Videogiochi e Cinema #1 – Tie-In Evolution

Sulla scia delle lightcycle di Tron, un viaggio in più puntate tra brutture e buone speranze dei videogame “movie-based”. [Speciale]

Alamogordo, nel New Messico, non è una cittadina molto fortunata. Anzi, in un certo senso il piccolo paesino è diventato un simbolo di modernità nell’accezione più scomoda e negativa del termine. All’inizio degli anni ‘40 Alamogordo ha ospitato i test per l’ordigno nucleare successivamente lanciato su Hiroshima, quando ancora non erano chiari gli effetti delle radiazioni a medio e lungo termine, mentre dopo qualche decina di anni le sue strade polverose sono state percorse da 14 enormi autocarri, sui quali campeggiava un marchio ancora molto amato dai videogiocatori di tutto il mondo (anche se di fatto non si tratta della stessa azienda). Il luminoso brand era quello di Atari, come alcuni di voi avranno già capito: la casa americana nel 1983 fu costretta a disfarsi di centinaia di migliaia di cartucce del tie-in sul film più famoso (e furbo) di Stephen Spielberg, E.T. the Extra-Terrestrial, collocando le enormi e lugubri cataste in una discarica della desolata località nel sud degli Stati Uniti.

Naturalmente, non approfondiremo ulteriormente la prima, infausta memoria di Alamogordo, perché si tratta di una materia greve e molto lontana dalla leggerezza dell’entertainment. Quello che ci interessa, invece, è che il fallimento di uno dei primi tie-in “di peso” coincise fatalmente con la prima crisi internazionale dei videogiochi, portando (insieme ad altri fattori) al drastico ridimensionamento della nascente industria videoludica: il fail clamoroso di E.T. da solo non sarebbe bastato a determinare la portata del disastro complessivo, che già negli anni precedenti aveva costretto un altro potente competitore, Mattel, a rinunciare a gran parte delle proprie velleità “elettroniche”. Di certo, però, la leggerezza con cui fu affrontato il rapporto tra un film e la sua controparte digitale è ancora oggi il simbolo di come si possa rovinare un feeling potenzialmente perfetto. In questo caso, la luna di miele tra cinema e videogiochi non è nemmeno cominciata.

I ricordi legati ai primi videogame su Tron, praticamente contemporanei a E.T., sono decisamente più piacevoli. Il film d’ispirazione, pur se in una dimensione adatta alle famiglie, era riuscito a salutare degnamente l’alba della “civiltà digitale”, rappresentando una sorta di cyberspazio (definizione impropria ma calzante) con software dalle sembianze antropomorfe e altre azzeccate descrizioni “visive” del funzionamento dei cervelli elettronici. Per i tie-in dedicati alla pellicola, importanti proprio per lo stretto rapporto “tematico” con il mondo digitale, il colosso della Disney decise coraggiosamente di mettersi in partnership con Mattel Electronics, produttrice di una console meno diffusa del celebre Atari 2600 ma più duttile ed evoluta della concorrenza. In particolare, per Intellivision, furono sviluppati Tron Deadly Disk e Tron Maze-a-Tron, entrambi caratterizzati da un’ottima qualità tecnica, almeno per gli standard dell’epoca: per le macchine da gioco casalinghe, infatti, non c’era lo spazio per una rappresentazione efficace delle corse sulle lightcycle (nella sostanza, una variante competitiva del vecchio Snake) oppure degli scontri su Tank in grafica vettoriale (un evidente omaggio del film al mitico Battlezone, di qualche anno precedente), che invece costituivano la base per il cabinato di Tron nelle sale giochi di mezzo mondo. Per questo, i creativi di Mattel dovettero sforzarsi parecchio per tirare fuori qualcosa di semplice e al contempo intrigante, specie nel caso di Tron Maze-a-Tron. Tron Deadly Disk sfruttava qualche decina di pixel per inscenare i duelli con gli “I-disk”, i carismatici frisbee “offensivi” del film, e anche a questo dettaglio deve il maggior successo rispetto a Tron Maze-a-Tron. Quest’ultimo, però, era un videogioco ben più complesso, forse troppo per i controlli imprecisi di una console d’inizio anni ’80 (per quanto avveniristici, nel caso del disco dorato dell’Intellivision), basato sulla generazione casuale di labirinti che già si era vista in alcuni tra i migliori titoli per la stessa piattaforma (soluzione che ha trovato in Advanced Dungeons and Dragons, del 1982, la migliore esecuzione). Il nemico supremo, in questo caso, era naturalmente il “villain” elettronico del film, il perfido Master Control Program, che animava una sequenza di “hakeraggio” frenetica e ottimamente realizzata sul piano grafico, mentre le classiche sentinelle monolitiche imperversavano nel resto del gameplay: il programmatore Flynn doveva destreggiarsi fra mille “metafore” sulle componenti di un computer, tra depositi di Ram e unità binarie, per riuscire ad annullare definitivamente il MCP e i suoi desideri di dominio sul mondo reale.

