, il fatto che se ne possono usare tre in “heavy rotation” inanellando combo mentre si passa da una all’altra, ma insomma, la parola d’ordine resta quella: katana.

 

Se questa ripetitività non vi spaventa, se il gusto per la combo estrema vi esalta, se sapete bearvi degli scenari (am)mirabili e del design dei nemici, allora sì, allora capite come lo stile può divenire sostanza – e divertire più che abbastanza. Se poi per voi “ripetitività” può significare ritmo, allora siete d’accordo con gli sviluppatori di Muramasa. Accattatevelo e portatevelo a casa!