Hachiko

Dopo Shall We Dance Richard Gere è protagonista di un secondo remake di una storia made in Japan. Come il film che raccontava del manager folgorato dalla danza, vista come un riappropriarsi della…

Regia: Lasse Hallström
Cast: Richard Gere, Joan Allen
Distribuzione: Lucky Red
Voto: 70

Dopo Shall We Dance Richard Gere è protagonista di un secondo remake di una storia made in Japan. Come il film che raccontava del manager folgorato dalla danza, vista come un riappropriarsi della propria esistenza, anche Hachiko è il remake di un soggetto già trattato nel 1987, a dimostrazione che i giapponesi non sono quel popolo dalle emozioni freddamente controllate, dall’educazione rigida che rende ardua la comunicazione sentimentale, quasi delle specie di robot come spesso ci piace raffigurarli in Occidente. Entrambe le storie sono infatti profondamente sentimentali, in particolare questa della quale stiamo per parlare, cioè Hachiko, che trae spunto da fatti realmente avvenuti nel 1924. Ambientata nel Rhode Island, racconta dell’incontro del destino fra Parker, stimato e gentile professore di musica, e un cuccioletto di razza Akita, la razza degli Shogun, proveniente da molto molto lontano (ma si sa che le vie del Signore o del Destino sono infinite…), smarrito durante una spedizione. Parker lo trova alla stazione e se lo porta a casa, vincendo l’opposizione della moglie (Joan Allen), donna innamorata ma meno indulgente.

Il film racconta gli anni che passeranno insieme, costruendo fra loro un rapporto fortissimo (del resto chi ha avuto un cane sa bene di cosa si tratti), scandito da una originale ritualità. Infatti ogni giorno Hachiko (questo il nome dato al cagnolino divenuto un bellissimo cagnone tipo da slitta) all’ora esatta si mette in movimento e raggiunge la stazione, dove sa che arriverà il treno col suo amato padrone. Intanto la vita di famiglia procede in parallelo (come si mostrava anche in Io e Marley, altro bel film con un cane come co-protagonista) e gli anni felicemente passano. Ma un giorno il professore non farà più ritorno a casa, non scenderà più da quel treno. Mentre gli umani faticosamente elaborano il loro lutto, Hachiko non accetta questa logica e continua ad andare alla stazione ad aspettare. Continuerà così per 10 anni, accudito amorosamente dalle persone che gravitavano intorno alla stazione, richiamando anche l’attenzione del media, diventando un simbolo dell’amore vero che non chiede niente in cambio, della fedeltà giurata all’inizio con uno sguardo e mantenuta per sempre. Quale umano ne sarebbe mai capace?

Nella stazione giapponese di Shibuya è stata realmente eretta una statua per ricordarlo. Hachiko è un racconto delicato, di buoni sentimenti, un po’ fuori moda ai nostri giorni, senza epici eventi eccezionali, senza eroi, senza colpi di scena, dove si esaltano con semplicità semplici valori: una vita luminosa e serena a fianco di una moglie molto amata, con una bella famiglia affettuosa, un andirivieni appagante fra un lavoro creativo e una accogliente casa, un microcosmo di amicizie e anche semplici conoscenze (il capostazione, l’uomo del chiosco alimentare, la bibliotecaria), che concorrono però a costituire quella rete di affetti senza la quale, sembra dire il film, una vita non può dirsi degnamente vissuta. Finché la sorte decide che si è avuto abbastanza ed è il momento di andarsene: allora anche se nel dolore ci sarà spazio per la consapevolezza che un’esistenza che ha lasciato tanti ricordi è stata ben spesa.

La sobria vicenda è raccontata in modo lineare dal nipote di Parker come un lungo flashback, vivacizzata solo ogni tanto dalle “soggettive ” del cane che sono in bianco e nero, interpretata con la solita sorridente leggerezza da un sobrio Richard Gere. Al suo fianco Joan Allen e due altri due comprimari dalle facce note: il capostazione è Jason Alexander, conosciuto caratterista già con Gere in Pretty Woman, mentre il proprietario del chiosco è l’indiano Eric Avari, visto in numerose serie tv oltre che ne La mummia, Stargate, Independence Day. Nel ruolo del fidato amico giapponese si rivede Cary-Hiroyuki Tagawa, famosa faccia da vilain presente in molti film degli anni ’80 come perfido gangster o cinico uomo d’affari (Resa dei conti a Little Tokyo, Sol Levante, Mortal Kombat). Delicata colonna sonora di Jan Kaczmarek, premio Oscar per Neverland. I proprietari di cani piangeranno molto, ma l’occhio lucido verrà anche a molti altri, anche se va detto che il film è sobrio e non insiste nel cercare la lacrima a tutti i costi.