Speciale Fallout – File #2: La strada di Van Buren

Tattica militare, eventi apocrifi e orizzonti perduti, sulla via che porta a New Vegas.

Nella scorsa puntata abbiamo citato la “Bibbia di Fallout”, lo scritto di Chris Avallone (che, come vedremo, è tornato a lavorare sulla saga) sulla genesi dei primi due capitoli, mentre questa volta affronteremo, fra poche righe, lo scivoloso concetto dei “Canoni di Fallout”. A questo punto, se qualcuno di voi intravedesse intorno alla serie un’aura quasi “religiosa”, o più precisamente “dogmatica”, non sarebbe molto lontano dalla verità. In effetti, gli episodi successivi a F1 e F2 sono oggetto di una profonda diatriba tra fan, produzione e sviluppatori, arrivata al suo culmine negli ultimi anni: questo perché, com’è successo con le opere più famose della fantascienza cinematografica, i cultori della saga si dividono fra “adepti” della prima ora, che hanno cominciato ad “adorare” da subito i contenuti del particolare universo, e altri appassionati che hanno udito il tam tam sempre più insistente sulle qualità delle produzioni, facendole proprie in un secondo momento e accettando con più mansuetudine, per così dire, i cambiamenti più radicali. In un contesto simile, la nascita dei Canoni per tenere insieme lo storyline ufficiale ha portato nel tempo a una codifica non condivisa da tutti, per motivi che esploreremo approfonditamente nel prossimo appuntamento: quello che ci interessa subito è che i “Fallout Canon” nel 2001 avevano già un’identità precisa, insieme a una serie di caratteristiche estetiche e narrative da preservare con cura. Non tutti, però, accettano di fare il lavoro del perfetto “scriba”…

Come molti di voi sanno, a traghettare Fallout nel nuovo millennio non è stato un RPG “puro”, bensì un titolo con prerogative di gameplay diverse, fondate in gran parte sul combattimento strategico. Tra le altre cose, per Fallout Tactics: Brotherwood of Steel, il problema dei Canoni (all’epoca in mano a Interplay e BIS) nemmeno si pone: il gioco non può rientrarvi per ragioni in gran parte condivisibili, che contemplano le notevoli differenze introdotte sulla storia e sul ruolo di personaggi, creature e fazioni, oltre all’eliminazione di molti dei riferimenti al gusto e alle tematiche “sixties”, con evidente stravolgimento della linea narrativa e dello stile visivo. Avvicinandosi in qualche modo a una delle ispirazioni primarie, Mad Max, FT:BoS implementa inoltre una serie di veicoli (con vari bug al seguito, purtroppo), mostrando i relativi depositi di carburante, quando uno dei punti centrali del mondo post-nucleare di Fallout è proprio il totale prosciugamento di qualsiasi fonte di gas o benzina, anche per giustificare un’esplorazione lenta e metodica degli scenari. Questo significa che Fallout Tactics è un brutto gioco? Assolutamente no. Al contrario, gli sviluppatori australiani di Micro Forté sono riusciti a sfruttare efficacemente il sistema S.P.E.C.I.A.L., comprensivo di tutte le sue caratteristiche, per imbastire un’esperienza sfaccettata sul piano della strategia, spingendosi in dinamiche vicine al tempo reale attraverso una delle modalità di gioco (definita “Continuous Turn-Based”). Per fare questo, però, è stata rivoluzionata la struttura stessa dell’avventura, in modo da scandirla rigidamente in briefing e missioni, oltre al rapporto tra il giocatore e gli NPC, divenuto più schematico e poco rilevante ai fini della storia. Ma, naturalmente, l’anima di ruolo di Fallout è troppo indomita per farsi trattenere a lungo…

La parola magica “Van Buren” evoca una situazione un po’ più complessa, nel rapporto con i suddetti Canoni ma anche per le potenziali conseguenze che il titolo, prima stesura di Fallout 3, avrebbe comportato se fosse arrivato sugli scaffali. Questa eventualità, però, non si è mai verificata, anche se del gioco sono rimaste testimonianze importanti, capaci di evidenziare quanto fosse terribilmente vicino al traguardo della pubblicazione. Sviluppato dai BiS di Chris Avallone dopo le pesanti defezioni di Timothy Cain, Leonard Boyarsky e Jason Anderson che fondarono Troika Games, il progetto conosciuto con il nome dell’ottavo presidente degli Stati Uniti (Martin Van Buren, per l’appunto) avrebbe affiancato logiche non troppo lontane dai primi due titoli a un engine completamente tridimensionale, al di là di un’opzione in real time comunque molto attesa: nella tech-demo diffusa in rete, a partire dal 2007, è possibile giocare una porzione avulsa da quello che avrebbe dovuto essere lo storyline definitivo, ma l’esperienza rende perfettamente l’idea di quanto avremmo avuto di fronte, dalla creazione del personaggio alle opzioni per il dialogo, più articolate e moderne nell’interfaccia, fino alle familiari meccaniche per combattimenti e interazione con il mondo di gioco. Un titolo, insomma, che si sarebbe avvicinato considerevolmente all’idea “conservativa” sostenuta da una parte della comunità di Fallout, piuttosto lontana dal fortissimo restyling portato da Bethesda Softworks.

La posizione di questi appassionati, comunque irriducibile, è stata ancor più rafforzata dai dettagli appresi sulla trama e sulla complessità formale di Van Buren, trapelati in seguito alla chiusura del progetto, un anno dopo lo scioglimento ufficiale di BiS, del 2003; al di là di uno scenario e un villain particolarmente carismatici, rispettivamente il sud-ovest degli Stati Uniti e il luciferino dr. Victor Presper, le sorti delle popolazioni di Arizona, Nevada, Utah e Colorado sarebbero dipese dalle azioni e dalle migliaia di linee di testo a disposizione del giocatore, attraverso lo scontro aperto tra la Confraternita d’Acciaio e le forze della Nuova Repubblica della California. Chiaramente, però, ciò non significa che quello che abbiamo oggi (non celato dalle nebbie del “come avrebbe potuto essere”, ma al contrario giocabile per centinaia di ore) faccia parte di una parabola discendente della saga, perché sarebbe come rinnegare l’enorme quantitativo di tempo e divertimento dedicato all’ultimo capitolo ufficiale, in particolare da chi sta scrivendo quest’articolo: non di meno, il fatto che Obsidian e Bethesda si siano riallacciati con New Vegas alle radici della saga, almeno sul piano narrativo, non può che risultare un elemento di ulteriore interesse, a maggior ragione se pensiamo che alcuni snodi della storia provengono dall’episodio mai pubblicato. Alla fine, lo spirito di Van Buren è riuscito a sopravvivere: diavolo d’un presidente!