Una strada simile, nel tentativo di riprodurre le dinamiche del film in modo moderno e compiuto, è stata percorsa anche da Tron Solar Sailer, dove un’altra scena dava lo spunto per un viaggio a bordo di un “vascello digitale”, a cavallo di un fascio di dati. Il gioco uscì per il sistema Intellivoice, che dotava la console di un primitivo sintetizzatore vocale, e paradossalmente accompagnò Mattel Electronics verso la chiusura, insieme ad altri prodotti affascinanti ma poco fortunati. Stavolta, però, la “guerra persa” ha riguardato la competizione con Atari, proprietaria della console più economica e diffusa, ma nulla di negativo si può dire sulla qualità dei prodotti appena descritti. Anzi, in un certo senso i tie-in di Tron per Intellivision possono essere considerati i progenitori dei prodotti moderni più riusciti, nella difficile impresa di rendere efficacemente interattivo un mondo di celluloide.

A quasi trent’anni da queste pionieristiche uscite, la situazione è simile e – al contempo – quasi irriconoscibile, a seconda che la si guardi da una dimensione “critica” o semplicemente sotto il profilo tecnologico. Tie-in come Terminator Salvation o The Watchmen possono essere considerati i “figli legittimi” del videogame di E.T. del 1983, anche se al massimo hanno causato la chiusura di una software house, e non certo il crollo di un intero sistema. Sia come sia, le copie vendute da questi prodotti, comunque scarse, sono finite nelle case dei giocatori meno informati, che non hanno resistito al carisma delle relative produzioni cinematografiche e si sono ritrovati sull’hard disk videogiochi di scarsissima qualità.

Dall’altra parte, però, c’è un videogame riuscito come X-Men Origin: Wolverine di Raven Software, di fatto migliore del deludente film a cui si ispira, a ricordare che è ancora possibile ottenere risultati più che decorosi guardando con attenzione a ciò che personaggi e ambientazioni possono offrire, in questo caso sulla base di una nobile discendenza a fumetti. E quando alle software house è stata donata la possibilità di sfruttare un universo fantastico preesistente, senza però attenersi a un’opera precisa, la situazione è migliorata fino a raggiungere l’eccellenza.
A dimostrare questa tesi ci sono un altro supereroe dalle orecchie puntute, ma molto più tetro, e un branco di sbavanti xenomorfi, anche se ci riserviamo di entrare nel dettaglio nella prossima puntata di questo speciale, dedicata a un panorama ancora imperfetto ma fecondo di possibilità. Cercheremo di capire quale possa essere la strada migliore da seguire per un buon gioco d’ispirazione cinematografica, tra enormi budget e registi-attori con il pallino dei videogame, senza dimenticare che esiste pure una terza via, come in tutte le cose del mondo.

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